Niccolò Pesce
Viveva
un tempo in Sicilia un ragazzo che si chiamava Niccolò.
Non
appena imparò a camminare quasi sospinto da un misterioso
richiamo si diresse subito verso il mare e da allora cominciò a
passare tra le onde la maggior parte del suo tempo.
Quando era ora del pranzo, di cena o di andare a dormire per farlo
tornare a casa sua madre doveva perdere il fiato.
Un giorno si spinse più lontano del solito e non udì i suoi richiami
indispettiti ed angosciati
- Che tu possa diventar pesce! - gridò, allora, esasperata, la donna.
E le sue parole avevano il tono della maledizione
Da quel momento Niccolò visse da pesce o quasi.
Poteva rimanere giorni interi sott'acqua senza aver bisogno di
risalire a galla per respirare.
I segreti del fondo marino lo affascinavano.
Spesso, per spostarsi con più rapidità, si faceva ingoiare da
uno degli enormi pesci che gli i passavano vicino: rimaneva tranquillo nella sua
pancia finché giunto nel luogo che voleva esplorare
con un coltellaccio gli apriva il ventre ed usciva per i
suoi vagabondaggi. Era diventato
per tutti Niccolò Pesce.
Un giorno il re lo mandò a chiamare gli disse
- Mi hanno riferito che vivi ugualmente bene nell'ria e nell'acqua
e che conosci gli abissi marini altrettanto bene della superficie
terrestre. Raccontami dunque com'è il fondo del mare
Niccolò Pesce narrò delle immense foreste di corallo dove pesci dai
colori sgargianti guizzavano come da noi gli uccelli volano
sugli alberi, di distese sabbiose cosparse di pietre preziose, di velieri
appena inclinati adagiati sulla sabbia con le stive ancora colme di merci
preziose e di armi custodite da scheletri.
E, come prova della veridicità del suo racconto scese negli abissi e
ne riportò alcune manciate di gemme.
(...)
La precisione del racconto stupì il re e gli suscitò il desiderio di
determinare fino a che punto di profondità quel ragazzo fosse capace
di giungere Così qualche giorno dopo lo mandò a chiamare per la
terza volta e gli ordinò di inseguire una palla di cannone che
avrebbe fatto sparare dal Faro di Messina e di riportarla in
superficie.
Niccolò Pesce rimase perplesso.
Poi rispose:
- Maestà questa impresa presenta troppe difficoltà e dubito di
poterla condurre a buon termine. Penso,
quindi, che mi sarebbe fatale.
Tuttavia se proprio insistete sono pronto ad ubbidirvi.
(...)
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