Ho cercato di cogliere in questi pochi versi, lo spirito e il
sacrificio con i quali i pescatori praticavano quella
pesca.
Tuttavia, per chi volesse vedere e fare un tuffo
nel passato, Ganzirri rende omaggio a quegli uomini
rappresentando ogni anno, sul lago, le fasi salienti
dell’avvistamento, dell’inseguimento e della cattura.
E’ un pezzo di storia che ci appartiene e che merita di
essere rivissuto.
La storia del mondo si ripete:
l’uomo insegue sempre l’animale,
ma é vera storia quando chi compete
puó vincere la lotta tale e quale.
Quella che vi racconto é storia antica,
quando il pescespada era guerriero
e il pescator vinceva con fatica
stringendo i denti e masticando amaro.
Una guerra santa per quei cavalieri,
ma guerra santa ancor per l’animale:
i pescator coi ferri del mestiere,
il pesce nell’ambiente naturale.
Al centro la feluca nello stretto,
sopra l’antenna un’ombra di pedana;
in piedi il marinaio v’è costretto,
dove inclemente il sol non l’abbandona.
S’è salutato col resto della ciùrma
ed ha promesso a tutti una pariglia:
- Magari Diu chi t’abbastassi l’arma!
Sunnu iurnàti niri p’a famìgghia.
S’è fatto palombella e ha sospirato
facendo gli scongiuri per la via;
appena giunto in cima s’è segnato
p’aver dei santi buona compagnia.
L’antenna oscillando lo strapazza,
legno con legno frega e si lamenta
la fantasia dalla sua mente spazza,
stringe l’imbracatura e s’accontenta.
Accanto alla feluca, in veste nera,
potente, orgoglioso e tracotante,
scalpita il lontro, che non vede l’ora
di dimostrarsi degno degli eventi.
Ma il mare non è orto né giardino,
l’evento non si coglie con la cesta;
padrone dell’evento n’è il destino,
e del destino schiave son le gesta.
Sei pescatori all’ombra della “mamma,
sei cavalieri senza l’armatura,
pregano Dio che l’antennier s’infiamma,
per rinnovar l’ardor della cattura.
Pregan le donne là nella marina,
pregano la Madonna dello stretto,
s’alzaro a preparar la merendina
ed a varar con la speranza in petto.
Se le preghiere furon benedette,
l’urla dell’antennier li fa destare: - Và fora, fora, fora - grida forte,
e il lontro già si muove e prende il mare.
La poppa avanti e il lanciatore ritto,
un marinaio sul piccolo fariere
ché il campo da scrutare è più ristretto: - Và fora - grida ancora l’antenniere.
- Tuttu paru così, paru camòra.
La rotta è giusta, il pesce non s’accorge,
il sole l’ubriaca di calore
e l’accarezza l’acqua che l’avvolge.
Vogano che il fiato si consuma:
il tempo è un tiranno dittatore. - ‘U vidi? - l’antenniere adesso chiama - ‘U vidi - rivolgendosi al fariere.
- ‘U vidu, stàgghia fotti c’a palèdda;
và iusu, voga fotti ch’u pirdèmu.
Il pesce ora s’accorge della folla,
il marinaio si torce sopra il remo.
- Và susu, voga ‘nterra, fora fora -
il pesce si confonde e non s’intana,
l’uomo del fariere grida ancora
e il lontro come un’ombra lo tampona.
Il lanciatore è pronto e si distende,
per lui non c’è replica nel mare,
ché dal mestiere suo ormai dipende
la pace in terra d’ogni pescatore.
- Fozza c’a traffnèra, Sabbatùri;
è toi, è toi, chi mègghiu non ci veni.
S’allunga tutto indietro il lanciatore
e il fiato ch’aspirò se lo trattiene.
Non c’è una voce, non si muove foglia,
la pertica si piega e cimiddìa,
trema la ciùrma e il fiato non ripiglia:
chi prega Dio, chi la Vergine Maria.
Vola nell’aria colomba furiosa
e porta un’ambasciata prepotente;
postino che non suoni in quella casa,
missiva ove la morte è il suo mittente.
Di fianco giù dal collo fu la botta;
il ferro si scavò una galleria;
il pesce prende corda e fa la rotta,
ma sulla barca è tempo d’allegria.
Corrono i pensieri alla marina
laddove il nero è lutto permanente,
la pace con l’amore si combina:
stanotte un pescespada è con i santi.