"Si maritàu Rosa,
Sarina e Pippinèdda e iò chi sugnu bedda mi vògghiu maritàri
……" sono le prime
strofe di una vecchia canzone dialettale.
Di
Sarina e
Pippinèdda ce ne possiamo anche fregare, ma di
Rosa no.
È questo il nome più bello che si sia mai potuto dare ad una donna, perché
associa la femminilità ad un fiore dall’odore intenso, sempre bello da
vedersi: da quando sboccia, fiorellino stupendo, a quando cresce con tutte
le sue sfumature, fino a quando sfiorisce aprendo quei petali da cui si può
anche trarre il delicato e profumatissimo rosolio.
Il nome Rosa è
molto diffuso al sud in tutte le sue varianti:
Rosalia, Rosalba, Rosanna, Rosetta, Rossella, Rosangela, Rosy, Rosamunda
(questo
nome viene usato solo dagli appassionati di liscio, perché ricorda una
famosa polka, anzi, dicono che si trattasse di una polkona).
Ma la Rosa che più ci interessa fu una bellissima, prosperosa
ed avvenente ragazza che una volta decise di andare a riposarsi in quel
meraviglioso paradiso delle Eolie.
Stava prendendo il sole in monokini, con le poppe al vento, quando il
Dio dei 20 la vide; se ne innamorò subito e la
sfiorò con una sofficissima brezza marina; Rosa fu stregata da quel bacio
delicato, si lasciò andare e per molto tempo divenne l’amante di
Eolo che per ricompensarla la rese immortale,
la trasformò in una straordinaria stella a sedici punte e la chiamò
Rosa dei Venti.
Stretto di Messina
Eolo aveva la
testa fra le nuvole, in un primo momento aveva preso la cosa all’acqua
di Rosa, ma col passare del tempo si rese conto che solo ora era
finalmente felice, fresco come una Rosa,
vedeva tutto Rosa, cominciava letteralmente a perdere la
tramontana per quella donna, tanto che la
puntò verso Nord e chiamò tramontana il vento che spirava da quella
direzione.
Poi sulle altre punte della sua stella mise in ordine altri sette venti
principali: greco, levante, scirocco, ostro,
libeccio, ponente e maestrale.
Tra l’uno e l’altro pose otto mezzi venti e, tra questi ultimi, sedici
quarte (totale 32); infine prese Rosa e la
disegnò su tutte le bussole.
L’idillio durò
secoli, durante i quali i due piccioncini si nutrivano con la farina del
loro sacco ricavata dai mulini a vento che Eolo
aveva costruito.
Un bel giorno
Rosa invitò un amico spagnolo, di professione barista, inventore della
mancia obbligatoria, il famoso
Don Chisciotte della Mancia.
Ma quando lo strano straniero cominciò a rompere le
pale dei mulini Eolo si incazzò come una bestia, gli girarono
gli aghi magnetici, perse la bussola e decise di rispedirlo a quel paese.Inventò il tornado (in spagnolo ritornato),
gli fece la carica a suon di tromba d’aria e lo
mandò via col vento.
A questo punto ebbe una ispirazione e dettò il proverbio: - Ci voli u ventu ‘ntà chièsa, ma no mi stuta i
cannìli!
I due
innamorati ripresero a vivere tranquilli, quando non facevano l’amore, Eolo
le spiegava tutto sui moti dell’aria sulle sue direzioni ed intensità, e se
poi faceva molto vento, egli la copriva amorevolmente con la sua giacca: la
famosa giacca a vento.
Rosa gli disse: Ti amo, sono felice, vorrei
gridarlo ai quattro venti! Fu così che Eolo ebbe il dubbio di
parlare al vento, ricominciò a spiegare e finalmente Rosa capì,
contrariamente a quanto aveva sempre pensato, che i venti non sono quattro,
non sono venti ma la bellezza di trentadue.
Messina
Ad ogni città
assegnarono un vento, venticello o ventotto caratteristico, tipico del
luogo.
A Messina, che era la loro città, toccò lo scirocco
che, anche per fare rima, assieme a malanòvi
e piscistòccu diventò una delle
specialità.
Ed ecco perché a Messina di ventotto ce n’è uno e tutti gli altri ne han
trentuno.
