Le Metamorfosi

L'ASINO D'ORO
Libro III

 

 

Già  aveva  la  rosseggiante  Aurora  preso  in mano le cerulee briglie de' suoi rosati corsieri, e con allegrezza di tutti i mortali se ne cavalcava per lo cielo;  e già la notte, toltomi dalla sicura quiete, mi rendeva al chiaro del giorno; quandochè  la  ricordanza  dell'omicidio  della passata notte mi aveva di mille mali pensieri ingombrata  la  mente:  laonde  tirate  a  me  le gambe, e aggavignate le ginocchia colle intrecciate mani, sedendomi in sul letto sopra dell'anche, piangeva amaramente: e già mi pareva veder la Corte circondarmi, e già mi avvisava d'essere imprigionato: già ascoltava la crudel sentenza condennantemi alla morte; e già m'immaginava avere il manigoldo dintorno:  e diceva meco medesimo: chi sarà quel giudice cotanto  mansueto,  cotanto  amico,  cotanto pieghevole, il quale possa liberare uno che sia macchiato nel sangue di tre cittadini?  questo è adunque quel viaggio il quale volea quell'ostinato  astrologo  che  m'avesse  a  esser  così glorioso? 
E mentre che io, con queste e simili altre parole, a caldi occhi piangeva le mie disavventure,  io  udii  intorno  all'uscio  un  gran romore;  e  in  quello  che  io  ascoltava  che  ciò potesse  essere,  tutta  la  casa  ad  un  tratto s'empiè di birri; e due di loro di comandamento del bargello messomi le mani addosso, senza ch'io facessi difesa alcuna, allora me ne menarono fuor di casa: e alla prima strada che noi arrivammo,  tutta la città corse  a rumore,  e  ci  si  mise  a  seguitare:  e  benchè  io, come  chi era pien di maninconia, me ne  andassi col capo basso, anzi fitto nel centro della terra, pur guardando alcuna volta così per traverso,  io  m'accorsi  d'una  cosa  degna  di maraviglia;  e  quest'era  che  fra  tante  brigate, che mi erano dietro, egli non ve n'era alcuno che  non  ismascellasse  dalle  risa.

Or  quando noi  avemmo,  in  guisa  di  quelli  che  fanno  le processioni per impetrar grazia dal grande Iddio,  circuite  tutte  le  piazze,  e  aggiratoci  per quanti  cantoni  v'era,  io  fui  condotto  in  ringhiera dinanzi  al tribunale  della giustizia:  nè vi era tetto o luogo alcuno, che non fosse stivato di gente: chi stava abbracciato alle colonne,  chi  si  spenzolava  dalle  statue,  e  molti  si mostravan  mezzi  dalle  finestre:  infiniti  eran su per li palchi: e tanta era la cupidità del vedere, che e' non pareva che per ciò fare eglino stimassero  pericolo  o  disagio  alcuno.
E  posciachè ognun di loro si fu assettato chi qua e chi  là il  meglio ch'e'  poteva,  essendo  menato là  entro  in  guisa  d'una  vittima,  fui  fatto  fermare innanzi dove si sedeva il presidente della giustizia, e gli altri più onorati uomini della  città. 
E  allora il banditore, imposto silenzio a tutto il popolo, al modo antico, citò lo accusatore che proponesse la causa sua: perchè un vecchione, andatosene in un luogo eminente, donde  e'  potesse  essere  inteso  e  veduto  da tutto il popolo, posciachè egli ebbe voltato un suo  oriuolo,  e'  parlò  in  questa  guisa.
Non  è picciola  cosa,  discretissimi  cittadini,  quella che io intendo porvi davanti in questo giorno, ma riguardante la pace e la quiete di tutta la vostra città, e la quale col santo esempio le ha ad arrecare grandissimo giovamento: egli vi  è adunque  conveniente  per  lo  mantenimento della quiete, per la pubblica dignità, con ogni maggior diligenza provvedere che lo scellerato omicida non abbia empiuto tutta questa città dello  innocente  sangue  della  abbominevole occisione  di  tanti  cittadini,  senza che  egli  ne sia punito severamente. Nè pensate già che io mi sia per private inimicizie mosso ad incrudelire  contro  a  questo  empio  e  scellerato.  Io sono  preposto,  come  sapete,  alle  notturne guardie di questa città;  nè  credo che alcuno, per vigilantissimo ch'egli si sia, possa incolpare la mia diligenza. Io vi racconterò adunque la  cosa;  e  quello  si  sia  fatto  di  notte,  fedelmente  vi  farò  sapere.
Essendo  andato  io adunque, là poco dopo la mezza notte, minutamente ricercando tutte le parti di questa città, e' mi venne veduto quell'iniquitoso giovane colla spada ignuda per ogni canto far carne; e già giacerne a' suoi piedi tre, tutti imbrodolati di  sangue,  che  ancor  davano  i  tratti,  tutti stramazzati per le sue crudelissime mani. Perchè  egli  punto,  e  meritamente,  dalla  sua  coscienza, subito sparì via; e per essere il buio grande,  egli  entrò  in  non  so  che  casa,  dove egli è stato nascosto tutta la notte: ma per divina  provvidenza,  la  quale  non  lascia  alcun fallo impunito, anzi che egli d'indi se ne scapolasse  per  alcuna  segreta  strada,  aspettata la  mattina  io  provvidi  che  egli  fusse  menato dinanzi  al  vostro  illustrissimo  cospetto.  Voi avete un reo macchiato di tante occisioni, un reo preso in sul fatto, un reo forestiero:  date adunque la sentenzia costantemente contro a costui, il quale, dato mille volte che fusse vostro cittadino, io vi conosco così giusto e così animoso, che voi non lascereste che voi non lo puniste  con  grandissima  severità.


