Lontro
- Imbarcazione per la pesca del pesce spada nello
Stretto di Messina
Mi
ricordo che allora la pesca al pescespada era ancora
un fatto agonistico. Allora non c'erano i motori e ciò
che spingeva la barca era la fame ed il desiderio di
vincere. Dall'altra parte la preda, con il suo istinto
di conservazione. Il rispetto era reciproco, ed il
successo dei pescatori era solo un premio alla fatica ed
al sacrificio, mai una vittoria sulla creatura marina.
Da parte sua il pescespada esultava certamente allo
scampato pericolo, anche quello ottenuto con sforzi
immani.
Modellino di Feluca - Imbarcazione di posta per
l'avvistamento del pesce spada
Feluca - Ganzirri -
Messina
La
feluca era alla posta al largo dello
stretto, ed alla sua
ombra il nero lontro,
piccola e veloce barca con un equipaggio di sei
uomini. I remi erano quattro, disposti in modo
alternato, ed ognuno di essi era chiamato con un nome
diverso. Quelli di prora si chiamavano
paleddi; erano più
lunghi e servivano per stagliare, cioé
per far girare la barca velocemente. Erano
armati al di fuori
dell'orlo della barca,
sopra una
propaggine triangolare chiamata
farfallina
(ma il termine ha delle varianti).
L'antenniere ed il
fiocinatore, completavano l'equipaggio.
Lontro pronto
all'inseguimento del pescespada
Sei uomini immobili per
ore ed ore, all'ombra della grande "mamma". Sull'antenna
della feluca si alternavano gli avvistatori: uomini sul
cui volto era evidente il martirio del sole impietoso.
Il loro compito era quello di scrutare il mare , a
partire dalla feluca, metro a metro, fino a che l'occhio
era capace, nella speranza che il pescespada venisse in
superficie per crogiolarsi al sole o per amoreggiare con
la sua compagna. Un evento che spesso tardava e talvolta
non accadeva.Quell'attesa era la fatica maggiore,
perché carica di sconforto.
Man mano che passavano le
ore, ogni membro dell'equipaggio sentiva incombere su di
sé l'ombra dell'insuccesso, e sempre più viva si faceva
l'immagine del volto deluso delle donne che,
all'imbrunire, attendevano i loro uomini sulla spiaggia.
Per troppe volte quella scena si ripeteva, nell'arco di
una stagione! Lo sguardo basso ed un grande desiderio di
silenzio. E la rabbia accumulata si sfogava sugli
scalmi, tirando in secco la barca. Poi ognuno prendeva
il suo fagottino e, consolato dalla donna, mestamente si
dirigeva verso casa; non prima però d'avere preso
accordi con gli altri compagni, per una nuova giornata
d'attesa.
Ma succedeva invece che,
all'improvviso, l'antenniere della feluca si mettesse ad
urlare come fosse posseduto dal demonio. Nelle sue urla,
parole convenzionali che indicavano all'equipaggio del
"lontro" a che distanza fosse il pesce, e in che
direzione bisognava remare.
In pochissimi istanti
l'equipaggio era in voga ed ognuno era al suo posto.
Remavano in piedi e spingevano avanti la poppa, dove il
fiocinatore, in piedi, trovava più spazio per i suoi
arnesi e più stabilità per se stesso.
L'antenniere
saliva i pochi pioli del "farere", il piccolo
albero montato al centro della barca, ed il fiocinatore
si spingeva sulla pedana di legno che fuoriusciva dalla
poppa.
Tutti i muscoli erano all'erta, pronti per
l'inseguimento finale.
Le indicazioni venivano date
dalla feluca fino a che l'antenniere del lontro non
avvistava la preda. E questo succedeva quando il pesce
era ormai vicino. Da quel momento le urla arrivavano
dallo stesso "lontro" e l'inseguimento diventava
frenetico. Il pesce cambiava direzione sentendosi
braccato, ed i grandi remi di prora diventavano
protagonisti. Bisognava avvicinarsi al pesce prima che
questo decidesse di inabissarsi. Bisognava approfittare
del suo stato di confusione per colpirlo a morte. Guai
se qualcuno cedeva in quel momento cruciale.
Le bocche
aperte emettevano urla di dolore per lo sforzo prodotto.
Pochi attimi, il massimo dello sforzo, al limite delle
possibilità, fino a schiattare sui remi. Il fiocinatore
si preparava, pronto a scattare come una molla. Teneva
in mano l'asta, armata sulla punta con un arpione mobile
legato ad una fune. Scrutava il mare nei pressi della
barca alla ricerca della sagoma da colpire. E quando
finalmente avvistava il bersaglio, che l'esperienza
dell'antenniere gli porgeva in posizione perpendicolare
alla barca, alzava le braccia e, con quanta forza aveva
in corpo, scagliava l'asta sulla preda.
