La
leggenda dice che alla morte di Achille i suoi guerrieri Mirmidoni,
espertissimi lancieri, per la disperazione si buttarono in mare e la Dea
Tetide li trasformò in pesce spada.
La storia dice che la pesca al pesce spada si praticava già nel II° secolo
a.C., difatti storici greci di quel periodo ne descrissero dettagliatamente
tecnica ed attrezzatura.
Per più di duemila anni, cioè fino a quando le barche andarono a remi, la
tecnica di pesca originaria è rimasta pressoché invariata: bisognava
avvistare il pesce, inseguirlo o attenderlo, lanciargli un’arma addosso e
lottare con lui fino alla morte; già i greco-siculo-calabri pescavano così!
Scilla
Dall’alto della rocca di
Scilla, da terra quindi, una vedetta indirizzava gridando a viva voce una
veloce barca sottostante, con a bordo un rematore ed un lanciatore, verso la
preda.
L’uomo scagliava una lunga asta fatta di due legnami diversi (quercia ed
abete), munita di punta, che si sganciava poi dall’asta; quest’ultima a
causa del differente peso specifico dei due legnami, rimaneva in superficie
in posizione verticale ed era perciò facilmente visibile e ricuperabile.
Tre personaggi erano quindi indispensabili per questa pesca: la
vedetta per l’avvistamento, il
rematore per l’inseguimento ed il
lanciatore per la cattura.
Però, se dalla costa calabra l’avvistamento poteva essere effettuato e
trasmesso a passa voce da varie postazioni sulla terraferma, da quelle
ionica e tirrenica del messinese ciò non era possibile, per cui si
cominciarono ad usare barche da posta,
ferme, munite di albero (ntinna) su cui,
novella scimmia, si arrampicava la vedetta (ntinnèri).
Quest’albero diventò sempre più alto: nel 1600 era 5 metri, nel 1700
diventava 15, oggi raggiunge i 30.
Feluca
La
barca si chiamò “filùca” o “filùa”
dal greco ephòlkion (scialuppa) e poi
dall’arabo faluk, e così si chiama
ancora oggi.
Le postazioni per l’avvistamento del pesce si chiamarono
poste e nel tempo andarono distribuite
equamente alle varie feluche; nel 1700 c’erano 30 feluche e 15 poste.
Ancora oggi i tratti di mare interessati alla passa
del pesce spada vengono divisi in poste in base alla quantità di feluche
esistenti e vengono annualmente sorteggiati ed assegnati ufficialmente dalla
Capitaneria di Porto ai vari capi barca.I guai
possono sorgere quando l’avvistamento avviene al confine fra due poste
adiacenti, è accaduto anche che nessuna delle due barche inseguitrici si sia
fermata e l’una ha sfondato la cabina dell’altra.
Capita pure, più civilmente, che i titolari di due poste vicine si mettano
d’accordo e lavorino in società (a patti),
così, mentre una scorrazza nelle due poste, l’altra va a cercare i pesci in
coste più lontane ed il ricavato andrà poi diviso fra i due equipaggi.
Luntru
Anche la seconda fase,
quella dell’inseguimento, ha subito fino ad un certo punto solo piccole
modifiche, per secoli si tese solo a raggiungere la massima velocità e la
migliore manovrabilità della barca da inseguimento.
Nacque una imbarcazione tipica, il luntru,
leggera, sfilata, velocissima, lunga fino a 6-7 metri che consentiva la
presenza di 6-8 abilissimi ed affiatati rematori e dell’indispensabile
llanzatùri a prua.
Della presenza nello Stretto del luntru
se ne ha notizia certa già dal 1478 e si sa pure che alla fine della
passa veniva utilizzato per il trasporto
veloce di piccole merci, posta ed informazioni fra le due sponde; era una
specie di antenato dell’aliscafo.
L’avvento del motore marino segnò la modifica sostanziale dell’antica pesca:
il luntru e la
feluca da posta morirono e la figura del rematore non ebbe più
senso, ormai l’avvistamento poteva essere fatto non più da fermi ma in
movimento e l’inseguimento a motore era molto più veloce.
Feluca moderna
Fu così che l’ingegno
umano realizzò la moderna feluca, unica
nel suo genere, fantastica e pittoresca, adatta alle tre fasi della pesca.
L’imbarcazione, sempre più grande e con motori sempre più potenti, venne
munita di ntinna alta fino a 30 metri,
costituita da un traliccio metallico munito di scala a pioli, in cima alla
quale c’è la coffa su cui prende posto
la vedetta.