Né  più  tosto ebbe fermo la crudel voce il fiero accusatore, che il medesimo banditore mi fece intendere, che volendo io rispondere cosa veruna, io cominciassi. Ma che poteva io per allora fare altro che piagnere? nè mi spaventava per mia fe'  tanto  l'acerbità  dell'accusa,  quanto  faceva  la  macchiata  coscienza;  pur  sentendomi,  la mercè del Cielo, destare entro al petto un subito  ardire,  così  risposi:
Io  so  molto  bene quanto e' sia difficile ad uno che sia incolpato d'aver dato alla morte i corpi di tre cittadini, e confessi il delitto spontaneamente, persuadere, ancorchè dica il vero; a tanta moltitudine la  sua  innocenza;  ma  se  per  vostra  umanità voi  ne  porgerete  pubblicamente  le  pazienti orecchie,  io  non  dubito  di  farvi  toccar  con mano,  che  io  sono  in  pericolo  della  vita  non per mia colpa, ma per fortuito caso d'una ragionevole  indegnazione,  e  a  torto  sostengo  i gridi di sì gran peccato.
Perciocchè, tornando iersera  un  poco  tardetto  da  cenar  fuor  di casa, essendo assai ben carico (io non posso già  negar  quello  che  io  conosco  esser  vero) così del cibo, come del vino, io ritrovai avanti alla porta del mio alloggiamento, cioè intorno a  casa  di  quell'uom  dabbene  di  Petronio  vostro cittadino, tre crudelissimi ladroni, i quali cercavan  di  levar  l'uscio  d'in  su  i  gangheri, avendo già per forza rotti gli anelli del chiavistello (che Dio sa s'egli era acconcio con diligenza);  e  cominciando  già  seco  a  deliberar della rovina della brigata di casa, uno, il più robusto e di maggior persona, invitava gli altri con  queste  parole
:  
Orsù  giovani,  assaltiamo  virilmente  e  con  allegra  fronte  questi  dormiglioni; ogni indugio, ogni viltà disgombri il vostro petto; colla spada ignuda in mano non si veda altro che sangue: chi giacerà addormentato, diamogli la morte; chi volesse contrastare, sia rimesso colle ferite: e allora ritorneremo salvi e sicuri, se non rimarrà in casa alcuno salvo o sicuro
.
Io confesso, pietosi cittadini, che pensandomi di far l'uficio di buon gentiluomo, e de' miei ospiti e di me stesso forte dubitando, ch'io volli con un picciol pugnale, ch'io per così fatti pericoli era usato di portare allato, dar la caccia, e impaurire quei ribaldoni: ma  eglino ostinati e crudeli, non  si  vollon dar miga a fuggire;  anzi, posciachè egli mi videro  coll'arme  in  mano,  fecero  una  valorosa resistenza:  la mischia fu grande; e avendomi alla fine il capitano e banderajo degli altri assaltato  con  una  gran  forza,  e  presomi  per  li cappelli con ambe le mani, e tiratomi all'indietro, per volermi dar un sasso nel capo; il quale mentre che egli chiedeva a un de compagni, io gli menai con salda mano un colpo con tanta  felicità,  che  io  lo  distesi  per  terra:  e  poco poi diritto a un altro, che con mordace bocca mi si era avviluppato intorno a' piedi, un colpo per le spalle, gli feci il medesimo scherzo: il terzo infilzandosi da sè stesso per lo gran buio  improvvisamente in quel coltello, si passò per lo petto da banda a banda. Avendo io dunque in cotal guisa acquistatomi la pace e la difensione della casa del mio ospite e la mia salute, non solamente mi persuadeva non ne dovere esser punito, ma ne attendeva pubblica lode.
