Uomo del mare
Cavalcavi
ippocampi
Una postilla di sole
indugiava nell’aria
e tu, sullo scoglio,
leggevi Montale,
sospeso, conteso, diviso
tra il saperti uomo
e il sentirti ombra,
trasparenza .
Non è più tempo
di nutrire con le parole
le nostre anime affamate.
Rosseggia come ferita il silenzio.
Tempesta la bonaccia
di questo mare
orfano dei tuoi sorrisi,
e delle tue mani che la schiuma marina
sapevano accarezzare.
Mille anni di distanza ci separano.
Tu cavalcavi flotte di ippocampi
e la medusa, invaghita,
inoculava stupore al tuo passare.
Le piccole vele a quarti di luna
biancheggiavano
impigliate nel porto adusto di salsedine,
ogni conchiglia, se ascoltata, rivelava le sillabe del tuo nome.
Indugia, Tempo,
già pavento l’annuncio a tradimento
dei miei anni, che tracciano a frattura
la parabola discendente della vita.
Mare,
tu che sempre restituisci i tuoi morti,
restituisci i sogni che mi strappasti
con artigli di marea.
In alibi di sogno
percorsi cosmiche distanze
ma la rete lacerata da più parti,
non trattiene canti di sirene.
Scomparse le coordinate,
il radar dell’anima più non pulsa
il suo segnale di luce.
Opaco il cristallino
che si nutrì di celesti costellazioni,
frutto rugoso le labbra
inquiete di sete
avvezze a suggere miele di parole.
Serrati i polsi
da manette di abulia,
l’alacre passo divenne granitico,
più non recò l’aurora, con sé, scrigni di brina.
Un cono di caligine avvolse il mondo
che ora si muove alla moviola,
ammainate sine die
le vele del mare, del sole,
delle stelle amiche.
Ma stanotte scriverò una missiva
al console della luna
che revochi l’embargo di luce
sul mio oscuro pianeta,
che sfolgori ancora il vessillo
di orfici canti, sul torrione
più alto del maniero ,
e la reclusa felicità
torni a sorridermi, come ieri.
Anna Marinelli
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