Le Metamorfosi
L'ASINO D'ORO
Libro III
Già
aveva la rosseggiante Aurora preso in mano le cerulee briglie de' suoi
rosati corsieri, e con allegrezza di tutti i mortali se ne cavalcava per lo
cielo; e già la notte, toltomi dalla sicura quiete, mi rendeva al chiaro
del giorno; quandochè la ricordanza dell'omicidio della passata notte mi
aveva di mille mali pensieri ingombrata la mente: laonde tirate a me
le gambe, e aggavignate le ginocchia colle intrecciate mani, sedendomi in
sul letto sopra dell'anche, piangeva amaramente: e già mi pareva veder la
Corte circondarmi, e già mi avvisava d'essere imprigionato: già ascoltava la
crudel sentenza condennantemi alla morte; e già m'immaginava avere il
manigoldo dintorno: e diceva meco medesimo: chi sarà quel giudice cotanto
mansueto, cotanto amico, cotanto pieghevole, il quale possa liberare uno
che sia macchiato nel sangue di tre cittadini? questo è adunque quel
viaggio il quale volea quell'ostinato astrologo che m'avesse a esser
così glorioso?
E mentre che io, con queste e simili altre parole, a caldi
occhi piangeva le mie disavventure, io udii intorno all'uscio un gran romore; e in quello che io ascoltava che ciò potesse essere,
tutta la casa ad un tratto s'empiè di birri; e due di loro di
comandamento del bargello messomi le mani addosso, senza ch'io facessi
difesa alcuna, allora me ne menarono fuor di casa: e alla prima strada che
noi arrivammo, tutta la città corse a rumore, e ci si mise a
seguitare: e benchè io, come chi era pien di maninconia, me ne andassi
col capo basso, anzi fitto nel centro della terra, pur guardando alcuna
volta così per traverso, io m'accorsi d'una cosa degna di maraviglia;
e quest'era che fra tante brigate, che mi erano dietro, egli non ve
n'era alcuno che non ismascellasse dalle risa.
Or quando
noi avemmo, in guisa di quelli che fanno le processioni per impetrar
grazia dal grande Iddio, circuite tutte le piazze, e aggiratoci per
quanti cantoni v'era, io fui condotto in ringhiera dinanzi al
tribunale della giustizia: nè vi era tetto o luogo alcuno, che non fosse
stivato di gente: chi stava abbracciato alle colonne, chi si spenzolava
dalle statue, e molti si mostravan mezzi dalle finestre: infiniti
eran su per li palchi: e tanta era la cupidità del vedere, che e' non pareva
che per ciò fare eglino stimassero pericolo o disagio alcuno.
E
posciachè ognun di loro si fu assettato chi qua e chi là il meglio ch'e'
poteva, essendo menato là entro in guisa d'una vittima, fui fatto
fermare innanzi dove si sedeva il presidente della giustizia, e gli altri
più onorati uomini della città.
E allora il banditore, imposto silenzio a
tutto il popolo, al modo antico, citò lo accusatore che proponesse la causa
sua: perchè un vecchione, andatosene in un luogo eminente, donde e'
potesse essere inteso e veduto da tutto il popolo, posciachè egli ebbe
voltato un suo oriuolo, e' parlò in questa
guisa.
Non è
picciola cosa, discretissimi cittadini, quella che io intendo porvi
davanti in questo giorno, ma riguardante la pace e la quiete di tutta la
vostra città, e la quale col santo esempio le ha ad arrecare grandissimo
giovamento: egli vi è adunque conveniente per lo mantenimento della
quiete, per la pubblica dignità, con ogni maggior diligenza provvedere che
lo scellerato omicida non abbia empiuto tutta questa città dello innocente
sangue della abbominevole occisione di tanti cittadini, senza che
egli ne sia punito severamente. Nè pensate già che io mi sia per private
inimicizie mosso ad incrudelire contro a questo empio e scellerato.
Io sono preposto, come sapete, alle notturne guardie di questa città;
nè credo che alcuno, per vigilantissimo ch'egli si sia, possa incolpare la
mia diligenza. Io vi racconterò adunque la cosa; e quello si sia
fatto di notte, fedelmente vi farò sapere.
Essendo andato io adunque, là poco dopo la mezza notte, minutamente
ricercando tutte le parti di questa città, e' mi venne veduto
quell'iniquitoso giovane colla spada ignuda per ogni canto far carne; e già
giacerne a' suoi piedi tre, tutti imbrodolati di sangue, che ancor
davano i tratti, tutti stramazzati per le sue crudelissime mani. Perchè
egli punto, e meritamente, dalla sua coscienza, subito sparì via; e
per essere il buio grande, egli entrò in non so che casa, dove egli
è stato nascosto tutta la notte: ma per divina provvidenza, la quale
non lascia alcun fallo impunito, anzi che egli d'indi se ne scapolasse
per alcuna segreta strada, aspettata la mattina io provvidi che
egli fusse menato dinanzi al vostro illustrissimo cospetto. Voi avete
un reo macchiato di tante occisioni, un reo preso in sul fatto, un reo
forestiero: date adunque la sentenzia costantemente contro a costui, il
quale, dato mille volte che fusse vostro cittadino, io vi conosco così
giusto e così animoso, che voi non lascereste che voi non lo puniste con
grandissima severità.
