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In dialetto messinese si dice pilu il pelo, ma anche il capello, che difatti si chiama: pilu ‘i capìddu. Del piluvèmmu abbiamo già detto nella parte dedicata alle pesche (a proposito, anche le pesche possono essere c’u pilu o “senza pilu.). Messina ha da sempre avuto una stretta, atavica connessione specifica con il pelo. Pèlope, eroe della mitologia greca, diede il suo nome al Peloponneso e passò alla leggenda non per i giochi olimpici che aveva inventato, ma per una corsa di carri, contro un re, nella quale c’era in palio la morte o il possesso della figlia del re: Ippodamia (si dice che Ippodamia fosse molto peloponnesosa, da Pelo= pelo e ponnesosa= folto e riccio). Pelope, che era già morto e resuscitato una prima volta, avendo paura di morire di nuovo, cercava il pelo nell’uovo, truccò la corsa e vinse per un pelo.
Ma voi direte: che c’entra Messina con tutto questo pelo? C’entra! C’entra! Difatti il Peloponneso aveva sulle sue coste una regione chiamata Messenia, di cui faceva parte Pilo, una delle più belle e fiorenti (a quell’epoca si diceva fiorente una città piena di fiorellini) città marinare di tutta l’antica Grecia. Pilo fu costruita da Neleo, padre di Nestore, eroe di quella mitica guerra scatenata dalla Troia di Elena che infiniti addusse lutti agli Achei e che poi costrinse Nessuno a girovagare per venti anni prima di ritornare alla sua reggia invasa da quei porci dei proci. L’eroe di quella lunghissima guerra fu Achille, per caso chiamato il pelìde, ma solo perché era figlio di Peleo, non perché abitava a Pilo. Mi ricordo che da ragazzini ci confondeva questo fatto, per cui spesso iniziavamo l’Iliade con: Contami o Diva i peli di Achille, l’ira funesta ecc., ecc. Ma tornando a Nestore, re di Pilo, si sa che fu un re saggio, pietoso e prudente, molto amato dagli Dei, tanto che Apollo lo fece vivere fino a 300 anni. Sotto il suo lungo regno i pilesi, o pilosi, raggiunsero il massimo dello splendore e, desiderosi di colonizzare altre terre, lasciarono la Messenia e si spostarono verso la Magna Grecia. Qui Anassila, un tiranno messeno che imponeva la sua volontà su Reggio Calabria (veniva però dalla Messenia, non dalla Reggitanea), conquistò Zancle, già greca ma di origini calcidiesi, la popolò di paesani e le impose in nome di Messana. In queste meravigliose terre i greci chiamarono Peloro (quasi sicuramente Pelo d’oro) il più bello degli angoli del triangolo della Trinacria. Spostandosi nel vicino entroterra diedero lo stesso nome ai monti adiacenti, Peloritani, ed anche ai Canterini che trovavano per strada. Messina acquistò nel tempo un certo spessore storico-culturale che si aggira attorno ai 6 metri; infatti, basta scavare al di sotto di questa profondità in un qualsiasi punto del centro o delle vicinanze, per fare quasi certamente interessantissimi ritrovamenti archeologici di ogni epoca vissuta dall’uomo. Ciò è dimostrato dal fatto che sono stati ritrovati fossili di animali preistorici durante gli sbancamenti delle zone della Panoramica; mentre di epoche più recenti sono gli innumerevoli reperti rinvenuti in periferia, da Camaro a Capo Peloro, da Pistunina a Monte Tidora, oppure in centro città: penisola di S. Ranieri, via dei Mille, via C. Battisti, Palazzo di giustizia, Casa dello studente, via La Farina, via Torino, via Industriale, via S. Marta, Municipio, Hotel Royal, ecc. Il mare ci ha ridato indietro quasi niente di ciò che nei millenni Cariddi ha ingoiato o i pirati e le guerre hanno affondato; solo pochi relitti sono stati riportati alla luce a Capo Rosocolmo, Paradiso, Mili, Briga Marina ed Alì e chissà quanti altri tesori giacciono ancora sotto queste acque e queste terre che hanno partecipato al lungo travaglio storico dell’umanità! Chissà quante altre meraviglie sono