Io mai più non fui richiesto a corte alcuna per qualsivoglia  minimo  peccatuzzo;  ma  tenuto prode e valoroso al mio paese, sempre preposi la  innocenza  a  qualunque  modo  particolare. Nè so io per qual  cagion vedere  d'una giusta vendetta, la quale io ho usato contro a di questi iniquissimi ladroni, ora ne sostenga questa accusa; quando niuno può dimostrare che fra noi  fossero  vecchie  inimicizie,  o  ch'io  mai avessi avuto commerzio alcuno con questi assassini, e  che  egli  non si vede  alcuna preda, per cupidità della quale io sia incorso in questo  misfatto. 
E  posciach'io  ebbi  detto  queste cose, di nuovo incominciato un dirotto pianto, e facendo delle braccia croce, per la pubblica misericordia, per l'amor de' figliuoli, or pregava  questi  e  or  quegli  altri;  e  chiamando  fra tante lagrime e fra tante preghiere in testimonianza della mia innocenza gli occhi della giustizia, veggenti tutte le cose, e raccomandando il mio calamitoso caso alla divina providenza;  quando  io  mi  pensava  che  la  loro  natia umanità,  sopraggiunta  per  li  miei  pianti  da una  carnal  tenerezza,  movesse  la  maggior parte  di  loro  ad  aver  misericordia  della  mia sventura; io mi accorsi aver fatto tutto il contrario,  e  vidi  tutto  il  popolo  non  ridere,  ma crepar  delle  risa:  e  quello,  che  mi  parve  più strano,  fu lo  accorgermi  che  'l  mio  buon  Petronio,  mio  padre  e  mio  ospite,  non  rideva manco  degli  altri.  Perchè  raddoppiato  il  rancore, diceva così tra me:
Questa è adunque la fede?  questa è  la  carità?  la coscienza  è  questa?
Ecco che io per la salute del mio ospite, divenuto omicida, mi ritruovo in pericolo della vita:  nè  a  lui  basta  l'avermi  mancato  la  sua difensione,  e  l'essermi  avvocato,  che  egli  si ride  della  mia  rovina.  E  rammaricandomi  io per così fatta maniera, eccoti venire correndo, per lo mezzo della piazza una donna vestita a bruno, con un picciolo fanciullo in collo, tutta piena  di  lacrime,  appresso  della  quale  una vecchierella di grossi panni vestita, non manco romor di lei col pianger facendo, se ne veniva;  e  avendo  amendue  portato  alcuni  rami d'ulivo salvatico, subito arrivato, gli misero intorno al cataletto; e poscia, levate le strida al cielo, lamentevolmente gridavano:
Per la pubblica pietà, per lo comune laccio della umanità,  abbiate  compassion  di  questi  giovani  tagliati  a  pezzi  indegnamente;  abbiate  misericordia  della  nostra  vedovanza,  della  nostra solitudine,  del  danno  nostro;  soccorrete  a questo picciolo fanciullo, privato ne' suoi più teneri anni  d'ogni suo bene;  dateci almeno il sollazzo della vendetta, e col sangue di questo scellerato  fate  sacrificio  e  alle  vostre  leggi  e alla pubblica disciplina.