Né più
tosto ebbe fermo la crudel voce il fiero accusatore, che il medesimo
banditore mi fece intendere, che volendo io rispondere cosa veruna, io
cominciassi. Ma che poteva io per allora fare altro che piagnere? nè mi
spaventava per mia fe' tanto l'acerbità dell'accusa, quanto faceva la
macchiata coscienza; pur sentendomi, la mercè del
Cielo, destare entro al petto un subito ardire, così
risposi:
Io so
molto bene quanto e' sia difficile ad uno che sia incolpato d'aver dato
alla morte i corpi di tre cittadini, e confessi il delitto spontaneamente,
persuadere, ancorchè dica il vero; a tanta moltitudine la sua innocenza;
ma se per vostra umanità voi ne porgerete pubblicamente le pazienti
orecchie, io non dubito di farvi toccar con mano, che io sono in
pericolo della vita non per mia colpa, ma per fortuito caso d'una
ragionevole indegnazione, e a torto sostengo i gridi di sì gran
peccato.
Perciocchè, tornando iersera un poco tardetto da cenar fuor
di casa, essendo assai ben carico (io non posso già negar quello che io
conosco esser vero) così del cibo, come del vino, io ritrovai avanti alla
porta del mio alloggiamento, cioè intorno a casa di quell'uom dabbene
di Petronio vostro cittadino, tre crudelissimi ladroni, i quali cercavan
di levar l'uscio d'in su i gangheri, avendo già per forza rotti gli
anelli del chiavistello (che Dio sa s'egli era acconcio con diligenza); e
cominciando già seco a deliberar della rovina della brigata di casa,
uno, il più robusto e di maggior persona, invitava gli altri con queste
parole:
Orsù giovani, assaltiamo virilmente e con allegra
fronte questi dormiglioni; ogni indugio, ogni viltà disgombri il vostro
petto; colla spada ignuda in mano non si veda altro che sangue: chi giacerà
addormentato, diamogli la morte; chi volesse contrastare, sia rimesso colle
ferite: e allora ritorneremo salvi e sicuri, se non rimarrà in casa alcuno
salvo o sicuro.
Io confesso, pietosi cittadini, che pensandomi di far
l'uficio di buon gentiluomo, e de' miei ospiti e di me stesso forte
dubitando, ch'io volli con un picciol pugnale, ch'io per così fatti pericoli
era usato di portare allato, dar la caccia, e impaurire quei ribaldoni: ma
eglino ostinati e crudeli, non si vollon dar miga a fuggire; anzi,
posciachè egli mi videro coll'arme in mano, fecero una valorosa
resistenza: la mischia fu grande; e avendomi alla fine il capitano e
banderajo degli altri assaltato con una gran forza, e presomi per li
cappelli con ambe le mani, e tiratomi all'indietro, per volermi dar un sasso
nel capo; il quale mentre che egli chiedeva a un de compagni, io gli menai
con salda mano un colpo con tanta felicità, che io lo distesi per
terra: e poco poi diritto a un altro, che con mordace bocca mi si era
avviluppato intorno a' piedi, un colpo per le spalle, gli feci il medesimo
scherzo: il terzo infilzandosi da sè stesso per lo gran buio
improvvisamente in quel coltello, si passò per lo petto da banda a banda.
Avendo io dunque in cotal guisa acquistatomi la pace e la difensione della
casa del mio ospite e la mia salute, non solamente mi persuadeva non ne
dovere esser punito, ma ne attendeva pubblica lode.
Io mai più non fui
richiesto a corte alcuna per qualsivoglia minimo peccatuzzo; ma tenuto
prode e valoroso al mio paese, sempre preposi la innocenza a qualunque
modo particolare. Nè so io per qual cagion vedere d'una giusta vendetta,
la quale io ho usato contro a di questi iniquissimi ladroni, ora ne sostenga
questa accusa; quando niuno può dimostrare che fra noi fossero vecchie
inimicizie, o ch'io mai avessi avuto commerzio alcuno con questi
assassini, e che egli non si vede alcuna preda, per cupidità della quale
io sia incorso in questo misfatto.
E posciach'io ebbi detto queste
cose, di nuovo incominciato un dirotto pianto, e facendo delle braccia
croce, per la pubblica misericordia, per l'amor de' figliuoli, or pregava
questi e or quegli altri; e chiamando fra tante lagrime e fra tante
preghiere in testimonianza della mia innocenza gli occhi della giustizia,
veggenti tutte le cose, e raccomandando il mio calamitoso caso alla divina
providenza; quando io mi pensava che la loro natia umanità,
sopraggiunta per li miei pianti da una carnal tenerezza, movesse
la maggior parte di loro ad aver misericordia della mia sventura; io
mi accorsi aver fatto tutto il contrario, e vidi tutto il popolo non
ridere, ma crepar delle risa: e quello, che mi parve più strano,
fu lo accorgermi che 'l mio buon Petronio, mio padre e mio
ospite, non rideva manco degli altri. Perchè raddoppiato il rancore,
diceva così tra me: Questa è adunque la fede? questa è la carità?
la coscienza è questa?
