E’
pesca per l’uomo solitario
che
vuole ragionare col Signore
in
mezzo al mare nero e senza ombre:
una
barchetta e un tocco di motore.
La
corda arrotolata nelle ceste
l’arpione a cui n’ha tolto la
sottana,
la lama pronta per tranciar la cima
se vede che la sorte s’allontana.
U n’occhiata
tutt’intorno a controllare
se nell’armar ci fu una leggerezza,
e fuori l’orlo, dentro al buio mare,
la lenza colma d’esca
Un
fagottino senza esagerare
p’aver
conforto lungo la nottata,
un
sorso d’acqua e voglia di pregare
mentre la barca scorre comandata.
Prega per si scontrar con il gigante,
per
misurar la forza e la scaltrezza,
prega p’avere Dio dalla sua parte,
per
riportare a terra una prodezza:
-Signore che sei grande e onnipotente,
fai che il tonno creda alla menzogna,
dammelo battagliero e tracotante,
ché perdere così non
é
vergogna-.
Poi
nel silenzio la barca si trascina;
in
quel silenzio va la fantasia;
il
suo pensiero corre alla marina
e a
quel destin padron della sua via.
Si
fa domande sopra alla Natura,
sopra a quel Dio e a tutta la sua Corte,
si
prende la questione con i vivi
e
con color che gli rap í
la morte.
E
mentre dalla vita si distacca
la
mano scaltra non si fa ingannare,
e
quando all’improvviso il pesce abbocca
é
pronto a fare ben ci ó
che sa fare.
-Tira Rinaldo, senza respirare,
a costo di rimetterci la vita;
il pesce con la fame ha da restare,
ché qua si gioca tutta la partita-.
Ma
è un contrasto che non può durare,
ché
l’uomo oppon se stesso alla natura:
- Calma
Rinaldo, attento a non mollare,
pur se di sangue il tuo sudore s’oscura.
Se
il Padreterno lo vuol gratificare,
con
gran mestier quell’amo ha lavorato:
-Molla Rinaldo, ora puoi lasciare,
e spera Dio che il ferro s’è allocato-.
Il
pesce fugge, la corda si consuma
fischiando come il vento di maestrale;
e
guai a chi si trova in quella trama,
ché
quel fuggire gli saria fatale.
Cinquanta, cento passi e forse più,
la
bestia punta dritta contro il fondo,
cerca riparo e piange andando giù,
lo
guarda il mar che si ritrae piangendo.
Ma
non è tempo ancor d’issar bandiere:
-Spegni il motore, i remi negli scalmi,
controlla tutti i ferri del mestiere;
togli il timone, non indugiar coi salmi..-.
Rinaldo si ripassa il copione
a
mo’ d’un teatrante coscienzioso;
ha
gran rispetto per quel bestione:
non
v’è una mossa che va fatta a caso.
-Recupera Rinaldo, non tardare,
la corda ora scorre lentamente;
tienilo in tiro senza esagerare:
ricordati che il tonno è più potente-.
Ora
diventa un gioco di pazienza:
il
pesce fugge cercando la salvezza,
Rinaldo lo contrasta con la lenza
per
ammansirlo e gli stroncar la forza.
Ma
se del “Monaco” il tonno n’ha la stola,
un
tonno troppo furbo e strapotente,
lo
porta sulla rocca “San Nicola”
laddove v’è la pietra più tagliente:
-Attento Aldo, non gli dare cima,
che p’una volta già ti fece fesso
attaccalo alla ruota, Aldo, e rema,
remagli contro ad evitar quel fosso-.
La
luce della Scilla s’avvicina,
e
per tre volte il tonno fe’ la spola;
si
sente la fatica nella schiena,
la
lenza taglia che non v’è parola .
La
lotta può durar per ore sane:
l’umana mente contro la potenza;
ricorda tempi d’ere assai lontane,
tempi che non parlavano di scienza.
Affiora dagli abissi lentamente
con
giri larghi attorno alla barcuzza;
ancora non è vinto quel gigante
ma
sente che la morte l’accarezza.
-Ora Rinaldo, non gli dare tempo,
se prende fiato torna tracotante;
prendi l’arpione, non gli dare scampo:
ch’un vincitor c’è sempre ed un perdente!-.
L’arpione con l’ali ripiegate
strappa le carni dello sventurato
che
si domanda, gli occhi spalancati,
a
quale bene fu sacrificato.
-Ora puoi dare sfogo alla tua pena;
fu un nemico degno e sfortunato.
Tendi l’orecchio, ascolta la novena:
è l’inno che fa il mare al suo soldato-.
Per
tutti i pescatori è storia vera:
c’è
un vecchio tonno che non fu mai pescato;
è
il “padre dei tonni”, e si dispera
ch’un altro figlio ci ha rimesso il fiato!
Walter Preitano
da Bannia si voi vinniri
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