Una sera Salvino chiese a Cesarina se si
sentiva in grado di preparare una "ghiotta". Ed
alla risposta affermativa di mia moglie, promise per la
sera successiva, una grossa quantità di pesce "mola".
Io ricordavo quel pesce. Cesarina invece non lo aveva
mai visto né sentito nominare. Ma nei giorni, mesi e
anni successivi ebbe a cucinarne quintali. Io l'avevo
mangiato da ragazzo, e ricordavo bene il suo gusto
forte.
Il miglior modo di cucinarlo é proprio alla "ghiotta",
con cipolla, capperi, olive verdi in salamoia e
pomodoro.Non é un pesce
ricercato per le sue carni, ma saputo trattare dà dei
numeri ai suoi simili più famosi e assai più nobili.
Quella sera raccontai a Cesarina quanto
mi ricordavo di quel pesce e le misi addosso una grande
curiosità. Lei solo da poco si cimentava con la nostra
cucina. Ma ricordo che già allora, a pochi anni dal
nostro matrimonio, i suoi piatti alla siciliana erano
apprezzati da tutti i nostri amici. Tuttavia, per
sicurezza, quando avevamo a pranzo ospiti nuovi, lei si
presentava con un bel piatto di tagliatelle fatte con le
sue mani e condite con un prelibato ragù di carne.
Piatto caratteristico della sua terra. Questo modo di
trattare gli ospiti, l'aveva resa popolare tra le
persone che ci frequentavano.
La pesca della "mola"
(nome dialettale del Pesce luna) si praticava a
Ganzirri e aTorrefaro, nel
periodo estivo. E' un animale
assai brutto e, come dicevo, le sue carni non sono
pregiate e pertanto non ha mercato se non in quella
zona. Le sue dimensioni possono raggiungere anche i due
metri di diametro, e forse ancora di più. Ma di questi
mastodonti io ho solo sentito raccontare.
A Torrefaro, nel tratto di mare
prospiciente la Chiesa, a pochi metri dalla riva, c'era
tutti i giorni una gran folla di dilettanti con
barchette a remi o a motore, di tutte le dimensioni. E
tutti facevano buona pesca.
Lì le "mole" erano piccole, circa trenta centimetri di
diametro (i ganzirresi le chiamavano "tambureddi",
in senso ironico), ma erano tantissime, ed era una festa
per tutti (tranne che per le mole, naturalmente!). Le
fiocine affondavano nell'acqua e sembrava di assistere
ad una battaglia epica; invece si trattava di una vera e
propria mattanza.
Naturalmente Pietro e Salvino non erano interessati a
quel tipo di preda. Anche perché la parte commestibile,
che si ricava aprendo il pesce come un'ostrica, é molto
scarsa e, negli esemplari giovani, anche meno gustosa.
Sicché, se "mole" dovevano essere, bisognava andarle a
pescare nel grande taglio di corrente, al centro dello
stretto.
Quella era una pesca relativamente tranquilla, senza
patemi d'animo e non c'era rischio per le attrezzature.
Cosi Pietro e Salvino ne approfittavano per trasformare
la "battuta" in un momento di folklore. Infatti
invitavano degli amici, uomini e donne, e promettevano
loro un sicuro divertimento ed un buon piatto di quella
"leccornia".
Mia moglie più volte volle aggregarsi alla compagnia, ed
ancora oggi ricorda quelle esperienze con grande
nostalgia.
Si
partiva a pomeriggio inoltrato. La "San Giuseppe" era
sempre pronta ed accogliente. Salvino, che era una vera
forza della Natura, svolgeva le mansioni più gravose, e
non era raro che dovesse traghettare a spalla o in
braccio, donne e uomini non avvezzi e non disposti a
bagnarsi i piedi nell'acqua di mare. Io ero sempre al
timone. Ormai lo manovravo con una certa disinvoltura e
mi sentivo quasi titolare del ruolo, in
quell'equipaggio. Il grande taglio é come un fiume sottomarino che
scorre da Nord a Sud e che, in superficie, causa un
grande ribollire dell'acqua, con gorghi che a volte
mettono paura. Non é facile manovrare la barca
all'interno di quel tratto di mare che ha una larghezza
massima di cinquanta metri circa. Ma in quel subbuglio,
le "mole" si crogiolano immobili, su di un fianco,
sventolando la pinna dorsale o anale. Pietro montava il "farere" e ci saliva su
per avere una migliore visione del mare circostante.
Faceva tutto lui. Con le mani mi dava indicazioni su
dove dirigere, e pertanto io dovevo guardarlo senza
potergli staccare gli occhi di dosso. Quando finalmente
avvistava la preda, cominciava ad agitarsi e lo faceva
in modo che l'emozione fosse tanta, per fare divertire
gli amici. Ed allora cominciava l'inseguimento. Salvino
spingeva il motore al massimo e sembrava che la barca
dovesse squarciarsi da un momento all'altro. Non c'era
fatica in quell'inseguimento, ma tanta eccitazione.
La "mola", sentendosi braccata, riprendeva la sua
posizione verticale e si dava alla fuga, facendo
discrete evoluzioni che mi costringevano a manovre
repentine. Far girare velocemente la "San Giuseppe" non
era davvero uno scherzo!
Quando eravamo ormai vicini alla preda, Pietro scendeva
dal "farere", prendeva in mano una fiocina e si
portava ritto sulla prora. In pochi istanti l'evento era
consumato. Pietro lanciava l'attrezzo e tutti, con la
testa, accompagnavamo l'asta che si conficcava con le
sue punte d'acciaio, nel corpo della malcapitata. A quel punto scrosciavano gli applausi e i
complimenti all'equipaggio per l'eccitante
rappresentazione.Il pesce veniva
issato a bordo dalle forti braccia di Salvino, e
sistemato sul fondo della barca. Era brutto, ma sia
prima che dopo morto, metteva negli animi sensibili,
una grande mestizia. Infatti,i suoi grandi occhi senza
protezione, guardavano il vuoto con uno sguardo tenero
che faceva riflettere. Erano occhi di cerbiatto in un
essere buffo e mal costruito. Erano "mole" di trenta o quaranta chili, ma la
parte commestibile non avrebbe superato i sette chili,
a cottura ultimata. Pertanto, perché le porzioni fossero
abbondanti, si procedeva fino ad arrivare al giusto.
Pietro non amava strafare, non era nel suo stile.
Quindi si ritornava divertiti e si procedeva, sulla
spiaggia, ad aprire i pesci per prelevarne le parti
commestibili. A quel punto avveniva una cosa molto
curiosa: si assisteva alla avanzata di una moltitudine
di persone, villeggianti e locali, verso la riva, e
tutti avevano in mano un sacchetto di plastica.
Silenziosi si disponevano attorno a Pietro che
armeggiava con il coltello, ed attendevano. Un pezzo di
"mola" c'era per tutti, ed ognuno ringraziava e si
ritirava verso casa. Alla fine, gli ospiti, avevano
vissuto sicuramente una bella giornata marinara e se ne
tornavano in città commentando soddisfatti.
La ghiotta di Cesarina segnò parecchi punti a suo favore
nella considerazione degli amici!