Ecco
che io per la salute del mio ospite, divenuto omicida, mi ritruovo in
pericolo della vita: nè a lui basta l'avermi mancato la sua
difensione, e l'essermi avvocato, che egli si ride della mia
rovina. E rammaricandomi io per così fatta maniera, eccoti venire
correndo, per lo mezzo della piazza una donna vestita a bruno, con un
picciolo fanciullo in collo, tutta piena di lacrime, appresso della
quale una vecchierella di grossi panni vestita, non manco romor di lei col
pianger facendo, se ne veniva; e avendo amendue portato alcuni rami
d'ulivo salvatico, subito arrivato, gli misero intorno al cataletto; e
poscia, levate le strida al cielo, lamentevolmente gridavano:
Per la pubblica pietà, per lo comune laccio della umanità, abbiate
compassion di questi giovani tagliati a pezzi indegnamente; abbiate
misericordia della nostra vedovanza, della nostra solitudine, del
danno nostro; soccorrete a questo picciolo fanciullo, privato ne' suoi
più teneri anni d'ogni suo bene; dateci almeno il sollazzo della vendetta,
e col sangue di questo scellerato fate sacrificio e alle vostre leggi
e alla pubblica disciplina.
Dopo le quali parole il presidente della giustizia in
più levatosi, rivolto al popolo, disse:
Della
scelleratezza, la quale si dee con severità non picciola castigare, noi non
avemo dubitanza veruna, nè quello stesso che l'ha commessa, comecchè
egli non la nieghi, non potrebbe volendo anche negarla; ma un solo
scrupolo ne rimane: e questo è, che noi cerchiamo di sapere chi furono
i compagni a sì grande ribalderia; conciossiacosachè egli non è
verisimile che un uomo solo abbia ammazzato tre giovani così
gagliardi. Laonde egli è da spiarne il vero co' tormenti; che così vi
accorgerete ch'egli non era solo; e la cosa è stabilita in
questo, che per sua esamina egli ci confessi chi furono i compagni, a
cagione che egli si sbarbichi fino a' fondamenti questa brutta fazione.
Nè vi
andò guari dopo queste parole, che un'infinità d'istrumenti da dar martorio
furono preparati: la qual cosa certamente mi accrebbe, anzi raddoppiò
il dolore; imperocchè avendo a morire a ogni modo, io desiderava di morire
intero.
Allora quella donna, la quale co' suoi pianti aveva conturbato
tutto il popolo, disse: Avanti che voi, spettabili cittadini, poniate
alla tortura il destruttor de' miei cari figliuoli, lasciatemi discoprire i
lor morti corpi, acciocchè contemplando tutto a un tratto la loro
bella presenza e la verde etade, voi maggiormente vi accendiate alla
vendetta.
Fu
consentito alla sua domanda; e però mi comandò uno de ministri della
giustizia, che io stesso gli discoprissi. Io non voleva per niente,
come colui al quale pareva fare il suo peggiore a porre di nuovo
innanzi agli occhi del popolo così spaventoso spettacolo: il medesimo
ministro, per un comandamento del presidente, con grandissima istanza
mi costringeva a ciò fare: e veduto al fine, che io pure stava
renitente, presami per forza la mano, a mio dispetto me la mise sopra della
bara. Vinto adunque dalla necessità, io divenni obbediente: e tirata a me
la coltre, a mia onta gli discopersi. O buono Dio, che cosa fu quella!
Che mostro! Qual repentina mutazione ebbero le mie miserie! E
parendomi esser già fra i sergenti di Lucifero per uno della famiglia
dell'inferno, in un tratto mi parve ritornare in vita; ma parevami
nondimeno non esser quel ch'io era, nè dove io era, ma un altro, e
in un altro modo: nè posso io già esprimere colle parole come si
stesse quella nuova immagine; perciocchè i corpi morti di quegli tre
uomini erano non uomini, ma tre otri gonfiati, e secondochè la memoria della
passata sera mi ammoniva, sforacchiati appunto in quei luoghi nei
quali mi pareva aver fitto il mio pugnale. Allora la gente, che per
astuzia d'alcun di loro aveva ritenute le risa un pezzo, tutta si
diede a smascellare: e mentre che per la soverchia allegrezza l'un voleva
far festa all'altro, egli era lor mestiero, per non crepare, porsi
le mani a' fianchi: e così tutti allagati in un mar di letizia, e
guardandomi fiso fiso, sgombraron la piazza.
Ma io,
come più tosto ebbi rimossa quella coltre, rimasi freddo, non altrimenti
che se io fussi stato una colonna, o qualcuna di quelle statue della
piazza: nè prima mi parve esser ritornato, se non allora quando il mio
ospite da me se ne venne. Il quale, perchè io di nuovo piangeva e
singhiozzava, presomi per mano, ancorch'io gliel negassi, con una
clemente violenza seco me ne menò, e per le più solitarie strade e più
segreti chiassolini che potè, mi ridusse a casa sua; dove il meglio che egli
seppe mi attese a consolare; ma non mai potè far tanto che egli mi levasse
dal cuore una certa indegnazione, che mi v'era per la ricevuta ingiuria
troppo altamente penetrata.
