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La casa del figlio
La casa del
figlio é giá aperta sul desolante mattino di
piazza Cattolica.
"Hai
mai sentito Balarm portarti tra cielo e
terra sul primo o sul terzo gradino delle chiese morte? Mi hai
visto lì, a far
la briscola con tre angeli? Io ero il quarto, il morto. Il figlio tira fuori dalla latta d'acquaragia un pennello dalla punta storta. Lo guarda a lungo ma non guarda la madre che si è sistemata su un angolo del balcone lungo, a guardare il mare, dietro la chiesa della Catena, il mare che si alza in creste allegre di gallo nelle mattine di pasqua, il mare che l'aspetta paziente nei suoi ritorni dalla leggera pazzia che ancora le procurano quei mondi perduti che lei si ostina a tener vivi nella memoria.... l'odore del pane appena sfornato di Bertini, la canzone strampalata della vecchia strega che abitava in via del Merlo, un'eco persistente di sassofono che avvolgeva dentro alla propria coda velata tutto il quartiere della Kala, e procurava brividi di un piacere amico, conosciuto, che non sa tradire. Il figlio adesso guarda la creta secca in un angolo della stanza, tra libri e vecchi giornali stropiccciati..... poi siede sullo sgabello alto mentre il sole di questa stupida domenica chiude in cerchi concentrici il viso della madre dentro il vetro a scacchiera, sopra la porta alabastrina, e in tutto quel chiarore ha l'impressione di essere lui soltanto l'unica macchia scura della città, una palla nerastra,alchemica, uno strambo capriccio ottico. La Catena suona la seconda messa del mattino ed è un rotolìo selvaggio di note stridule sui tetti sgangherati del quartiere. Lui dice a se stesso che sta andando a fuoco l'intera città, che bisognerebbe dichiarare lo stato d'emergenza, correre su in montagna con sacchi di farina e coperte per i bambini, che bisognerebbe telefonare a Laurent, in qualche parte della Francia, Dio sa dove, e dirgli che la città sta bruciando, dirgli che venga presto, dirgli che venga a prenderli e a salvarli, munito di bombole e maschere antigas ma poi capisce che sta solo ricordando e tace ......ricorda come passavano le sere lui e Laurent, sull'ampia insenatura del fiume, a due passi dall'albergo Mustin, pescando pesci incredibilmente rosa . E si stupisce della sua voce di prima, troppo stridula, che gridava a se stesso in tutto quel frastuono chiarissimo di luce idiota, in quella mattinata senza capo nè coda, in quella confusione domenicale che ogni volta lo stordisce....cerca con lo sguardo la madre e gli occhi gli bruciano, la scorge lontana sul balcone, persa dentro chissà cosa, irraggiungibile come un mistico volto spaventoso di medusa dentro ad un campo di mare azzurro con creste bianche di gallo in un giorno di festa. Allarga le braccia e questa volta trema di paura....il chiarore malvagio lo avvolge con forza, troppo in fretta, gli fa battere le tempie e il cuore, gli fa serrare gli occhi.....abbandona la testa sulle ginocchia della madre entrando nel campo azzurro e rassicurante del mare.... Medusa e il suo Crisaore trovano lì riposo come dentro ad un puzzle senza ordine che un bimbo ricompone, intanto che Arb, l'elfo gentile continua il suo canto.
"....lo
scomunichiamo e anatemizziamo, infine,
Muovono le
solenni processioni dall'Addaura al mare
"Sorge dal mare
la bestia carica di nomi blasfemi......
Gregorio adesso
china la testa e tace.
Lia Schiavo
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