www.colapisci.itL'uomo che diventa pesce per necessità o per scelta


L'arte di fare il porco


'u galatotu a Vulcanello

Sento doveroso da parte mia sciupare qualche rigo a favore di un animale bistrattato da sempre, sul quale si è scatenato un razzismo inspiegabile: il porco. Solo qualcuno ha cercato di addolcire quest’odio irrazionale chiamandolo maiale, ma il risultato non è cambiato di molto; qualcosa si è ottenuto col vocabolo suino, che generalizza e disperde.

Si dà del porco a chi abusa in modo sregolato di cibo e di sesso, a chi fa le porcherie.
Si è inventata persino questa parola per indicare cose che vanno oltre il normale senso del pudore. Si dà della troia o della porcona a chi usa il sesso in maniera facile, come se gli esemplari femminili di tutte le altre razze animali fossero delle verginelle.
Oltretutto si tratta di un animale sfruttato e violentato fin dalla nascita, e che dopo morto perdona e si offre all’uomo in tutta la sua bontà.
Il porco è un martire!
Non credete che porco Giuda sia quasi un’offesa anche per il traditore più infame della storia? Ed il povero animale ne soffre, perché sente che in chiesa si sta osannando all’agnello di Dio.

Quando non si sa con chi prendersela, si pronuncia la parola magica ed i modi di dire correnti denotano tutto il disprezzo che si nutre per questa povera vittima. Porco cane si dice per offendere il cane, anziché dire mannaggia! si usa dire porca Miseria, porca Eva, oppure più volgarmente pocca buttana o porca troia; al nord dicono perfino Maremma maiala!.
Questo è razzismo della peggiore specie; altro che vita da cani, quella del porco è la peggiore!

Spesso l’uomo, in molte sue espressioni, è molto più porco del porco, difatti egli lo alleva da più di 6000 anni trattandolo sempre con la stessa ferocia e facendo solo i suoi porci comodi.
Appena svezzato, l’uomo lo comincia ad ingozzare di tutti i suoi avanzi, chiama scifu o schifu il contenitore del cibo e poi gli riserva una sorpresina: lo castra in massa, tranne qualche raro esemplare raccomandato di maschio (verro) o di femmina (scrofa) lasciati per la riproduzione. Esiste anche un mestiere specifico (sanatùri) per questa nobile arte.
A proposito di castrazione, anche qui c’è una pregiudiziale; per castrato si intende l’agnello, che spesso non viene neanche castrato, ma nessuno si è mai posto il problema che anche il porco ha perso i suoi attributi; chi se ne frega, tanto quello è un porco! Togliendo le palline al porco e le ovaie alla porca si toglie loro il gusto della vita, il gusto ogni tanto di raschiare il Paradiso. Ma poi mi chiedo: come faranno a fare le porcherie se sono stati sterilizzati? Alla fine, non avendo nient’altro di meglio da fare, non rimane loro che mangiare ed ingrassare, tanto che nel giro di un anno possono raggiungere il quintale.

Una volta al porco si dava da mangiare la ghianda, adesso se la può solo sognare, per questo si dice:
U poccu si ‘nsonna a ghiànna!

Quando l’uomo ha raggiunto il suo scopo, lo scanna letteralmente, oppure, alcuni più umani gli sparano un chiodo d’acciaio al cervello, per farlo soffrire di meno, o forse per non esaurirsi a sentirlo gridare come un dannato.
Dopo sgozzato lo mettono a testa in giù per fargli buttare il sangue, in modo tale che la carne diventi migliore.
Neanche quel sangue viene versato inutilmente, perché se ne fanno ‘mpènnuli ‘i sangunàzzu, cioè insaccati che verranno poi bolliti, fritti o addirittura trasformati in dolci con zucchero, uva passa e pinoli.

