Oltre ai due pesci nordici
mummificati, uno al solo sole e l’altro al sole e sale, i
Buddaci hanno sempre provato un certo fascino per alcuni
pesci che, evolvendosi nel corso dei millenni, hanno saputo adattarsi alle
proprie esigenze trasformando il loro naso in arma bianca (spada) da
offesa e da difesa.Quattro di questi pesci scorrazzano
(scorrazzare significa andare
avanti e indietro facendo scorrerie;erroneamente
spesso si scrive “scorazzare” credendo che significhi: andare avanti e indietro
facendo rumore con la corazza) ancora per le correnti agitate dello
Stretto; due di piccola taglia: l’aguglia e
la costardella, e due di dimensioni
notevoli: l’aguglia imperiale ed il
pesce spada.
L’aguglia
(Belone belone) è l’unico pesce a lisca verde che io conosca, si pesca a
traino o con le reti o, meglio ancora, di notte a
‘llanzàre” con friccìna,
coppu e lampadàra.
Ha un ottimo gusto e viene cucinata fritta, arrosto, “a
brodetto” ed è squisita anche a braciole
cotte sulla brace.
A Messina, però, l’aguglia ha subito la stessa sorte del baccalà col pescestocco,
perché ad essa è sempre stato preferito un altro pesce simile, molto più
abbondante e quindi più economico, anche se di gusto un po’ meno fine: la
costardella (Scomberesox
saurus).
Il legame affettivo fra
messinesi e costardelle deve risalire a molto tempo fa in quanto la pesca che se
ne fa ha chiare origini arabe, se non ancora più lontane.
Non c’è messinese vero che durante l’estate non abbia l’irrefrenabile voglia di
farsi, almeno una volta, una gran mangiata di costardelle fritte, senza farina,
accompagnate preferibilmente con cipolle a bagno nell’aceto.
E di questa voglia se ne sono accorti anche gli estranei, tanto è vero che
spesso arrivano in città ingannevoli costardelle forestiere, persino spagnole,
che hanno il prezzo accettabile ma odore e sapore molto più modesti. Per chissà quanto tempo la costardella ha costituito un utile
sostentamento per le popolazioni dell’area dello Stretto.
Può essere cucinata in tutti i modi: fritta, arrosto, bollita,
a brodetto, a cotolette,
a braciole, alla pizzaiola, ecc., ed è
gustosissima anche sotto sale.
L’aguglia
imperiale (Tetrapturus belone) viene spesso confusa, dai non
addetti ai lavori, con la semplice aguglia di fondale che è più grossa di quella
comune, ma in effetti si tratta di tutt’altra cosa. È un bel pesce dal corpo sfilato che può raggiungere i due metri di
lunghezza ed il peso di trenta, quaranta chili; è munito di una corta spada ed è
velocissimo nuotatore, lottatore e predatore; preferisce il mare aperto anche se
a volte si può vederlo anche dentro il porto. Nello Stretto può finire vittima delle reti
palamitàre, se ancora ne esistono, oppure più cavallerescamente può
essere ucciso dai llanzatùri delle feluche.
Ha
carni(voglio
fare un piccolo inciso dato che mi capita spesso di parlare di carne del
pesce, ed ogni volta che ne parlo mi rizzano le carni
perché so che è un evidente controsenso, ma non potendo nemmeno dire
pesce del pesce, cercherò di parlarne il meno possibile
scusandomi anticipatamente) ottime la cui
morte(per morte
del pesce non si intende il momento della dipartita, ma il modo di cucinarlo
preferibilmente) dipende dalla parte considerata, quella centrale e
la surra, che sarebbe il collo, si fanno
arrosto condite con sammurìgghiu, la testa e
le parti vicine alla coda (cudigghiùni)
vanno cucinate a ghiotta.
Re
di spade
' galatotu a Vulcano
Ma il
guerriero per eccellenza, anzi Sua Eccellenza il Guerriero, il gladiatore,
l’eroe incontrastato dei nostri mari, il simbolo dell’eleganza, della potenza,
della tenacia, del coraggio e, perché no, anche della passione è lui: il mitico
pesce spada (Xiphias gladius), il
Re di spade!
Messina senza leggende, senza storia, senza bellezze naturali, senza aliscafi,
senza ferrubbotti, senza feluche e senza
pesce spada, sarebbe solo una semplice, insignificante città di mare.