E mentre
che noi così ne dimoravamo, due gentiluomini de' primi della città con
pubblico mandato da noi se ne vennero; ed entrati in casa, con queste parole
cercarono tormi dal cuore il conceputo sdegno:
Noi non siamo
ignoranti, il nostro Messer Agnolo, nè dell'esser tuo nè de' tuoi
maggiori; imperciocchè le opere dell'avolo tuo materno, lasciamo star le
tue, furono tali, che eziandio in questa nostra città si leggono alcuna
volta; e questo di che tu ti duoli così agramente, non è stato fatto per
farti villania. Scaccia adunque da te ogni rancore, e leva cotesto
verme dall'animo tuo; imperciocchè questo giuoco, che noi ogni anno
celebriamo per ridere per la novità della sua invenzione, e questo
allegrissimo e dolce affetto accompagna continuamente con
grandissima amorevolezza in ogni luogo lo suo autore, nè mai
comporta che egli si dolga davvero, anzi assai sovente empie il suo seno
d'una modestissima allegrezza. Per lo qual beneficio tutta la città, oltre
alla grande obbligazione che ha teco contratta, ti ha offerti onori
grandissimi; perciocch'ella t'ha scritto tra' suoi difensori, e ha
avuta una provvisione che la tua immagine stia di bronzo a tuo
perpetuo onore sulla piazza sua.
Allora io,
udendo il lor parlare, risposi:
Bella
città, e unica di tutte l'altre d'Italia, io ti rendo pari grazie alle
profferte, confortandoti nondimeno a riservare le statue agli uomini più
degni e di maggior pregio ch'io non sono.
E avendo
con quella modestia che io poteva la maggiore, dette queste parole, ridendo
così un pochetto per mostrar d'esser allegro, con assai benigna fronte
accompagnai i gentiluomini, che già partir volevano, sin fuor dell'uscio. Nè
mi era a fatica spiccato da loro, che un famiglio di Laura a me correndo se
ne venne, e dissemi:
La
tua Laura ti manda ricordando la promessa che tu gli facesti ieri,
d'esser questa sera a cenar seco; e perciocch'egli è oggimai l'ora, ti prega
che solleciti il venire.
Laonde io, che mi raccapricciava udendo
di lontano nominar quella casa, risposi:
Come
vorrei io poter essere ubbidiente a' comandamenti della mia madre, se egli
mi fusse lecito senza rompimento di fede! Il mio ospite, scongiurandomi
per la solenne allegrezza dell'odierna festa, ha voluto ch'io sia con
lui, e io gliel'ho giurato; nè ora mi vuole dar licenzia: differiscasi
adunque la mia promessa a un'altra volta.
Appena
aveva io finite queste parole, che Petronio, fattosi arrecar tutto
quello che faceva mestiero per lavarsi, presomi per mano, ne condusse
alla più vicina stufa che vi avesse. Perchè io schifando gli occhi altrui, e
quel riso che io stesso mi aveva fabbricato, come meglio poteva sotto
di lui mi copriva: nè come io mi lavassi, nè come io mi rasciugassi, o me ne
tornassi a casa, per la vergogna grande che mi aveva tratto fuor di
me, non mi puote ancora tornare alla fantasia: e così guardato da
ognuno, e accennato da ognuno, pieno di sdegno, ne ritornammo a casa.
E avendo
poscia con assai prestezza trangugiato quella poca cena di Petronio,
impetrata agevolmente licenzia da lui, me n'andai a dormire. E stando sul
letto a giacere, mi andava rivolgendo per la fantasia i passati travagli;
per infino a tanto che Lucia, avendo messa a dormire la padrona, da me se ne
venne; ma molto dissimile a quella ch'ella soleva, non colla faccia
allegra, non col parlar piacevole, ma col viso arcigno, colla fronte piena
di crespe, timida e sospettosa finalmente mi disse:
Io
stessa, lo confesso d'accordo, io stessa sono stata la cagione della tua
tribulazione.
E trattosi
di seno un cintol di cuoio, e porgendomelo seguitò:
Prendi,
che io te ne prego, prendi la vendetta di me perfida femmina,
avvegnachè maggior supplizio merita il mio peccato: fammelo adunque
sentire: ma non creder però che io ti abbia procacciato
volontariamente questa miseria: non piaccia a Dio che per mia cagione tu
patisca un minimo travaglio; e se alcuna rovina pende sopra del capo
tuo, rimuovasi da te, e venga sopra di me; ristorisi col sangue mio ogni
tuo danno: ma quello che io fui forzata fare in altrui, per mia trista
sciagura è ritornato in tua vergogna.
Allora io,
che per altro era naturalmente curioso d'intendere ogni cosa, desiderando
con motteggi di sapere come il fatto fusse passato,
le dissi:
Questo
cintolo crudelissimo di tutti altri e troppo ardito, il quale tu mi
hai arrecato, perciocchè egli ti flagelli, tagliandolo in mille pezzi,
prima lo farò in niente tornare, che egli pur tocchi non che
batta la tua delicata e bianca pelle. Stiesi adunque da canto, e tu in
quello scambio mi racconterai, che cosa sia stata quella che da te
ordinata in altrui rovina, si sia convertita in nostro oltraggio. Io
ti giuro per lo tuo bellissimo capo, che io non potrei mai credere ad
alcuno, nè eziandio a te medesima, benchè tu me lo affermassi con
giuramento, che tu avessi pensato mai cosa del mondo per farmi villania: e
veramente che lo incerto accidente e contrario al primo instituto non
può far degne di colpa le sane cogitazioni.