Dopo le  quali  parole il presidente della giustizia in più levatosi, rivolto  al  popolo,  disse:
Della  scelleratezza,  la quale si dee con severità non picciola castigare, noi non avemo dubitanza veruna, nè quello  stesso  che  l'ha  commessa,  comecchè  egli non  la  nieghi,  non  potrebbe  volendo  anche negarla;  ma  un  solo  scrupolo  ne  rimane:  e questo è, che noi cerchiamo di sapere chi furono  i  compagni  a  sì  grande  ribalderia;  conciossiacosachè  egli  non  è  verisimile  che  un uomo  solo  abbia  ammazzato  tre  giovani  così gagliardi. Laonde  egli è da spiarne  il vero co' tormenti;  che  così  vi  accorgerete  ch'egli  non era  solo;  e  la  cosa  è  stabilita  in  questo,  che per  sua esamina egli  ci  confessi  chi  furono i compagni, a cagione che egli si sbarbichi fino a'  fondamenti  questa  brutta  fazione.

Nè  vi andò guari dopo queste parole, che un'infinità d'istrumenti da dar martorio furono preparati: la  qual  cosa  certamente  mi  accrebbe,  anzi  raddoppiò il dolore; imperocchè avendo a morire a ogni modo, io desiderava di morire intero.
Allora quella donna, la quale co' suoi pianti  aveva  conturbato  tutto  il  popolo,  disse: Avanti che voi, spettabili cittadini, poniate alla tortura il destruttor de' miei cari figliuoli, lasciatemi discoprire i lor morti corpi, acciocchè contemplando  tutto  a  un  tratto  la  loro  bella presenza e la verde etade, voi maggiormente vi accendiate  alla  vendetta.

 


 

Fu  consentito  alla sua domanda; e però mi comandò uno de ministri  della  giustizia,  che  io  stesso  gli  discoprissi. Io non voleva per niente, come colui al quale  pareva  fare  il  suo  peggiore  a  porre  di nuovo innanzi agli occhi del popolo così spaventoso spettacolo: il medesimo ministro, per un  comandamento  del  presidente,  con  grandissima  istanza  mi  costringeva  a  ciò  fare:  e veduto  al  fine,  che  io  pure  stava  renitente, presami per forza la mano, a mio dispetto me la mise sopra della bara. Vinto adunque dalla necessità, io divenni obbediente: e tirata a me la  coltre,  a mia onta  gli  discopersi.  O  buono Dio, che cosa fu quella! Che mostro! Qual repentina  mutazione  ebbero  le  mie  miserie!  E parendomi esser già fra i sergenti di Lucifero per uno della famiglia dell'inferno, in un tratto mi parve ritornare in vita; ma parevami nondimeno  non  esser  quel  ch'io  era,  nè  dove  io era, ma un altro, e in un altro modo: nè posso io  già  esprimere  colle  parole  come  si  stesse quella  nuova  immagine;  perciocchè  i  corpi morti di quegli tre uomini erano non uomini, ma tre otri gonfiati, e secondochè la memoria della passata sera mi ammoniva, sforacchiati appunto  in  quei  luoghi  nei  quali  mi  pareva aver fitto il mio pugnale. Allora la gente, che per  astuzia  d'alcun  di  loro  aveva  ritenute  le risa un pezzo, tutta si diede a smascellare: e mentre che per la soverchia allegrezza l'un voleva  far  festa  all'altro,  egli  era  lor  mestiero, per  non  crepare,  porsi  le  mani  a'  fianchi:  e  così tutti allagati in un mar di letizia, e guardandomi  fiso  fiso,  sgombraron  la  piazza.
Ma io, come più tosto ebbi rimossa quella coltre, rimasi  freddo,  non  altrimenti  che  se  io  fussi stato una  colonna,  o qualcuna di  quelle  statue  della piazza:  nè  prima mi  parve  esser ritornato, se non allora quando il mio ospite da me se ne  venne. Il quale, perchè io di nuovo piangeva  e  singhiozzava,  presomi  per  mano, ancorch'io gliel negassi, con una clemente violenza seco me ne menò, e per le più solitarie strade e più segreti chiassolini che potè, mi ridusse a casa sua; dove il meglio che egli seppe mi attese a consolare; ma non mai potè far tanto che egli mi levasse dal cuore una certa indegnazione, che mi v'era per la ricevuta ingiuria  troppo  altamente  penetrata. 