Se tutto andava bene, la corda contenuta nella cesta,
cominciava a consumarsi velocemente. Il pesce si
inabissava trascinando la barca per centinaia di metri.
E questo, forse, era il momento in cui la perizia del
capobarca faceva la differenza tra gli equipaggi. I
rematori affranti, ancora non avevano guadagnato il
diritto al riposo. Remavano ancora, ed erano pronti a
qualsiasi evenienza. Gli occhi sulla corda che si
srotolava. Niente era ancora certo. Il pesce poteva
essere stato colpito in un punto non vitale, o l'arpione
poteva non essere penetrato in profondità; ed allora
tutto poteva succedere.
Ma se le preghiere delle donne di terra erano state
ascoltate, la corda si consumava più lentamente. Ed
allora un grande sospiro e finalmente ognuno riprendeva
possesso delle sue energie, che per qualche minuto non
gli erano appartenute.
L'ultima fase sarebbe stata quella di issare a bordo il
pescespada, aiutandosi magari con un rampone. Oppure
legarlo alla barca e trascinarlo fino a terra o
depositarlo sulla feluca e disporsi ancora all’attesa di
un nuovo evento.
Ora tutti potevano esultare, riservando sempre allo
sconfitto l'onore delle armi. Il pensiero volava alla
marina, al volto raggiante delle donne. I curiosi
sarebbero scesi a vedere il gigante abbattuto e si
sarebbero sprecate le emozioni e le espressioni di
meraviglia.
In seguito, la pesca al
pescespada subì una evoluzione prima lenta e poi
vertiginosa. Dapprima fu montata una passerella di legno
sullo stesso "lontro", allo scopo di dare più spazio di
manovra al fiocinatore ed un migliore alloggiamento agli
attrezzi e, cosa assai più importante, allontanare la
sagoma della barca quanto più possibile dal pesce.
Ma
questo non bastò, anche perché ne soffriva la stabilità
dell'insieme e venivano meno le caratteristiche di
snellezza della barca e la sua fama di "legno" agile e
veloce.Il passo successivo fu quello di motorizzare la feluca,
rendendola autonoma. Cosi la grande "mamma" diventava un
mezzo errante che inseguiva la preda senza l'ausilio
del "lontro".
Fu montata una lunga passerella di legno e fu alzata
notevolmente l'antenna. Si capì subito che quella era la
giusta soluzione sulla quale tuttavia bisognava ancora
lavorare.
Il passo finale fu quello di sostituire il legno della
passerella e dell'antenna, con l'acciaio. Ciò permise
di allungare ancora di più le due propaggini fino ad
avere una distanza barca-fiocinatore che rasenta oggi i
quarantacinque metri. Grossi tiranti d'acciaio legano la
passerella all'antenna e l'antenna alla poppa, per dare
al mezzo il massimo di stabilità e di sicurezza.
In questa sua forma definitiva ed equipaggiata con
potenti motori, la feluca (che viene comunemente
chiamata "passerella" ), é oggi uno strumento pressoché
perfetto per il suo scopo. Il pesce infatti non si
accorge neanche del nemico in arrivo e per l'antenniere,
che manovra anche il motore ed il timone, é semplice
portare l'equipaggio alla vittoria finale.
Cosi, le grandi fatiche dell'uomo ed il perfetto "lontro",
sono rimasti solo un patetico ricordo che rischierebbe
di offuscarsi fino a scomparire, se Rinaldo Arena e
Giacomo Costa, con le loro sapientissime mani, non
avessero pensato di riproporre in perfetti modellini di
legno, tutti i passaggi della grande trasformazione.
Tutto é cambiato quindi :
materiali, mezzi tecnici, sistemi di avvistamento. Ma
chi é rimasto granitico, fino a qualche anno fa, nella
sua grande professionalità, é stato "Patran Ninu", come
lo chiamavano i ganzirresi.
Era l'artigiano di
Sant'Agata, un villaggio quasi adiacente a Ganzirri, che
da settant'anni forniva gli attrezzi da pesca ( fiocine,
arpioni, ramponi) agli armatori delle "passerelle".
A lui si rivolgevano tutti coloro i quali volevano avere
la sicurezza che l'attrezzo non li tradisse nel momento
cruciale.
Si é sempre parlato di una tempera speciale, di un
segreto che, forse, l'artigiano si é portato con se.
Fatto sta che nonostante le grandi industrie producano
oggi attrezzi di altissima qualità tecnologica, nessuna
di loro é riuscita a convincere i nostri pescatori. Un
vero peccato che tu non ci sia più, “Patran Ninu"!
Lu
tempu di li piscispata - Video di Vittorio De Seta