E colla
fine di questo parlare io mi beeva gli occhi della mia Lucia bagnati
e tremuli, e già per la soverchia libidine tutti di fuoco. Perchè
ella, mezza racconsolata, anzi già divenuta allegra, disse:
Abbi,
ti priego, tanta pazienzia, ch'io serri la porta della camera,
acciocchè, se per la soverchia licenzia del parlare fussi udita, io non
commettessi qualche grande scandolo.
E detto
questo, messa la nottola nell'uscio, e puntellatolo molto bene, da me
se ne ritornò: e gittatomi ambe le mani al collo, con bassa e rimessa voce
mi disse:
Io ho
paura, io tremo a discoprire gli ascosi misteri, io mi raccapriccio a
rivelare i profondi segreti della mia padrona; ma i' piglierei fidanza
di te e della dottrina tua, il quale oltre il valore de' tuoi
maggiori, dopo il grande ingegno, avendo qualche parte di sacerdozio,
certamente hai conosciuto la fede del santo silenzio: tutto quello,
adunque, che io commetterò negl'intimi precordi del tuo religioso petto, io
ti prego che sempre rinchiuso ritenga, e ristori colla tenacità del tuo
tacere la semplicità del mio riferire; imperciocchè la forza d'amore, colla
quale io ti sono insolubilmente allacciata, costrigne me, che sopra
tutte l'altre donne la conosco, a farti ogni cosa palese.
Già saprai
tutto lo stato di nostra casa, già intenderai i segreti miracoli
della mia padrona, alla quale obbedisce l'inferno, si conturbano le stelle,
sono costretti gli spiriti, servono gli elementi; nè mai fa maggior prova
con questa sua arte, se non allora quando amorosamente risguarda
qualche leggiadro giovanetto: la qual cosa le suole intervenire
assai sovente; ed al presente ella arde d'un giovane, il quale è
sommamente bello, ed esercita in lui tutti gli strumenti, tutte le
macchine. Io udi' iersera, io lo udi' con queste mie orecchie, che se il
sole non affrettava il suo corso, e non dava con prestezza luogo
alla notte, tempo capace alla celebrazion de' suoi incanti, ella il
coprirebbe d'una caliginosa nebbia, e vestirebbelo d'una perpetua
oscurità. Ora avendo costei veduto ieri, mentre ch'ella tornava da
messa, questo giovane sedersi entro a una barbieria, ella mi comandò ch'io
ricogliessi alcuni de' suoi capelli, i quali, perchè il barbiere gli avea
tondata la zazzera, erano sparsi quivi per terra.
E mentre che io così di nascoso gli raccoglieva, il maestro se ne accorse, e perciocchè noi
siamo infami già per altro di quest'arte, egli mi prese per un
braccio, e dissemi una carta di villania:
Tu non vuoi
restare eh, vituperio del mondo, diceva, d'andar ricogliendo
le tondature de' capelli de' poveri giovani? Se tu non te ne rimani, io ne
porrò richiamo a corte: e aggiugnendo alle parole i fatti, messomi le
mani in seno, tutto adirato, ne trasse parecchi che io di già vi aveva
nascosti.
Dopo la qual cosa essendo io già grandemente affannata,
ricordandomi infra me del mal costume della mia padrona, la quale,
adirandosi per ogni piccola cosa, mi suol dare di molte battiture,
pensava di fuggirmi; ma lo amor ch'io ti porto mi costrinse a disgombrare
questo pensiero: e per non tornare a casa colle man vote,
accortami d'un che con un paio di forbice tondava certi otri di pelle di
capra ben gonfiati, perciocchè quelle tondature erano bionde, e
simili a' capelli di quel giovane, io ne ricolsi parecchi, e
mostrando che fussero di colui, gli portai alla mia padrona: e così
ella in sul farsi sera, anzi che tu arrivassi da casa Laura, tutta
conturbata salse sopra d'un certo tavolato ch'è sulla più alta parte
della casa; il qual luogo ella, per esser comodo all'arte sua, usa
massimamente quando vuol fare di segreto qualche incanto: e come prima vi fu
arrivata, col suo solito apparecchio ella spiegò la pestifera bottega.
Quivi era d'ogni ragione spezierie, e piastre di metallo piene di non
conosciute lettere; quivi si scorgevano delle naufraghe navi mille
rimasugli; quivi si trovavan de' sepolti corpi infinite membra; di
quello il naso, di questo le dita, e di molti appiccati per la gola i
carnosi calli; più là era un'ampolla di sangue di morti da omicida coltello,
e da un altro canto stava un teschio d'un uomo stato da cruda fiera
divorato.
