Quasi tutte le sere, sulla
spiaggia, qualcuno preparava gli arnesi per affrontare
di notte il più grosso e combattivo pesce dello stretto
di Messina: il tonno. Ricordo che uno dei più accaniti
appassionati di questa pesca era Angelo Sciarrone.
Durante il giorno non parlava d'altro. Era sempre alla
ricerca del compagno ideale. Sentirgli raccontare le sue
avventure, era un vero piacere. L'entusiasmo si
sprigionava dai suoi occhi che talvolta brillavano per
l'emozione.
Io li vedevo innescare gli ami: un’operazione che durava
a lungo e che veniva eseguita con la massima cura. Tutto
avveniva in un silenzio quasi religioso. Chissà, forse
pregavano anche, durante quei preparativi! Erano uomini
solitari in cerca di pace interiore e non amavano la
pesca chiassosa. Io non riuscivo ad accettare di dover
trascorrere un’intera nottata in mare nella speranza di
assistere alla cattura di quel mastodonte. Più volte fui
invitato, ed altrettante volte rifiutai. Oggi mi rendo
conto di essere mancato ad uno degli eventi più
emozionanti di tutta l'attività di pesca del nostro
stretto. Ma allora non capivo la caparbietà e
l'entusiasmo che gli amici cercavano di trasmettermi. Mi
veniva sempre in mente il racconto di Hemingway " L'uomo
e il mare ", e non mi sentivo l'animo del pescatore
descritto dal grande romanziere. Ritenevo, e non a
torto, che per imbarcarsi in quell’avventura, bisognasse
essere disposti ad entrare in contatto con il proprio
passato, a fare il punto sul presente ed
inevitabilmente, a porsi domande imbarazzanti
sull'esistenza di Dio e della Sua Corte. Non faceva per
me, allora! Oggi me ne rammarico, ma non ho più modo di
rimediare.
Partivano di sera, prima che facesse buio, ed era un
lungo vagare per il mare, senza alcuna certezza di
successo. L'amo, innescato con un grosso pesce, meglio
se un’anguilla, e meglio ancora se viva, veniva
trainato, legato ad una lunga lenza di nylon che nel suo
svolgersi, cambiava di spessore, fino a diventare una
robusta corda. Quasi 250 passi di fune (oltre 300 metri)
divisa in due ceste di vimini, ben arrotolata e pronta
ad essere unificata, in caso di bisogno.
Ciò che so di quella
pesca, é quanto mi racconta l'amico Cesare Arena che
l'ha praticata, anzi, direi meglio, vissuta. A lui cedo
la parola: - E' una pesca a traino. L'esca
in acqua e l'insidia nascosta nel suo ventre. La lenza
ben salda nella mano, e nell'animo un grande spirito di
avventura. In due sulla barca. Dapprima un ripasso e gli
accordi sui gesti che dovranno essere compiuti nel
momento cruciale. Poi si parla di tutto. E' meglio
essere amici: la conversazione durerà più a lungo e gli
argomenti saranno di interesse comune. Ma se il tonno
tarda a presentarsi, tutto si placa e, pian piano,
ognuno rimane solo con se stesso. Si finisce col non
pensare più alla pesca ed il pensiero vola lontano. Ed é
proprio a questo punto, proprio quando meno te l'aspetti
che l'evento per il quale ti sei meticolosamente
preparato, si presenta. E' un istante di grande
emozione. Ti convinci subito che sbaglierai tutto e che
il pesce si farà beffa di te. Tiri con tutte le tue
forze, combattendo per pochi attimi una battaglia
impari. E' un istante doloroso ma necessario: l'amo deve
conficcarsi nella bocca del pesce ed ancorarsi il meglio
possibile. L'istinto del tonno sarebbe quello di
inghiottire l'esca, e questo non deve succedere, pena la
tua sconfitta in una tenzone appena iniziata. Infatti il
tonno vomiterebbe l'amo o si farebbe strappare le
budella, e tutto sarebbe perduto. Quindi, si molla
tutto. Il tonno compie la sua prima "fuitìna", fugge e
si inabissa portando con se decine di metri di fune. In
questa fase deve essere libero di sfogarsi, e guai ad
opporgli resistenza ! Non c'é pescatore al mondo in
grado di contrastarlo.
Per intanto sulla barca si compiono atti frenetici,
anche se usuali: viene spento il motore, vengono montati
i remi, si toglie la barra del timone e tutto viene
portato a prora, lasciando la poppa sgombera da
qualsiasi oggetto. Solo un coltello affilato viene
poggiato sul tavolato della poppa, pronto per essere
usato in caso le cose non dovessero andare per il loro
giusto verso e fosse necessario tagliare la fune.
