Fiaba russa

Il Principe e il pesce

Lo zar Vassili amava con infinita tenerezza il suo unico figlio, Sanartia. Il principe era gentile e affettuoso con tutti, ma dimostrava grande avversione per la matrigna, donna autorevole e superba. Costei, inutile dirlo, odiava il figliastro.
- O Vassili, – disse, un giorno la vipera al marito – Sanartia è una piccola canaglia. Da lui, non ti verranno che dispiaceri.

- Canaglia? Giudichi il povero ragazzo con troppa severità.

- Ho un fine intuito, non mi sbaglio. Sanartia ha proprio un’anima perfida. Non ti accorgi, dunque, che ti guarda sempre con astio e che sorride, ironico, quando tu parli? È doppio, ambizioso, senza scrupoli. Non mi stupirei che, per soddisfar la sua vanità e salire al trono, finisse per ucciderti.

Le parole malvagie colpirono profondamente lo zar. Tentò tuttavia di difendere il figlio:
- Sanartia è schietto, amorevole. Sanartia non può commettere perfidie.
- Sei illuso. Scivoli nel baratro senza accorgertene.
- Come dovrei comportarmi, dunque?
- Conduci tuo figlio sulla riva del mare e gettalo in acqua.

Lo zar tentennò un poco, ma finì per dar retta alla perfida moglie. Chiamò un giorno il figlio e gli disse:
- Devo recarmi in una città lontanissima, e vorrei che tu mi accompagnassi. Faremo un bel viaggio e ti mostrerò il mare. Tu non hai mai visto il mare. È come un enorme smeraldo. Il suo sfavillio è così intenso che, qualche volta, fa male agli occhi.

Lo zar e il principe partirono.
Quando giunsero alla meta, Sanartia comprò una scure, un coltello, un poco di filo, un ago e una pietra focaia.
- Che te ne fai di codeste sciocchezzuole? – domandò, meravigliatissimo, il padre, lo zar.
- La mosca ziluchte, qualche volta, si avvicina al mio orecchio e mi parla segretamente. Proprio la mosca, poco fa, mi ha detto: "Acquista una scure, un coltello, un poco di filo, un ago e una pietra focaia. Potranno servirti"

- E' strano, è strano.
- La mosca mi ha anche comandato di abbattere un albero e di portarmelo, poi, sulle spalle.
- Abbattere un albero? Non sei uno spaccalegna, tu!

Il principe, senza curarsi dei commenti paterni, si fermò dinanzi a una quercia e a colpi di scure... pam pam, pam pam!... fece crollare il verde colosso che poi si trascinò dietro.
Lo zar pensava: "E' pazzo mio figlio. E' diventato pazzo ", e sentiva, nell’animo, il fuoco del rimorso per l’azionaccia che doveva compiere. Ma poi ricordò le parole della moglie e non ascoltò più la voce della coscienza e dell’affetto paterno.
Mosse risolutamente verso il mare e, quando raggiunse la sponda rocciosa, spinse il povero Sanartia nell’acqua.
Un grosso pesce inghiottì il principe e l’albero che questi teneva sulle spalle. Ma il principe, per fortuna sua, aveva coraggio e spirito; non si perdette d’animo.
Tagliò con la scure un poco di legna e poi, servendosi della pietra focaia, accese un focherello. Il corpaccione del pesce era colmo di uova e gli fu possibile, perciò, prepararsi un pranzetto.
"Per oggi, la faccenda non è andata malissimo " pensò, filosoficamente, il povero giovane quando fu sazio e si addormentò vicino alla fiamma.

Fece un sonno lungo e placido e al suo risveglio era quasi allegro. "Ecco" meditò a voce alta "non mi sembra che, in quest’antro di carne, la vita possa essere molto gaia e comoda, ma non avrò, almeno, il cruccio di veder quella donna demoniaca ch’è la mia matrigna ".

Nel corpo del pesce, Sanartia trascorse la bellezza di venti anni. La legna, ormai, stava per finire. "Ho sempre economizzato il combustibile", pensò il giovane, "ma adesso voglio godermi la gioia di una gran fiammata".
Accese il fuoco gettando con prodigalità gli avanzi della quercia. Il pesce, sentendo un calore insolito nel ventre, spiccò un altissimo salto e andò a finire sulla spiaggia.
"Puo darsi" dubitò il giovane, che non avvertiva più il fremito delle onde, "può darsi che il mio... naviglio vivo abbia, coll’impetuoso balzo, raggiunto la terra ferma. Ecco: taglierò la carne del pesce, la taglierò un poco solo. Se mi accorgerò di essere in acqua, cucirò la scissura, se invece potrò persuadermi di trovarmi sulla sponda, allungherò il taglio e uscirò da questa prigione".

Sanartia mise immediatamente in pratica il proposito. Dopo poco camminava, libero e gaio, sulla sabbia dorata del lido. Passò un uomo a cavallo, lo vide, fermò la bestia e gli disse:
- Sai additarmi la strada che bisogna percorrere per giungere alla città in cui si trova la reggia dello zar Vassili?
- Lo zar Vassili, hai detto?
- Si, lui: lo conosci?
- Altro che! se lo conosco? Devi sapere che io sono il principe Talica, un lontano parente dello zar, e perciò posso accompagnarti da lui.
- Mi fai proprio piacere.
- Sali dunque sul mio puledro. Sei di un’estrema magrezza e non credo che tu possa camminare molto a piedi.

Lungo il viaggio, il principe Talica, che era molto loquace, raccontò al suo compagno cose interessantissime.

- Non sai? La zarina è morta. Era, dicono, una donna proterva e maligna. Fu lei, sembra, che fece uccidere il figliastro, il buono e bravo Sanartia. Adesso Vassili è vecchio, ammalato, stanco e triste, molto triste. Invoca, di continuo, il figlio morto. Sembra pazzo. Non si occupa degli affari di Stato, e il popolo e come un gregge senza guida. Mio padre, lo zar Rodioff, mi manda dal povero Vassili, per rianimarlo, per aiutarlo.

Sanartia raccontò al buon giovane la sua sbalorditiva avventura.
- Ecco – concluse – io, proprio io, sono il figlio dell’infelice monarca.

Talica, commosso, spronò il cavallo.
- Via, via bestia generosa. Divora la strada. C’è un padre che soffre, un padre che invoca disperatamente il figliuolo. Via, puledro nobile.

L’animale, corri e corri, raggiunse in quattro e quattr’otto la reggia. L’incontro dello zar e del figliuolo fu commoventissimo.
Vassili, ormai troppo vecchio, stanco e malaticcio, rinunziò con sollievo alla grave fatica di regnare. Sanartia salì, con gioia del popolo, sul trono e fu, afferma la leggenda, un monarca abile, giusto e saggio.

 

   

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