E avendo dette molte parole, sopra tutte quelle cose vi
spruzzò su acqua di fontana, latte di vacca, mele di monti, eziandio della
cervogia; e avviluppando que' capelli insieme con molti odori, gli gittò ad
abbruciare: allora allora per la podestà di quell'arte, e per una vecchia
violenza di demoni costretti da lei, quegli otri, de' quali fummavano
gli peli, si empieron di spirito, e andarono; e dove gli traeva il
puzzo delle loro spoglie, là oltre forzatamente se ne vennero; e in
cambio di quel giovane, pieni di desiderio d'entrar dentro, facevano quel
rovinìo dintorno alla porta; allora quando tu, altetto un po' dianzi, e
ingannato dall'oscurità della notte tenebrosa, tratto fuori il pugnale
animosamente, in guisa dello stolto Aiace, non come egli già in un branco di
pecore incrudelisti, ma assai più valorosamente distendesti per terra
tre otri di capra; acciocchè io ti potessi senza che tu fussi macchiato di
sangue, posciachè tu avevi ammazzato i nimici, abbracciar non come omicida,
ma come otricida.
Sentendomi io adunque beffeggiare dal piacevol parlare della mia Lucia,
le dissi:
Orsù,
io posso adunque annoverare questa prima boria delle mie virtù a
comparazione d'una delle dodici di Ercole, o vuoi quella di Gerione
che aveva tre corpi, o quella di Cerbero che si trovava tre capi, avendo
ammazzati tre come lui; ma come io volentieri ti rimetto quella ingiuria
per la quale tu mi hai fatto stare in tanta angoscia, dammi quello
ch'io vo cercando con grandissimo desiderio: mostrami la tua padrona,
quando ella fa una di queste maraviglie: io ho una voglia ch'i' mi
stempero, di vedere una volta cogli occhi miei un fatto cotale. Benchè io
penso oggimai, che nè anche tu ne sia ignorante: io so questo, che
certamente lo provo, che essendo per altro poco vago de' matronali
abbracciamenti, tu m'hai con cotesti tuoi occhiolini sfavillanti, con
cotesti capelli risplendenti, e con quella ridente bocca, con quelli
amorevoli basciozzi, con quelle crude e odorose mammelle, fattomiti
in modo suggetto e obbligato, ch'io ti sono schiavo, e volentieri; e
dimenticatomi oggimai della mia casa, non mi curo più o pur penso di
ritornarvi; nè è cosa alcuna, che io
anteponessi a questa notte.
Come
vorrei, rispos'ella a questo, il mio Agnolo, poter saziare la voglia
tua! ma per gli ruvidi costumi altrui, avendo ella l'animo sempre pieno di
sollecitudine e di paura, è costumata, ogni volta ch'ella mette in opera
questi suoi segreti, fuggir sempre il cospetto delle brigate: ma io
posporrò il mio pericolo alla tua richiesta, e osservata la opportunità
del tempo, vedrò con ogni diligenza di saziarti; purchè, come io ti
pregai nel principio, tu sia contento non ne far parola.
E così
garrendo l'un coll'altro, una mutua voglia ne fe partecipi con ogni mio
vantaggio delle dolcezze di Venere: ed entrato poscia ne' miei occhi,
stracchi già per lo soverchio vegghiare, un dolce sonno, mi dormii fino
che la notte rendesse al giorno le pompe sue.
E in
quella guisa con assai mio sollazzo passarono alcune poche notti; sino che
un dì, fra gli altri, la Lucia tutta affannata e timorosa mi venne
dicendo, che la padrona, non profittando dell'amor suo con altro modo che
con queste sue arti, si voleva la seguente notte trasmutare in uno
uccello, e in quella guisa volarsene in grembo al suo desiderato; per
la qual cosa io mi mettessi a ordine se bramava saziare il mio appetito.
E venuta
ella, fra le tre e le quattro ore, io fui con cheti passi condotto vicino
a quel terrazzo di legname ch'io vi dissi di sopra: e giunto che
io fui lassù, ella mi fece vedere per una certa fessura dell'uscio tutto
il convenente. La prima cosa, ella si trase tutte le vesti, e aperta
una cassetta, ne cavò fuori parecchi bossoletti; dell'un de' quali
levatone il coperchio, e trattone certa unzione, posciachè se la fu
rimenata un pezzo per le palme, si unse dalla cima del capo insino alle
punte de' piedi, e avendo parlato un pezzo di segreto colla lucerna, si
scosse così un pochetto: dalla quale a poco a poco si videro
spuntar prima certe piume, poi nascer le penne; il naso divenne
torcendosi un becco, le unghie appuntandosi si aoncinarono;
finalmente ella divenne un assiuolo: e mandando fuori uno di que' suo' urli
maninconosi, facendo prova prima del fatto suo, a poco a poco si alzava da
terra; e poco poi levatasi in aria, si mise a volo per lo cielo.
Ma a me,
non incantato da parole alcune, ma rimasto immobile per così fatta
maraviglia, pareva esser ogni altra cosa che Agnolo, e fuor di me
attonito e balordo vegghiando sognava; perchè
stropicciatomi più volte gli occhi, guardava pure con diligenza se io
dormiva: pur finalmente ritornato ne' sensi, presa la mano di Lucia, e
accostatamela agli occhi, dissi:
Deh
sia contenta, che io te ne prego, mentre che ne è concessa l'occasione,
ch'io fruisca un singolar frutto della tua affezione, e fammi parte d'un
poco di quella stessa unzione: io te lo chieggo per coteste tue
mammelle, la mia dolcezza; e con questo irremunerabil beneficio
obbligati in perpetuo questo schiavo, e fa di grazia, che io possa colle
piume fruir teco, come fe Giove con Leda, gli amorosi desiderj.
