www.colapisci.it L'uomo che diventa pesce per necessità o per scelta Lia Schiavo

 

La casa del figlio

La casa del figlio é giá aperta sul desolante mattino di piazza Cattolica.
Il cinema Astori sventola due cartelloni western con una furia di cavalli dentro un polverone rosso che confonde indiani e yankees. Il vecchio portone beccheggia sulle onde fosforescenti del sole.
La donna entra. Sale le rampe di
lavagna. Si ferma davanti alla porta del figlio.
Il lungo balcone della stanza guarda la facciata di uno stabile residenziale dall'intonaco liscio, chiaro, desertico e spaventevole. Questa domenica é fatta di una materia ignota. E' una cosa densa e sfuggente che ritma su  note stonate i gesti e gli sguardi.
Un'auto, per metà sbudellata, rimane in bilico sul carrello sollevatore dell'officina sotto casa. Dal garage senza fondo, le alte torri nere degli pneumatici mandano un grasso profumo. Un phon mostra il filo rosso da sotto un cuscino.
Il vecchio elfo bianco azzurro, il dolce Arb, è piccola macchia dietro al filo rosso del phon, lui che può sentire il silenzio che avanza dentro alla città, continua a cantare, e ha gli occhi belli e le pustole rosa come il sesso del fiore si aprono gentili nello squallore della stanza......  anche se nessuno lo vede e anche
se nessuno ne ascolta il canto, lui, Arb, si direbbe felice........

"Hai mai sentito Balarm portarti tra cielo e terra sul primo o sul terzo gradino delle chiese morte? Mi hai visto lì, a far la briscola con tre angeli? Io ero il quarto, il morto.
Hai mai gustato le piazza arabe che non ci sono? Le hai mai gustate, quelle?
Se si gustano, ti dirò, succede che la tua lingua rimane dura e profumata per tutto il giorno. Così come succede se gusti le ricotti dolcissime delle cassate o dei lunghi cannoli grassì che scoppiano d'umori. O tra le costruzioni di pane dorato delle placide novizie dell'Immacolatella. Così le gusti le piazze arabe che non ci sono.... ne prendi il sangue pesante e la tua lingua rimane dura e profumata dentro alla tua bocca stranita.... dura, dolce e profumata di pecora e d'erba che la pecora bruca... e ne avrai sempre più voglia. Voglia delle goccioline brune di cioccolata, goccioline dure e brune come i piccoli soldati arabi che marciano lenti, troppo lenti su acque che non ci sono più... lenti e morti tra una foglia e un dito d'acqua.... dentro una piega di carne ben dipinta dal puparo e  vedrai le belle gambe di Angelica, tornite, svelte e truci. E il viso di Orlando, arguto, vago e lontano. Perduto, forse. Un viso che non c'è più e non
c'è nulla....... solo il mio canto c'è in questo silenzio...."

Il figlio tira fuori dalla latta d'acquaragia un pennello dalla punta storta. Lo guarda a lungo ma non guarda la madre che si è sistemata su un angolo del balcone lungo, a guardare il mare, dietro la chiesa della Catena, il mare che si alza in creste allegre di gallo nelle mattine di pasqua, il mare che l'aspetta paziente nei suoi ritorni dalla leggera pazzia che ancora le procurano quei mondi perduti che lei si ostina a tener vivi nella memoria.... l'odore del pane appena sfornato di Bertini, la canzone strampalata della vecchia strega che abitava in via del Merlo, un'eco persistente  di sassofono che avvolgeva dentro alla propria coda velata tutto il quartiere della Kala, e procurava brividi di un piacere amico, conosciuto, che non sa tradire.

Il figlio adesso guarda la creta secca in un angolo della stanza, tra libri e vecchi giornali stropiccciati..... poi siede sullo sgabello alto mentre il sole di questa stupida domenica chiude in cerchi concentrici il viso della madre dentro il vetro a scacchiera, sopra la porta alabastrina, e in tutto quel chiarore ha l'impressione di essere lui soltanto l'unica macchia scura della città, una palla nerastra,alchemica, uno strambo capriccio ottico.

La Catena suona la seconda messa del  mattino ed è un rotolìo selvaggio di note stridule sui tetti sgangherati del quartiere.

Lui dice a se stesso che sta andando a fuoco l'intera città, che bisognerebbe dichiarare lo stato d'emergenza, correre su in montagna con sacchi di farina e coperte per i bambini, che bisognerebbe telefonare a Laurent, in qualche parte della Francia, Dio sa dove, e dirgli che la città sta bruciando, dirgli che venga presto, dirgli che venga a prenderli e a salvarli, munito di bombole e maschere antigas ma poi capisce che sta solo ricordando e tace ......ricorda come passavano le sere lui e Laurent, sull'ampia insenatura del fiume, a due passi dall'albergo Mustin, pescando pesci incredibilmente rosa . E si stupisce della sua voce di prima, troppo stridula, che gridava a se stesso  in tutto quel frastuono chiarissimo di luce idiota, in quella mattinata senza capo coda, in quella confusione domenicale che ogni volta lo stordisce....cerca con lo sguardo la madre e gli occhi gli bruciano, la scorge lontana sul balcone, persa dentro chissà cosa,  irraggiungibile come un mistico volto spaventoso di medusa dentro ad un campo di mare azzurro con creste bianche di gallo in un giorno di festa.

Allarga le braccia e questa volta trema di paura....il chiarore malvagio lo avvolge con forza, troppo in fretta, gli fa battere le tempie e il cuore, gli fa serrare gli occhi.....abbandona la testa sulle ginocchia della madre entrando nel campo azzurro e rassicurante del mare.... Medusa e il suo Crisaore trovano lì riposo come dentro ad un puzzle senza ordine che un bimbo ricompone, intanto che Arb, l'elfo gentile continua il suo canto.

"....lo scomunichiamo e anatemizziamo, infine,
perchè dalle dighe da lui innalzate
sulle sue splendide miserie,
filtra sempre più spesso quello scandaloso profumo
di sandalo e menta,
di geranio e basilico...."

Muovono le solenni processioni dall'Addaura al mare
scendono dal monte senza erba fiori
e le spinge il vento.
Cinquemila, diecimila prelati e santi
tutti in gala.
Tutti.
L'ostia di perla fugge da grotta in grotta
e i suoni delle nacchere a morte si fanno più vicini.
Ecco il paffuto, secondo cherubino
il Sol invictus
ha tre serpenti intorno al cuore...

"Sorge dal mare la bestia carica di nomi blasfemi......
con artigli e denti di ferro
egli brama dilaniare ogni cosa.....
fissate l'occhio sul capo, sul tronco,
sull'estremità della bestia, Federico,
cosiddetto imperatore...."

Gregorio adesso china la testa e tace.
Le sue braccia si disegnano lievi sulla porta alabastrina.

Passano leggere ombre sui muri della stanza
immersa nel silenzio
di crepitanti incensi.
Dal pavimento freddo
sale un soffio di tiepidi fuochi accesi
in una domenica senza più tempo.

 

Lia  Schiavo

   

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