I
comandi della feluca: acceleratore, marce e timone, attraverso ingegnosi
sistemi di trasmissione furono portati sulla coffa
ed azionati dalla vedetta che così assunse il duplice compito
dell’avvistamento e dell’inseguimento, dall’alto dei suoi dieci piani di
morbidezza aerea.
Però il pesce spada veniva disturbato dal rumore del motore e delle eliche
ed inoltre la sola altissima ntinna
avrebbe creato problemi di stabilità, per cui la feluca fu dotata sulla prua
anche di una passarèlla retrattile lunga
fino a 40 metri, anch’essa di traliccio metallico ancorato alla
ntinna ed alle strutture della barca da
un complicato sistema di cavi d’acciaio e di tiranti.
La passerella è retrattile perché, in caso di vento eccessivo, viene
ritirata conferendo così alla feluca una maggiore stabilità; alla sua
estremità anteriore, in largo anticipo rispetto alla barca stessa, trova
posto u ‘llanzatùri cui spetta
l’ultimo atto.
Solo a quest’ultimo personaggio, anche se in condizioni molto più
favorevoli, è rimasto invariato nei secoli il compito finale della cattura;
con lui deve essere però in perfetta armonia u
‘ntinnèri che deve portarlo in posizione di tiro, e solo se
questa armonia c’è, un vecchio pescatore compiaciuto potrebbe osservare:
- Minchia, ma sunnu chitàrra
e mandulìnu!
Passarella
“U
‘llanzatùri” è come Nettuno che scaglia il suo tridente, è come
il rigorista che deve segnare, non può sbagliare il tiro ed ha la
responsabilità del risultato; un solo errore gli può costare decine di
vafàntocùlu, ingiurie, sprechi di
Santa Nicola ed inviti a cambiare
mestiere.
A questo punto la sorte del pesce è segnata; prima libero ed elegante
ballerino del mare, ora ferito nel corpo o negli affetti, è destinato a
morire, ma lo farà lottando come sempre fino a dissanguarsi e fino
all’ultimo respiro.
Le urla ed il linguaggio,
dall’avvistamento alla cattura, come la frenesia della lotta, hanno un
sapore di antico ed anche le attrezzature usate sono rimaste sostanzialmente
quelle di una volta.
L’asta che viene scagliata è adesso un tubo di acciaio zincato, quindi più
pesante e perciò può far penetrare meglio la punta nel corpo del pesce. La
punta (traffinèra) è un arpione
d’acciaio appuntito munito di quattro alette (ricchi),
leggermente incastrato all’asta, con un foro (buttùni)
a cui viene legata la corda (calòma) per
il recupero finale.
La calòma viene appena appuntata con
sottile fil di ferro alla passerella ed è poi contenuta in apposito
canestro; un’altra corda serve a recuperare l’asta quando il pesce ferito
effettua un’istintiva partenza di difesa (mpaiàta)
facendo sganciare l’asta dall’arpione.
Se il pesce è grosso e combattivo e riesce a tirarsi dietro tutta la corda,
allora al finale di questa si legano dei grossi palloni di gomma o dei fusti
metallici che finiscono per sconfiggere la resistenza del pesce.
Ogni feluca ha 6-7 traffinère ben
sistemate con relative corde e canestri di contenimento, ciò perché, oltre
che con la parìgghia di pesce spada, ci
si può imbattere con branchi di tonni o altri grossi pesci..
Tonni, pesci luna (mole) e squali vanno
llanzàti con asta ad unico arpione,
mentre per il pesce spada che ha i tessuti più teneri, se ne usa una doppia,
ad U, per far sì che, se anche se ne strappa uno, ne rimanga sempre un altro
conficcato.
Per l’aguglia imperiale,
che è molto più sfilata, si usa addirittura una fiocina (fùscina)
a 5-6 arpioni paralleli e stretti per poterla colpire con più sicurezza.
Quando il pesce avvilito e dissanguato si arrende viene recuperato da una
piccola barchetta d’appoggio trainata dalla feluca e viene issato a bordo
con l’aiuto di un grosso raffio d’acciaio munito di manico di legno (jànciu),
mentre la coda viene afferrata da un cappio di corda (toccu
o ghiàccu); l’affilatissima spada viene
avvolta in un sacco di juta per evitare incidenti.
Con la
caddàta d’a Cruci termina infine questo
bellissimo rito millenario dello Stretto.