state occultate, trafugate o spietatamente cementate da una scarsa cultura o, peggio ancora, da un’innata diffidenza per le istituzioni e dalla quasi giustificata paura della burocrazia che, anziché valorizzare questi ingenti tesori, blocca lavori, non dà alcun alternativo indennizzo, procura invece notevoli danni economici agli interessati. Ma rientriamo in tema. A Camaro sono stati rinvenuti diversi piccoli monili di ottima fattura, a forma di mandolino, rappresentanti divinità femminili; tali reperti che risalgono al 3200 - 2800 a.C. appartengono alla cosiddetta Cultura di Pelos. Sono forse i testimoni più antichi di vita sociale locale; non a caso la leggenda attribuisce la fondazione della città alla cammaròta Mata. A S. Ranieri invece sono state ritrovate monete in bronzo risalenti al 411 a.C. (come faranno ad essere così precisi? forse c’era scritto 411 a.C., ma chi le ha coniate come faceva a sapere che 411 anni dopo sarebbe nato Cristo?), ottimamente conservate, che recano l’incisione Pelorias, a testimonianza del culto cittadino riservato a questa ninfa. Messina per secoli fu sede di una fiorente Zecca, adesso nella penisola in cui sono state ritrovate queste monete, le zecche sono di tutt’altro tipo. L’impero romano si magnò poi la Magna Grecia, e continua a magnarsi la Magna Italia. La filosofia comunista di Gesù Cristo si magnò l’impero romano e, nei primi anni di questa nuova cultura si sviluppò in Messina il culto per un famosissimo pelo, quello dei capelli della Madonna, con cui la stessa Dama Bianca volle legare la famosa Lettera ai Messinesi, dato che la ceralacca non era stata ancora inventata. Quella lettera sancì per sempre la materna protezione della città e dei suoi abitanti e la costante devozione popolare verso la Madre di Cristo. Per questo fatto molta gente è costretta a chiamarsi Letterio o Letteria, Lillo o Lilla o, più modernamente Lilly; nomi propri di persona senz’altro in esclusiva mondiale. Chi porta questo nome si incazza come una bestia quando, specialmente al nord, viene chiamato Lettèrio o Lettèria con l’accento sulla e; però si consola col fatto che se fossero esistite allora le cartoline postali, avrebbero potuto chiamarsi Cartolino o Cartolina, o al massimo Lino o Lina.
Gli aragonesi di Francia, in seguito, introdussero il peluche (pilùsciu) e con un lungo malgoverno ci ‘llisciàru u pilu ai siciliani, che a loro volta, con una reazione storica che fece rizzàri u pilu al mondo intero, fecero pilu e contrapìlu ai galletti francesi. Nel XVII° secolo, senza peli sulla lingua, si sparlava in città di una certa Louise Èleonore de La Tour du Pil, baronessa di Warens, gentildonna svizzera che abbandonato il marito divenne l’amante di Rousseaux. Nel XIX° secolo si ebbe l’epopea garibaldina, durante la quale, oltre Garibaldi che fu un eroe dell’altro Mondo, il personaggio che più di tutti ha lasciato un ricordo ancora vivo nella memoria dei siciliani fu il patriota palermitano Rosolino Pilo. È notorio che gli insorti messinesi aderirono in massa al reclutamento fra i picciotti solo perché avevano saputo che c’era Pilo, che senza dubbio esercitava un enorme fascino sulle masse. Su di lui sono state tenute conferenze, tavole rotonde, seminari, ed ancora oggi se ne parla dovunque, per le strade, nei bar, tanto che quando si nota un gruppetto di persone che parlottano fra loro, una delle frasi fatte più ricorrenti è: Scusàti, chi parràti di Pilu? ‘Ntricàtimi! Arrivando ai giorni nostri, si può notare come, sempre più spesso, si senta parlare di PIL., che sarebbe poi il Prodotto Interno Lordo (Prodòttu Intènnu Loddu), ma qui, sia per questioni di spazio, di tempo ed anche di igiene, trascureremo questo aspetto che interessa la cosiddetta matemàtica pilùsa.
Uccio, 'u galatotu
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