Intanto dalla prima cesta si srotola la lenza, compiendo
mulinelli e fischiando una musica sinistra. Qualunque
cosa si dovesse trovare tra quei vortici, sarebbe
inevitabilmente persa. Anche la stessa vita del
pescatore é in pericolo, in questa fase. Non bisogna
perdere la lucidità del pensiero; tutto deve svolgersi
come in una recita.
Dieci, forse quindici secondi e cento e più passi di
fune si sono consumati. Poi il tonno rallenta esausto la
sua corsa. Ora bisogna recuperare la lenza, tenendola
sempre in tiro per favorire il lavoro dell'amo. Un
piccolo recupero ed ancora libertà di fuga. Da questo
momento é tutto un susseguirsi di recuperi e di
abbandoni, in modo che il pesce possa stancarsi al punto
che la forza dell'uomo possa essere competitiva.
Quando la potenza del tonno comincia a non essere più
devastante, si usano tutti gli accorgimenti per
stancarlo a dovere: si rallenta la sua fuga tirando la
lenza o affondando i remi in modo da opporre più
resistenza. Ma tutto questo deve essere accuratamente
dosato. Finché il tonno non si dichiara sconfitto, non
si può essere certi della vittoria finale. Il tonno tira
e tu cedi la lenza poco a poco, trattenendola il più a
lungo possibile tra le mani: mani nude, spesso
insanguinate -.
Chiedo a Cesare come mai
non si usano i guanti, e la risposta rispecchia
l'orgoglio della nostra gente, ma anche un anacronismo
disarmante: - Per un vero pescatore sarebbe
un’umiliazione fasciarsi le mani. La lotta deve essere
lotta, e le ferite debbono testimoniarne la durezza -.
E poi continua: - Il tonno si stanca ed il
recupero é sempre più agevole. Poi, finalmente, quando
tutto deve risolversi con la vittoria del pescatore,
emerge dal fondo la buia sagoma del pesce. Ancora non si
arrende e sale verso la superficie compiendo ampi giri
concentrici. Quindi, esausto, si presenta a tiro.
L'arpione ("traffinera") affonda nelle carni del
pesce, che ora non é più in grado di opporre resistenza.
Questo é insieme il momento più bello ed il più triste.
E' bello perché ora il pescatore ha la certezza di avere
vinto, ma é triste perché decreta la morte di un
avversario che con la sua mole, la sua voglia di vivere
e la sua combattività, ti ha offerto emozioni
incredibili che é difficile trasmettere a chi non le ha
vissute. Quindi, se le sue dimensioni non sono
esagerate, si procede, aiutandosi con uno o più ganci, a
portarlo a bordo. E qui il pescatore sfoga tutta la sua
tensione, compiendo degli atti inconsulti sulla preda:
c'é chi lo accarezza, chi lo schiaffeggia, chi lo
scalcia, chi gli sputa addosso, eccetera. E ciò in
funzione della fatica che ha dovuto fare per averne
ragione. Qualcuno inveisce sul tonno, con insulti ed
urla. Nessuno é riuscito a capire il perché di tale
sfogo, dopo momenti di intensa emotività e di tenera
compassione! -.
-
Ma quanto può durare una battaglia ?
-
Mezz'ora, un'ora, due ore o anche più. Dipende dalla
mole e dalle caratteristiche di combattività del tonno.
Se é un tonno "monaco", i tempi sono certamente più
lunghi -
Capisco che "monaco" sta
per combattivo.
- Può
anche succedere che, dopo ore ed ore di lotta, il tonno
trovi ancora la forza di portarti sulla rocca di San
Nicola, a cento e più passi di profondità, ed allora lì
lo perdi per il taglio della lenza sulla pietra
affilata. Mio padre Rinaldo si ricorda di un tonno che
dopo averlo fatto girovagare per ore ed ore tra la
Sicilia e la Calabria, é riuscito a liberarsi, proprio
inabissandosi sulla rocca di San Nicola. Un tonno che si
comporta cosi é chiamato dai pescatori "'U patri d'i tunni", cioé "il padre dei tonni": il vecchio
progenitore protagonista di mille battaglie -.
Rifletto che forse "Il
padre dei tonni", per ogni pescatore, é il tonno mai
pescato, quello che l'ha fatto tribolare facendosi beffa
di lui. Ma credo che nessuno vorrebbe mai pescare "'U
patri d'i tunni" !
-
Una volta - continua Cesare
- la pesca era abbondante e non di
rado si rientrava a riva con due, tre, e magari quattro
tonni. Tenendo conto del peso di questi fieri abitanti
del mare, si poteva realizzare un pescato di sei o sette
quintali di pesce. Oggi - conclude amaramente - tornare
a riva con un tonno pescato a traino, é un avvenimento
sempre più raro. Tutta la pesca dello stretto si é
contratta paurosamente! -
Saluto Cesare, e lo
ringrazio per la sua preziosa testimonianza.