Ah così
mi tradisci, diss'ella, il mio amante, e fa' mi da me stessa colla
mia asce percuotere nelle mie gambe? Dunque vuoi ch'io conservi il
mio amore per le meretrici di Bologna? E dove ne andrei ricercando,
posciachè egli fusse divenuto uccello? Quando lo rivedrei io?
Allora io le risposi:
Rimuova Dio così gran fallo; e sia certa, ancorch'io avessi le
penne aquiline, e potessi alzarmi per tutto il cielo, nunzio fidelissimo
e lieto provvisionato di Giove, ch'io, posto giù la dignità delle
penne, non me ne volassi al mio dolce nido. Io ti giuro per lo
soave nodo di questi tuoi capelli, col quale tu mi hai allacciata l'anima,
che io non vorrò mai altri che la mia Lucia; anzi ho questo sopra
tutti gli altri pensieri, che come io fussi vestito di quelle penne, di
star lontan dalle case un trar d'arco almeno. Oh come bello e come
festevole amante si goderebbono le matrone, godendosi uno assiuolo! e, che è
peggio, quando un di cotesti uccellacci entra in qualsivoglia casa, or
non lo vediamo noi prendere con ogni sollecitudine, e appiccare alle
porte, e fargli pagar quel danno, che cogl'importuni loro voli e'
minacciano altrui, colla morte loro? Ma quello di ch'io mi era presso
che dimenticato di domandarti, con che parole, o in qual modo trattomi le
penne ritornerò io al mio essere?
Sta
di buon animo, rispose ella,
che tutto quello che fa
mestiero intorno a ciò, io il so troppo bene; perciocchè la mia
padrona mi ha mostrato tutte le vie, le quali possono far gli uomini
di nuovo ritornare alle lor forme: nè creder già ch'ella abbia fatto
questo per amore che ella mi porti, ma a cagione che ritornando essa, io le
possa ministrar le cose che le bisognano. Guarda adunque con che picciola,
con che frivola materia si procuri così gran cosa. Prendesi un poco d'aneto,
e messo con parecchi foglie d'alloro nell'acqua, e dato bere, o
fattone una lavanda, ne rende la forma di prima.
E
posciach'ella ebbe queste cose più volte affermato, entratasene con gran
cura di non esser veduta in quella stanza, e tratto fuori un bossolo
di quell'arca, me lo diede; il quale subito che ebbi, avendo io imprima
abbracciato e baciato, il pregai che mi fosse favorevole al volare.
Quivi
spogliatomi subitamente tutte le vesti, vi misi le mani assai
avidamente, e cacciato molto bene di quell'unto, me ne stropicciai tutte le
membra, e poscia battendo or questo e or quel braccio, per la gran
brama che io avea di volare, parendomi tuttavia che fusser divenute due ali;
ma niuna piuma appariva, niuna penna non ispuntava: anzi i miei peli
s'ingrossavano in setole, e la mia pelle s'indurava in cuoio; le dita
perdendo il lor numero, s'inceppavano in una unghia sola; e là oltre, dove
terminava il fil delle rene, calava una pannocchiuta coda: la mia faccia
divenne bruttissima e lunga, il naso si aperse, le labbra cresciute in
carne mi penzolavano, e l'orecchie rivestite di orridi peli,
appuntatesi, crebbero sconciamente.
Non potendo più la Lucia mi vedeva
crescere tutte le membra: le quali per povertà di salute mentre ch'io andava
considerando, io mi accorsi d'esser convertito non in uno uccello, ma in un
bello asino: della qual cosa mi voleva rammaricare con Lucia, ma io
era privato e della forma e della voce dell'uomo; e quello che io
solo poteva, spinto solo innanzi l'ultima parte delle labbra, e con umidi
occhi così per lo traverso riguardandola, tacitamente me le
raccomandava.
Ma ella,
come più tosto mi vide in quella guisa, percossasi la fronte con importuna
mano, gridava:
misera
alla vita mia, io sono disfatta: la paura e la fretta insieme m'hanno
ingannato, e la simiglianza de' bossoli: ma manco male è, posciachè
egli con agevol medicina si potrà medicare; imperciocchè come tu n'avrai più
tosto morsecchiato parecchie rose, tu lascerai d'esser asino, e ritornerai
nel mio bello Agnolo: e Dio volesse che così come io soglio, io ne avessi
colto iersera qualche ghirlandetta, che non patiresti disagio pur
d'una sola notte: ma come prima egli apparirà il dì, sta di buona
voglia, che io preparerò la medicina.
Così
parlava ella piangendo; e io, ancorachè fussi asino interamente, e
in cambio d'uomo una bestia, nientedimanco riteneva il senso umano;
e però pensava fra me, se io doveva co' calci e co' morsi ammazzare
quella tristissima femmina: dal qual pensiero temerario, più sano
consiglio mi rivocò, e considerai che castigandola col darle morte, io
mi privava d'ogni aiuto e d'ogni consiglio.
Perchè,
abbassando il capo e scotendo, e rugumandomi così fra me la temporal
contumelia, e servendo al mio duro accidente, m'inviai verso la stalla del
mio cavallo, dove era eziandio un altro asino, il quale era di Petronio
ospite per l'addietro: ed estimava che se alcun tacito e natural
sagramento era fra i muti animali, che quel mio cavallo, riconoscendomi,
mosso a misericordia mi dovesse dare spazio nel più netto e miglior luogo
di quella stalla.
