Sento doveroso da parte mia sciupare qualche rigo
a favore di un animale bistrattato da sempre, sul quale si è scatenato un
razzismo inspiegabile: il porco.Solo qualcuno ha cercato di addolcire quest’odio irrazionale chiamandolo
maiale, ma il risultato non è cambiato di
molto; qualcosa si è ottenuto col vocabolo suino,
che generalizza e disperde.
Si dà del porco a chi abusa in
modo sregolato di cibo e di sesso, a chi fa le
porcherie. Si è inventata persino questa parola per indicare cose che vanno oltre il
normale senso del pudore.Si dà della
troia o della porcona
a chi usa il sesso in maniera facile, come se gli esemplari femminili di tutte
le altre razze animali fossero delle verginelle.
Oltretutto si tratta di un animale sfruttato e violentato fin dalla nascita, e
che dopo morto perdona e si offre all’uomo in tutta la sua bontà. Il porco è un martire! Non credete che porco Giudasia quasi
un’offesa anche per il traditore più infame della storia?
Ed il povero animale ne soffre, perché sente che in chiesa si sta osannando
all’agnello di Dio.
Quando non si sa con chi prendersela, si pronuncia
la parola magica ed i modi di dire correnti denotano tutto il disprezzo che si
nutre per questa povera vittima.Porco cane si dice per offendere il cane, anziché dire mannaggia! si usa dire
porca Miseria,porca Eva, oppure più volgarmente pocca
buttana o porca
troia; al nord dicono perfino Maremma
maiala!.
Questo è razzismo della peggiore specie; altro che vita
da cani, quella del porco è la peggiore!
Spesso l’uomo, in molte sue espressioni, è molto
più porco del porco, difatti egli lo alleva
da più di 6000 anni trattandolo sempre con la stessa ferocia e facendo solo i
suoi porci comodi.
Appena svezzato, l’uomo lo comincia ad ingozzare di tutti i suoi avanzi, chiama
scifu o schifu
il contenitore del cibo e poi gli riserva una sorpresina: lo castra in massa,
tranne qualche raro esemplare raccomandato di maschio (verro) o di
femmina (scrofa) lasciati per la riproduzione.
Esiste anche un mestiere specifico (sanatùri)per questa nobile arte.
A proposito di castrazione, anche qui c’è una pregiudiziale; per
castrato si intende l’agnello, che spesso non
viene neanche castrato, ma nessuno si è mai posto il problema che anche il porco
ha perso i suoi attributi; chi se ne frega, tanto quello
è un porco!Togliendo le
palline al porco e le ovaie alla porca si toglie loro il gusto della vita, il
gusto ogni tanto di raschiare il Paradiso.Ma poi mi
chiedo: come faranno a fare le porcherie se sono stati sterilizzati? Alla fine,
non avendo nient’altro di meglio da fare, non rimane loro che mangiare ed
ingrassare, tanto che nel giro di un anno possono raggiungere il quintale.
Una volta al porco si dava da mangiare la ghianda, adesso se la può solo
sognare, per questo si dice: U poccu si
‘nsonna a ghiànna!
Quando l’uomo ha raggiunto il suo scopo, lo scanna letteralmente, oppure, alcuni
più umani gli sparano un chiodo d’acciaio al cervello, per farlo soffrire di
meno, o forse per non esaurirsi a sentirlo gridare come un dannato.
Dopo sgozzato lo mettono a testa in giù per fargli buttare il sangue, in modo
tale che la carne diventi migliore.
Neanche quel sangue viene versato inutilmente, perché se ne fanno
‘mpènnuli ‘i sangunàzzu, cioè
insaccati che verranno poi bolliti, fritti o
addirittura trasformati in dolci con zucchero, uva passa e pinoli.
Finalmente, dopo che per una vita gli hanno fatto
fare il porco, si decidono a lavarlo, ma con pentoloni di acqua bollente, per
togliere quelle setole che servivano a fare
spazzolini o pennelli.
