www.colapisci.itL'uomo che diventa pesce per necessità o per sceltaWalter Ignazio Preitano

 

LA PESCA CON LA “SCIÀBICA”

Una sera accadde che, contemporaneamente, ci furono ospiti in parecchie famiglie di amici, noi compresi. La prospettiva era di rinunciare a riunire la compagnia, e trascorrere ognuno in casa propria la serata. Ma l'abitudine era talmente radicata che nessuno accettò di sobbarcarsi ad un tale sacrificio. Cosi ci riunimmo e ci consigliammo con Pietro. Non ci volle molto a capire che solo una buona cala di "sciabica" dalla riva, sarebbe stata in grado di soddisfare tante bocche, e avrebbe regalato un momento di folklore marinaro dei più divertenti. Cosi ci ritrovammo tutti sulla spiaggia, per un’ennesima battuta di pesca. C'era negli ospiti una forte agitazione, mista a scetticismo. Eravamo davvero tanti e sembrava impossibile che cosi facilmente si potesse provvedere a sfamare tutti.
Si trattava di gettare la rete trasportata da una barchetta, in modo da racchiudere un piccolo tratto di mare. Poi tirare le due cime dalla riva e sperare nel buon Dio. Si pesca pesce di piccole dimensioni, molto vario, che di sera si porta vicino a riva per trascorrervi la nottata. Si trovano piccole boghe, sauri, cefali, triglie, granchi ed altri piccoli abitanti del mare. Si chiama "sciabacheddu", proprio perché viene pescato con la "sciabica".
E' considerato una leccornia e rappresenta proverbialmente la frittura  più buona che il mare possa offrire: quanto meno, il nostro mare!
Cosi, quando tutto fu pronto, la barca lasciò la riva e subito la rete venne gettata in mare. Non sono molti i punti della riviera dove é possibile esercitare questo tipo di pesca. E ciò perché la maggior parte della costa della riviera nord di Messina é costellata di roccia sommersa in prossimità della riva. Ciò impedisce di tirare la rete senza rischiare di distruggerla.

La barca fece il suo giro e ritornò a riva portando con sé una cima. L'altra era stata lasciata a terra, prima della partenza. Ed a quel punto cominciava  lo spasso. Venti o trenta persone, con entusiasmo e urlando versi caratteristici della fatica gioiosa, si misero a tirare le cime: <<ooooooh, ooooooh>>. Già tutto quello poteva bastare per ricordare con piacere la serata; ma se a ciò si fosse aggiunta la frittura, sarebbe stato meglio.
Pian piano il sacco andava formandosi e la rete si consumava. Ad un certo punto, i primi bagliori. Poi tanto subbuglio all'interno della rete. Ed infine il frutto della fatica era sotto gli occhi di tutti. Una cala miracolosa, a detta di tanti. Forse quindici, forse venti chili di pesce in una sola  volta. Eravamo tutti entusiasti, ma di più lo erano gli ospiti che oltre all’emozione dell'avventura, ebbero la gioia di vedere tanto ben di Dio. Pietro giudicò che comunque non sarebbe stato sufficiente per sfamare tutti e suggerì un'altra cala in un punto poco distante da dove ci trovavamo. Tutti ci spostammo cantando in grande allegria. Ormai eravamo certi che la frittura comunque ci sarebbe stata. Anche la seconda fu una buona cala, anche se meno ricca della prima.

Raccolto il pesce in un grande recipiente  di metallo, ci trasferimmo a casa mia per il grande "schiticchio".

Fu una gran serata, anche se molto stancante per chi dovette provvedere a pulire ed a cucinare tutto quel pesce. Alla fine, dopo avere consumato qualcosa come quindici o venti litri di vino, si vuotarono le rimanenti bottiglie intonando un chiassoso "viva Noé". Credo che qualcuno non trascorse una buona  nottata! Ma si guardò bene dal dirlo, il mattino seguente.

 

Walter Preitano

   

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