E  mentre che noi così ne dimoravamo, due gentiluomini de' primi della città con pubblico mandato da noi se ne vennero; ed entrati in casa, con queste parole cercarono tormi dal cuore il conceputo  sdegno: 
 Noi  non  siamo ignoranti,  il  nostro  Messer  Agnolo,  nè  dell'esser  tuo  nè  de' tuoi maggiori; imperciocchè le opere dell'avolo tuo materno, lasciamo star le tue, furono tali, che eziandio in questa nostra città si leggono alcuna volta;  e questo di che  tu ti  duoli così agramente, non è stato fatto per farti villania. Scaccia  adunque  da  te  ogni  rancore,  e  leva cotesto  verme  dall'animo  tuo;  imperciocchè questo  giuoco,  che  noi  ogni  anno  celebriamo per ridere per la novità della sua invenzione, e questo  allegrissimo  e  dolce  affetto  accompagna  continuamente  con  grandissima  amorevolezza  in  ogni  luogo  lo  suo  autore,  nè  mai comporta che egli si dolga davvero, anzi assai sovente empie il suo seno d'una modestissima allegrezza. Per lo qual beneficio tutta la città, oltre alla grande obbligazione che ha teco contratta, ti ha offerti onori grandissimi; perciocch'ella  t'ha  scritto  tra'  suoi  difensori,  e  ha avuta  una  provvisione  che  la  tua  immagine stia di bronzo a tuo perpetuo onore sulla piazza sua.

Allora io, udendo il lor parlare, risposi:
Bella città, e unica di tutte  l'altre d'Italia, io ti rendo pari grazie alle profferte, confortandoti nondimeno a riservare le  statue  agli uomini  più degni  e di  maggior pregio ch'io non sono.

E avendo con quella modestia che io poteva la maggiore, dette queste parole, ridendo così  un  pochetto per  mostrar  d'esser allegro, con assai benigna fronte accompagnai i gentiluomini, che già partir volevano, sin fuor dell'uscio. Nè mi era a fatica spiccato da loro, che un famiglio di Laura a me correndo se ne venne,  e  dissemi:
La  tua  Laura  ti  manda  ricordando la promessa che tu gli facesti ieri, d'esser questa sera a cenar seco; e perciocch'egli è oggimai l'ora, ti prega che solleciti il venire
.

Laonde  io,  che  mi  raccapricciava  udendo  di lontano  nominar  quella  casa,  risposi:
Come vorrei io poter essere ubbidiente a' comandamenti della mia madre, se egli mi fusse lecito senza rompimento di fede! Il mio ospite, scongiurandomi  per  la  solenne  allegrezza  dell'odierna festa,  ha  voluto  ch'io sia con lui,  e  io gliel'ho giurato;  nè  ora mi vuole  dar licenzia: differiscasi adunque la mia promessa a un'altra volta.

Appena aveva io finite queste parole, che  Petronio,  fattosi  arrecar  tutto  quello  che faceva  mestiero  per  lavarsi,  presomi  per mano, ne condusse alla più vicina stufa che vi avesse. Perchè io schifando gli occhi altrui, e quel  riso  che  io  stesso  mi  aveva  fabbricato, come meglio poteva sotto di lui mi copriva: nè come io mi lavassi, nè come io mi rasciugassi, o me ne tornassi a casa, per la vergogna grande  che  mi  aveva  tratto  fuor  di  me,  non  mi puote  ancora  tornare  alla  fantasia:  e  così guardato da ognuno, e accennato da ognuno, pieno  di  sdegno,  ne  ritornammo  a  casa.
E avendo poscia con assai prestezza trangugiato quella  poca  cena  di  Petronio,  impetrata  agevolmente licenzia da lui, me n'andai a dormire. E stando sul letto a giacere, mi andava rivolgendo per la fantasia i passati travagli; per infino a tanto che Lucia, avendo messa a dormire la padrona, da me se ne venne; ma molto dissimile  a quella ch'ella soleva,  non colla faccia allegra, non col parlar piacevole, ma col viso arcigno, colla fronte piena di crespe, timida e sospettosa  finalmente mi  disse:
Io stessa, lo confesso d'accordo, io stessa sono stata la cagione della tua tribulazione.