Finalmente, dopo che per una vita gli hanno fatto fare il porco, si decidono a lavarlo, ma con  pentoloni di acqua bollente, per togliere quelle setole che servivano a fare spazzolini o pennelli.
Dopo averlo disinfettato con acqua, sale e limone si procede allo sventramento, ponendo attenzione particolare a non rompere la bile che ha accumulato per tutta la vita e che sarà l’unica cosa che si butta via, oltre ai denti ed agli occhi.
Si passa quindi alla separazione delle parti molli; si toglie per primo il fegato con il suo grasso caratteristico a forma di calzamaglia (velu), che lo renderà squisito quando verrà arrostito sulla brace.
Poi si toglie il cosiddetto campanàru, costituito dal cuore e dall’apparato respiratorio, che serve a  fare un ottimo soffritto; i reni e l’apparato uro – fecale, chiamato ossu pizzìnu, per tradizione vengono consumati subito arrostiti. Le budella si puliscono, si salano e saranno poi utilizzate per contenere salsiccia e salame; lo stomaco, accuratamente pulito, si può cucinare farcito.
Anche la testa, comprese orecchie e grugno (fùncia), si consuma generalmente bollita, ed il grasso che ne rimane si conserva sotto forma di sugna. Il piede di porco, oltre ad essere usato dagli scassinatori
, si cucina anche bollito, oppure, disossato ed imbottito si trasforma in zampone che si conserva per la cena di fine anno perché dicono che sia di buon auspicio.

Il povero Cristo rimane appeso a testa in giù per 12 ore, dopodiché il carnefice lo spàscia, vale a dire lo seziona nei particolari pregiati: costate, spalla, coscia, lombata, cotiche (da noi si chiamano “scocce”, che letteralmente significano bucce, come se si trattasse di un frutto. Forse questa è l’unica cosa tenera che gli è stata riservata dalla vita) e così via.
Ciò che non si può consumare in un lasso ragionevole di tempo andrà a finire insaccato dentro le sue stesse budella come salame.
A questo punto è d’obbligo un encomio a tutta la zona di S. Angelo di Brolo, dove esistono ancora querceti ed un microclima favorevole, dove si è fatta del maiale un’arte, dove si produce un favoloso salame degno delle migliori tavolate, anche se quello delle altre zone, fatto con prodotti locali, non scherza per niente. Dal grasso meno pregiato che rimane se ne ricava strutto e ciccioli (zirìnguli).
È vero che non si butta praticamente niente.

Una concezione particolare del matrimonio ed una perfetta conoscenza del maiale facevano dire ad un vecchio proverbio dialettale:
- Cu si marìta stà cuntèntu un jònnu, cu ‘mmazza un poccu stà cuntèntu un annu!

Vista la qualità del cibo che l’uomo gli propina e le condizioni igieniche in cui è costretto a vivere, la carne del maiale può essere anche pericolosa se non sottoposta a controlli sanitari, tanto che alcuni popoli, come ebrei e musulmani, per il si e per il no, ne hanno vietato l’uso con la religione.
P
are che tutti i porci si stiano convertendo alle religioni orientali. 

Dato che la macellazione, anche per favorire la conservazione della carne, avviene nei mesi freddi, si è sempre associato il porco al carnevale, durante il quale si fanno orge e bagordi con costate, salsiccia e maccheroni conditi col sugo di maiale.
Quand’ero ragazzino ed i maiali erano locali, mi ricordo che il macellaio del mio paese ne esponeva uno, per tutto il periodo di carnevale, con una lampadina accesa in bocca ed un fiocco (nnocca) rosso al collo in segno di festa.
In onore del porco si è voluto chiamare grasso il giovedì precedente alle feste, a perenne ricordo di quell’animale tanto odiato in vita, quanto amato dopo la morte.
Un insegnamento a non essere eccessivamente tirchi, a godere un po’ delle cose buone della vita, veniva impartito agli allevatori di maiali da un altro vecchio proverbio:
-
Cu ‘ddeva poccu e non mància poccu, è cchiù poccu d’u poccu!

Concluderei schierandomi, perfettamente d’accordo, dalla parte del professor Vecchioni che in una sua recente lezione di danza classica e moderna insegnava:
- Meglio esser porci per lo più, però poeti nel momento clou.

 

Uccio, 'u galatotu

 


'u galatotu verso Salina

 

   

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