Ma, o
Rettor dell'universo, e segreta divinità della Fede! quel gentil mio
palafreno, accordato coll'asino a' miei danni, temendo che io non
togliessi lor la biada, appena mi vidono approssimare alla mangiatoia,
che rizzando le orecchie, che prima erano languide e penzoloni, mi diedero
parecchie coppie di calci delle cattive, e cacciaronmi un pezzo lontano da
quell'orzo, il quale aveva dato io colle mie mani a quel mio valente
corsiere la sera dinanzi.
Laonde,
mal condotto, tutto solo me ne andai là in un canto della stalla: e
mentre che tra me stesso io ripensava la insolenzia de' miei compagni, e
deliberava che venuto il giorno, ritornato al mio proprio essere, di
vendicarmene sopra del mio cavallo, e' mi venne veduto attaccato a
una colonna, che essendo nel mezzo sosteneva la trave del palco, un
tabernacoletto, entro al quale eran dipinte in carta non so che figure, il
quale era stato di fresco tutto di rose inghirlandato.
Perchè io,
conosciuto il buono aiuto, tutto pieno di speranza mi rizzai co' piedi
dinanzi con quella più gagliardia che io poteva, e allungato il collo, e
stese le labbra in fuori, cercava di aggiugnere qualcuna di quelle rose: e
come volle la mia mala sorte, mentre che io sì mi spenzolava, un mio
famiglio, al quale io aveva dato la cura del mio cavallo, come più tosto
mi vide, tutto sdegnato si rizzò su, dicendo:
E
insino a quando sosterrem noi questo animalaccio, molesto poco fa alla biada
di quest'altre bestie, e ora alle figure de' Santi? Deh perchè non azzopp'io
e non carico di bastonate oramai questo sacrilego?
E
cercando di qualche cosa da mazzicarmi, e' percosse in un fascio di legne; e
trattone un pezzo il più grosso e nocchieruto che vi fusse, egli non restò
mai di battermi, insintanto che impaurito per un gran fracasso del vicinato,
che gridava al ladro al ladro, egli si fuggì.
Nè vi
andò guari, che un gran viluppo di ladri, aperte le porte di casa per forza,
entraron dentro, e la misero a soqquadro tutta; e discacciata per forza una
masnada d'armati, che del paese ivi vicino eran venuti per
soccorso di Petronio, e tutti con fiaccole e con armi facevano giorno
della notte (imperocchè il fuoco e le spade risplendevano non altrimenti
che si facci il sole quando e' si leva) nè se gli lasciando accostare,
messasi colle scuri intorno a una guardaroba, che nel mezzo di casa
era, ripiena de' miglioramenti di Petronio, la quale era con
fortissimi serrami chiavata, fer tanto che la spezzarono, ed entrativi
dentro per forza, misero a bottino ciò che v'era; e fatto fardello,
spacciatamente se lo divisero infra di loro: e il numero delle robe era
tanto, che avevan carestia di chi le portasse.
Sicchè
venutisene alla stalla, ei ne trassero noi due asini e 'l mio cavallo, e con
quante maggior some poterono ci caricarono: e avendo vota la casa, e
lasciato in paese un di loro, che spiasse quello che si dicesse di questo
loro assassinamento, e riferisselo, con buone bastonate avviaronci, e
ci menaron sempre fuor di strada e per alpestri monti più ratto che di
galoppo.
Ed io che
già per lo gran peso di quella soma, e per la erta repente di quelle
montagne, e per la lunga via non era punto differente da un che è morto,
passando da una villetta, dove appunto il dì, per esservi il mercato, era
una gran gente, e' mi venne voglia chiamare aiuto da un di loro: e volendo
sforzare il natio parlare asinino, e dire olà; gridai oh solo, e
perfettamente e forte; ma lo avanzo io non lo potetti profferire: perchè
avendo i ladroni per tema di essere scoperti avuto per male il
mio sconcio ragghiare, mi battêr sì forte la pelle da ogni canto, ch'ella
non sarebbe eziandio stata buona a fare un vaglio.
E passando
noi poscia da certe belle case e grandi, e' mi venne veduto uno orto
assai ameno, entro al quale, oltre alle altre erbe odorifere, vi si vedevano
molte verginelle rose, tutte piene di rugiada; alle quali io, volonteroso
e allegro per la speranza della propinqua salute, subito mi vi
accostai vicin vicino; e quando vi aveva quasi che sopra le labbra,
e' mi sopraggiunse un miglior pensiero, parendomi che se io,
partendomi allora dall'asino, ritornava di nuovo ad essere uomo, di portar
manifesto pericolo di non trovar fra le mani di questi ladroni una evidente
rovina, o per suspizione dall'arte magica, o per paura ch'io non discoprissi
i furti loro: sicchè per allora, e necessariamente per certo, io mi astenni
dalle rose; e sopportandomi la presente fortuna, in forme d'asino mi
andava rodendo il durissimo fieno.
Apuleius
II secolo
Volgarizzato da Agnolo Firenzuola
Milano
G. Daelli - 1863
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