Lo scirocco
(dall’arabo Shuluq, vento di mezzogiorno
- è un vento caldo che spira fra levante e mezzogiorno (S.E.), quindi
dall’Africa.(Da
noi non ci sono orari, lo scirocco spira di giorno, di notte ed in ogni
stagione)
Per i paesi arabi dell’Africa settentrionale corrisponde al
ghibli (dall’arabo
Qibli, meridionale) che assume per loro un significato sacro
poiché indica la direzione della Mecca.
Da noi è un vento locale provocato da depressioni sul Tirreno in
concomitanza con alte pressioni sul deserto africano, ambedue molto
frequenti.
Lo scirocco vero e proprio, che originariamente è caldo e secco,
attraversando il Mediterraneo spesso si carica di umidità e ci giunge umido
ed appiccicaticcio.
Capita di frequente che porti in sospensione finissima sabbia dei deserti
sollevata a sua volta da un altro vento africano, il simun (dall’arabo Samün).
Un vecchio proverbio, scritto in un’era volgare, recita: - U sciròccu senza iàcqua è
com’a fìmmina senza spacca!
L’insegnamento
che esso vuole dare è che lo scirocco non seguito da pioggia è quasi senza
senso, difatti spesso l’umidità si condensa trasformandosi in pioggia, ed è
allora che sull’intera area si deposita un sottile strato di terra rossiccia
(la cosiddetta pioggia di sangue), che quando l’acqua evapora aderisce ad
ogni superficie.
A volte, quando l’Etna erutta, invece della terra rossiccia lo scirocco
trasporta polvere nera.
Insomma, il passatempo preferito del dopo scirocco è quello di lavare
balconi, terrazze e oggetti vari, portare le auto al lavaggio e lavare di
nuovo la biancheria accidentalmente rimasta fuori.
Bonaccia a Vulcano
Quando spira un
vento qualsiasi, prima o poi arriverà una ’mmanticàta,
la calma prima dello scirocco; dopodiché si possono verificare tre casi:
bonaccia (cammarìa)
o sciròccu, oppure peggio ancora
sciròccu eluvànti.
Raramente lo Stretto si trova in posizione di quiete, ma quando ciò avviene
lo spettacolo è garantito ed è pressoché inimitabile; non solo di giorno ma
anche e soprattutto di notte, quando come in un magico specchio si
riflettono 1001 luce, quelle di due città e quella della luna.
Qualche volta lo scirocco si ferma completamente e sovrasta la zona con una
cappa umida ed afosa da effetto serra; questo fenomeno viene chiamato
llupatìna.
Se invece la
direzione di provenienza del vento si sposta verso Est-Sud-Est. si
verificherà il temuto scirocco e levante
che di solito provoca mareggiate (sciruccàti)
flagellando la costa ionica con onde a volte altissime e dannose.
Alla fine di una mareggiata, per qualche giorno, rimarrà la risacca (marètta);
in questi periodi è come se ci fosse un fermo biologico naturale, poiché la
pesca diventa proibitiva.
Maretta a Briga
La frequente
convivenza con lo scirocco portò i popolani a studiare e tramandarsi tutti i
segni premonitori di questo vento, tanto che, con centinaia di proverbi e
modi di dire, le previsioni del tempo casalinghe senza satelliti né TV,
fanno parte della vecchia cultura popolare.
Si spaziava
dalla forma delle nubi e dalla loro posizione al tremolio (pappaddiàri)
delle luci di Villa, dal movimento dei cefali dentro i laghi di Ganzirri
alla disposizione del fumo dell’Etna, dal passaggio del capodoglio alla
posizione in cui si prendono certi pesci con le reti.
Molti di questi segni erano magari casuali, ma spesso si azzeccava, tanto,
prima o poi lo scirocco sarebbe arrivato.
Questo nostro
vento è anche dannoso alla vegetazione, specie durante la fioritura; col suo
calore riesce addirittura a bruciare le
foglie di molte piante sensibili. Inoltre produce strani fenomeni, per esempio, quando c’è scirocco non
si può travasare il vino, poiché botti e damigiane sembrano ribollire; anche
le fogne sembrano entrare in fermento, per cui dai tombini a volte
fuoriescono cattivi odori capaci di sopraffare i profumi esterni.
Ma l’effetto
collaterale più pazzesco è quello che lo scirocco esercita cinicamente su
alcune persone che hanno già i loro problemi: i balbuzienti.
Tanto che è modo di dire comune: - E chi iè, sciròccu!
I poverini, in
questo periodo cercano di parlare il meno possibile e se poi hanno qualche
messaggio importante da lanciare ed un pizzico di auto – umorismo,
preferiscono farlo con bigliettini scritti.