Dopo averlo disinfettato con acqua, sale e limone si procede allo sventramento,
ponendo attenzione particolare a non rompere la bile che ha accumulato per tutta
la vita e che sarà l’unica cosa che si butta via, oltre ai denti ed agli occhi.
Si passa quindi alla separazione delle parti molli; si toglie per primo il
fegato con il suo grasso caratteristico a forma
di calzamaglia (velu), che lo renderà
squisito quando verrà arrostito sulla brace.
Poi si toglie il cosiddetto campanàru,
costituito dal cuore e dall’apparato
respiratorio, che serve a fare un ottimo soffritto; i
reni e l’apparato uro
– fecale, chiamato ossu pizzìnu,
per tradizione vengono consumati subito arrostiti.Le
budella si puliscono, si salano e saranno poi
utilizzate per contenere salsiccia e
salame; lo stomaco,
accuratamente pulito, si può cucinare farcito.
Anche la testa, comprese
orecchie e grugno(fùncia), si consuma generalmente bollita,
ed il grasso che ne rimane si conserva sotto forma di
sugna.Il piede di
porco, oltre ad essere usato dagli scassinatori,
si cucina anche bollito, oppure, disossato ed imbottito si trasforma in
zampone che si conserva per la cena di fine
anno perché dicono che sia di buon auspicio.
Il povero Cristo rimane appeso a testa in
giù per 12 ore, dopodiché il carnefice lo spàscia,
vale a dire lo seziona nei particolari pregiati:
costate, spalla, coscia, lombata, cotiche
(da noi si chiamano “scocce”, che letteralmente
significano bucce, come se si trattasse di un frutto. Forse questa è l’unica
cosa tenera che gli è stata riservata dalla vita)
e così via.
Ciò che non si può consumare in un lasso ragionevole di tempo andrà a finire
insaccato dentro le sue stesse budella come salame.
A questo punto è d’obbligo un encomio a tutta la zona di
S. Angelo di Brolo, dove esistono ancora querceti ed un microclima
favorevole, dove si è fatta del maiale un’arte, dove si produce un favoloso
salame degno delle migliori tavolate, anche se quello delle altre zone, fatto
con prodotti locali, non scherza per niente.Dal grasso
meno pregiato che rimane se ne ricava strutto
e ciccioli(zirìnguli). È vero che non si butta praticamente niente.
Una concezione particolare del matrimonio ed una
perfetta conoscenza del maiale facevano dire ad un vecchio proverbio dialettale: - Cu si marìta stà cuntèntu un
jònnu, cu ‘mmazza un poccu stà cuntèntu un annu!
Vista la qualità del cibo che l’uomo gli propina e
le condizioni igieniche in cui è costretto a vivere, la carne del maiale può
essere anche pericolosa se non sottoposta a controlli sanitari, tanto che alcuni
popoli, come ebrei e musulmani, per il si e per il no, ne hanno vietato l’uso
con la religione.
Pare che tutti i porci si stiano convertendo alle religioni orientali.
Dato che la macellazione, anche per favorire la
conservazione della carne, avviene nei mesi freddi, si è sempre associato il
porco al carnevale, durante il quale si
fanno orge e bagordi con costate,
salsiccia e maccheroni conditi col
sugo di maiale.
Quand’ero ragazzino ed i maiali erano locali, mi ricordo che il macellaio del
mio paese ne esponeva uno, per tutto il periodo di carnevale, con una lampadina
accesa in bocca ed un fiocco (nnocca) rosso
al collo in segno di festa.
In onore del porco si è voluto chiamare grasso
il giovedì precedente alle feste, a perenne ricordo di quell’animale tanto
odiato in vita, quanto amato dopo la morte.
Un insegnamento a non essere eccessivamente tirchi, a godere un po’ delle cose
buone della vita, veniva impartito agli allevatori di maiali da un altro vecchio
proverbio:
-
Cu ‘ddeva poccu e non mància poccu, è cchiù
poccu d’u poccu!
Concluderei schierandomi, perfettamente d’accordo, dalla parte del professor
Vecchioni che in una sua recente lezione di danza classica e moderna insegnava: - Meglio esser porci per lo più,
però poeti nel momento clou.