Kaltar

Le stelle di mare

Anika, una giovinetta assai vivace e graziosa, camminando tra gli scogli perse l’equilibrio e cadde in mare. 
Tentò di salvarsi a nuoto ma un grosso pesce azzurro la spinse verso la casuccia argentea di Kaltar.

Kaltar, mezzo uomo e mezzo pesce, accolse la fanciulla con cordialità, e poi le disse:

- Sposami. Abiterai con me nella casuccia argentea e ti regalerò un diadema di perle.

- Non so che farmene delle perle, e la casuccia tua non mi piace.

- Ti regalerò una collana di corallo.

- Una collana di corallo? Non la desidero. Lascia che ritorni nel mio villaggio. Voglio rivedere mia madre, mio padre e la mia sorellina Basilia.

- La tua esistenza terrena è finita. Devi star con me, adesso, vivere nel mare.

- Sei brutto, mi ripugni.

L’uomo-pesce proruppe in una risataccia di scherno.
Grande Enciclopedia del mare - Curcio- Non hai troppo da scegliere, bellina mia. Se rifiuti di diventar mia moglie, dovrai adattarti a sposare il mostro giallo. Il mostro giallo ha venti teste, una più orribile dell’altra, e le sue venti bocche sono profonde come baratri. Guai a scivolar in una di esse!

La povera Anika pensò che, tra il mostro e Kaltar, doveva esser preferibile quest’ultimo e si rassegnò alle nozze.
Suo marito, per la verità, non era cattivo. Le faceva regali e le portava, come cibo, la crema dei mari e i petali dolcissimi delle rose oceaniche. Lei, però, nella casuccia d’argento, si annoiava moltissimo.

- Kaltar
, – pregò un giornolasciami ritornare sulla terra.

L’uomo-pesce si accese di collera:
- Non parlarmi della terra. Ormai, la tua patria è questa.

Anika non osò insistere. Il marito capì che era triste. Per distrarla, l’accompagno nella luminosa città delle conchiglie bianche, nei giardini degli abissi, nel palazzo abitato dai pesci ardenti come fiamme. La giovane donna era sempre malinconica.

Una notte, mentre Kaltar dormiva, fuggì dalla casuccia argentea e si recò nel suo villaggio, nella sua isola. I genitori e Basilia, immersi nel sonno, non si accorsero di lei.

Chiamò:
- Mamma mia, babbo mio! Basilia! Basilia!

La sua voce non aveva suono, nessuno poteva udirla. Si avvicinò ai dormienti, accarezzò, commossa, i volti cari. Singhiozzava:
- Destatevi. Sono Anika, la vostra piccola Anika.

Ecco: le sue mani erano senza materia, rassomigliavano a due tenui riverberi di luce lontana. Anche il suo corpo era come un riverbero di luce lontana. La madre, il padre, la piccola sorella, non potevano avvertir le sue carezze, cosi come non potevano udire i suoi richiami.

Anika ritornò più triste che mai nella casuccia argentea. Kaltar l’aspettava sulla soglia:
- Ti avevo detto di non ritornare sulla terra, donna cocciuta, donna disubbidiente. Ti avevo detto che tu puoi vivere solo nella grande patria marina. Il tuo corpo, qui, non è illusione, ma realtà, la tua bellezza risplende.

- Non m’importa del mio corpo, non m’importa della mia bellezza. Neanche della vita m’importa, se devo trascorrerla a fianco di un essere che detesto.

- Mi detesti, dunque, Anika?

- Ti detesto, ti detesto. Sei brutto, odioso, insopportabile.

L’uomo-pesce, colmo d’ira, si avventò sulla moglie proterva e, servendosi dei denti fortissimi, sbranò, fece a pezzi il bianco corpo femmineo.

Una stelluccia vide, dall’alto, i miseri avanzi di Anika. Le parvero corolle di fiori:
- Guarda, guarda – disse a una sua sorellina, a un’altra stelluccia – guarda quanti fiori, laggiù!

La sorellina guardò, attentissima.
- Non sono fiori. Sono i miseri resti di un corpo umano.

- Veramente?

- Veramente. Io vedo benissimo.

- E' una visione tragica, allora.

- E' una visione tragica, sorelluccia.

- Come potremo sopportarla, noi che siamo sempre costrette a guardar giù?

- Preghiamo Dio che trasformi quei poveri pezzi di carne in fiori

- Ma sì, in margherite, in rose.

Le stellucce si presentarono a Dio e fecero la richiesta. Il grande Padre le ascoltò, benevolo:
- Farò
– decise – di quei poveri avanzi la cui vista turba il vostro cuore delicato, tante piccole stelle. Vi sembrerà, cosi, di vedere tante vostre sorelline.

Dio fece un cenno e, tra le onde, nacquero, prodigiosamente, le stelle di mare.

 

  

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