Sul pesce spada sono stati scritti fiumi, anzi, mari di parole, ma chi secondo
me ne ha veramente capito l’anima e sicilianizzato l’immagine, è stato un grande
poeta recentemente scomparso: Domenico Modugno, pugliese di nascita e più
siciliano dei siciliani per adozione, che ha cantato così una sua poesia:
Il pesce spada, da neonato,
fino al peso di una decina di chili, viene chiamato puddicinèdda,
cioè pulcinella, forse perché è bianco, nero e tenero come la famosa maschera
napoletana.
Dato che gli esemplari adulti possono raggiungere i 3 metri di lunghezza ed un
peso di oltre 250 chili, è rigorosamente vietato (in
tedesco si dice Verboten
cioè vietato, e se una cosa è vietata è vietata; Rigorosamente vietato
è una frase tipicamente italiana in quanto noi ci possiamo permettere di dire:
È un po' vietato, È vietato così così, È assolutamente vietato, È
rigorosamente vietato oppure È vietato, ma si può
fare) catturarli al di sotto dei 120 cm. di
lunghezza. È un pesce migratore (di passa) che
durante la stagione degli amori ha dei percorsi prestabiliti che da millenni
puntualmente rispetta.
Ad ogni inizio d’ estate, fatalmente e quasi magneticamente attratto, scende la
costa calabra verso Sud e dopo una breve escursione alle isole Eolie imbocca lo
Stretto, ridiscende la costa ionica per poi sparire chissà dove.
Per fare l’amore, un pesce leggendario come questo non poteva che scegliere
quelle acque stupende che persino la fata Morgana ha deciso di adibire a sua
perenne dimora.
Agilissimo e velocissimo nuotatore è dotato di una potente ed affilatissima
spada (l’Excalibur del mare), che usa per attaccare i branchi di pesce di
cui si nutre, per difendersi dai suoi simili o anche per attaccare chi lo
disturba nel suo territorio.
Sono state trovate spade spezzate sul fasciame di imbarcazioni da pesca
attaccate coraggiosamente da questo Orlando furioso marino.
Mentre altri pesci simili, quando nuotano in superficie, mostrano la sola pinna
dorsale, il pesce spada mostra anche parte di quella caudale, per cui è
facilmente riconoscibile.
La femmina è di taglia più grossa e di forma più tondeggiante e quando è in
coppia (parìgghia) procede
sempre davanti al maschio; viene volgarmente chiamata
troia o fìmmina ‘i parìgghia
perché durante la stagione degli amori sta sempre vicina al suo maschio danzando
con lui nell’azzurro.
È il maschio però che riesce ad esprimere in modo sublime l’amore più nobile ed
una fedeltà senza pari, poiché quando la femmina viene catturata egli lotta con
tutte le sue energie per non farsi strappare la sua compagna in amore, sfidando
l’impossibile fino al sacrificio estremo della propria vita.
Se non viene catturato, poi, riesce persino a girare tristemente anche per
diversi giorni attorno al luogo della sua sventura.
La femmina non è capace di così tanto amore, forse anche perché istintivamente
sa di portare in grembo la continuazione della specie.
È per questo motivo che i pescatori tentano di catturare per prima la femmina,
rischiando a volte di perderli entrambi.
L’uomo però ha sempre nutrito
un mistico rispetto per questo pesce; lo combatte cavallerescamente, lo uccide
senza pietà ma per prima cosa, dopo averlo catturato, con profonda religiosità,
lo segna con la caddàta d’a Cruci cioè col
graffio della Croce; difatti con le unghie fa un
segno a forma di croce sulla guancia dell’indomita preda come a voler
ringraziare Iddio per il cibo che gli sta donando.
Il gesto mi ricorda inevitabilmente quello che mia madre faceva col coltello
sulle vastèdde di pane prima di
affettarle e servirle in tavola.
Nonostante l’aspetto ed il carattere irruente di indomito guerriero, in fondo
poi il pesce spada è molto buono, ha un gusto particolare, difatti lo si può
trovare cucinato e condito in molti modi: arrosto, a ghiotta, a braciole oppure
al forno a tortino.
Recentemente, ad imitazione del salmone, ha fatto la sua apparizione quello
affumicato, dal gusto ancora più esclusivo, così come il prezzo; ed è per questo
che viene servito a fettine da 1 micron.
La sua gloriosa
affilatissima spada si può trovare esposta come trofeo in molti ristoranti.