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Nel profondo sud dell’animo umano c’è sempre stata una sensazione di smarrimento, di angoscia e di rispetto per qualcosa di misterioso ed arcano, per qualcosa di molto più grande dell’uomo, per il mistero più strano della vita: la morte.
C’è un vecchio
proverbio dialettale, colmo di filosofia, che dice:
Possiamo fare
qualche considerazione: intanto quando decidiamo di mettere al mondo un
nuovo essere umano, stiamo decidendo contemporaneamente che egli dovrà anche
morire. Stiamo decidendo pure di dargli una vita in
cui per circa un terzo del tempo che avrà a disposizione dovrà dormire,
quindi essere incosciente; se è fortunato e destinato a vivere 75 anni, avrà
la sfortuna quindi di aver dormito per 25 anni!. Vedrà dei piccoli uomini correre ed affannarsi inutilmente sopra un piccolissimo mondo che gira attorno ad un piccolo sole senza capirne il motivo, vedrà commettere abusi, soprusi e crudeltà, vedrà azzannarsi le persone alla conquista di una poltrona che li faccia sentire più importanti, e sarà fortunato se non gli toccheranno gli orrori della guerra o la fame o il freddo. E allora perché mettere al mondo dei figli?
La risposta è che l’uomo, piccolo e meschino com’è, ha bisogno di rispecchiarsi in un altro essere, migliorato, possibilmente riveduto e corretto; spera che almeno il figlio possa riuscire a capire ciò che lui non ha mai capito.
C’è sempre e
solo un sottilissimo filo che lega la vita alla morte; in un solo attimo si
passa dall’una all’altra, dall’esistenza al nulla, dalla luce al buio.
Gli eventi storici hanno fatto di Messina una città che ha sempre avuto una coabitazione forzata con la morte; vuoi per le infinite guerre combattute, vuoi per le pestilenze che le hanno decimato intere generazioni, per i tremendi terremoti e maremoti che l’hanno distrutta più volte o per i bombardamenti a tappeto subiti. Poche popolazioni hanno saputo affrontare, allo stesso modo, la sofferenza della morte ed hanno avuto la forza e la voglia di risorgere dopo ogni immane disgrazia. Forse per ciò è nato un sentimento ancora più profondo di rispetto per l’aldilà e per i suoi abitanti.
Quello di
Messina è uno dei più imponenti cimiteri monumentali d’Italia, fu progettato
dall’architetto messinese Leone Savoja, ed è ancora ben tenuto, nonostante
si facciano sentire adesso gli effetti del super affollamento
(del resto i morti non
possono mai diminuire, sono come le tasse: sempre in aumento!);
vi sono stati costruiti all’interno degli aberranti isolati.
Su uno dei tre
colli che dominano la città, precisamente dove una volta c’era la fortezza
di Mata e Grifone, adesso si erge Cristo Re, che è un cimitero di guerra, un
sacrario della 1ª e 2ª guerra mondiale dedicato alla memoria dei caduti per
la Patria.
Dai greci
abbiamo ereditato il modo forse plateale di piangere i morti, dagli arabi il
senso di malinconia e dal cristianesimo il misticismo che vi aleggia
attorno.
Dagli spagnoli
abbiamo ereditato poi la platealità delle celebrazioni religiose, per cui
ogni Venerdì Santo esce ancora oggi, dopo circa mezzo millennio, la
processione delle Varètti che è una
delle manifestazioni più seguite dai fedeli.
All’origine si portava a spalla un’immagine dell’Addolorata, un simulacro di
bara con il Cristo morto ed altre piccole bare; col tempo i gruppi statuari
hanno subito notevoli modificazioni tanto che ai giorni nostri sono
diventati una specie di Via Crucis con 11 gruppi che rappresentano:
La cena, L’orto, La flagellazione,
L’Ecce Homo, Gesù nel sepolcro, e così via.
La morte della
Madonna e la relativa Assunzione in cielo vengono invece rappresentate,
molto più teatralmente e sempre con gusto tipicamente spagnolo e medioevale,
dalla Vara, che è il simbolo dei
festeggiamenti dell’agosto messinese. Vara e Varètti, in origine Bara e Barette, rappresentano quindi il trionfo della vita eterna sulla morte, della Resurrezione sulla Passione, del riposo dopo la sofferenza.
Ai morti comuni
è invece concesso il 2 novembre, giorno in cui con serena, cristiana
rassegnazione ognuno si ricorda di loro, si reca nei vari cimiteri
riempiendone i vasi di fiori ed i piazzali di macchine, ma tutto in
un’atmosfera quasi di festa; molti usano sfoggiare i capi di abbigliamento
più eleganti ed all’ultima moda.
Uccio, 'u galatotu
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