E trattosi di seno un cintol di cuoio, e porgendomelo seguitò:
Prendi, che io te ne prego, prendi la vendetta  di  me  perfida  femmina,  avvegnachè maggior supplizio merita il mio peccato:  fammelo  adunque  sentire:  ma  non  creder  però che  io  ti  abbia  procacciato  volontariamente questa miseria: non piaccia a Dio che per mia cagione  tu patisca un minimo travaglio; e  se alcuna  rovina  pende  sopra  del  capo  tuo,  rimuovasi da te, e venga sopra di me; ristorisi col sangue mio ogni tuo danno: ma quello che io fui forzata fare in altrui, per mia trista sciagura è ritornato in tua vergogna.

Allora io, che per altro era naturalmente curioso d'intendere ogni cosa, desiderando con motteggi di sapere come  il  fatto  fusse  passato,  le  dissi:
Questo cintolo crudelissimo di tutti altri e troppo ardito,  il  quale  tu  mi  hai  arrecato,  perciocchè egli ti flagelli, tagliandolo in mille pezzi, prima lo  farò  in  niente  tornare,  che  egli  pur  tocchi non  che  batta  la tua  delicata  e  bianca  pelle. Stiesi adunque da canto, e tu in quello scambio  mi  racconterai,  che  cosa  sia  stata  quella che da te ordinata in altrui rovina, si sia convertita  in  nostro  oltraggio.  Io  ti  giuro  per  lo tuo bellissimo capo, che io non potrei mai credere  ad  alcuno,  nè  eziandio  a  te  medesima, benchè  tu  me  lo  affermassi  con  giuramento, che tu avessi pensato mai cosa del mondo per farmi villania: e veramente che lo incerto accidente  e contrario al  primo  instituto non  può far degne di colpa le sane cogitazioni.

 


E colla fine  di  questo  parlare  io  mi  beeva  gli  occhi della mia Lucia bagnati e tremuli, e già per la soverchia  libidine  tutti  di  fuoco.  Perchè  ella, mezza racconsolata, anzi già divenuta allegra, disse:
Abbi,  ti  priego,  tanta  pazienzia,  ch'io serri la porta della camera, acciocchè, se per la soverchia licenzia del parlare fussi udita, io non commettessi qualche grande scandolo.
E detto  questo,  messa  la  nottola  nell'uscio,  e puntellatolo molto bene, da me se ne ritornò: e gittatomi ambe le mani al collo, con bassa e rimessa voce mi disse:
Io ho paura, io tremo a discoprire gli ascosi misteri, io mi raccapriccio a rivelare i profondi segreti della mia padrona; ma  i'  piglierei  fidanza  di  te  e  della  dottrina tua,  il  quale  oltre  il  valore  de'  tuoi  maggiori, dopo il grande ingegno, avendo qualche parte di  sacerdozio,  certamente  hai  conosciuto  la fede del santo silenzio: tutto quello, adunque, che io commetterò negl'intimi precordi del tuo religioso petto, io ti prego che sempre rinchiuso ritenga, e ristori colla tenacità del tuo tacere la semplicità del mio riferire;  imperciocchè la forza d'amore, colla quale io ti sono insolubilmente  allacciata,  costrigne  me,  che  sopra tutte l'altre donne la conosco, a farti ogni cosa palese. 
Già  saprai  tutto  lo  stato  di  nostra casa,  già  intenderai  i  segreti  miracoli  della  mia padrona, alla quale obbedisce l'inferno, si conturbano le stelle, sono costretti gli spiriti, servono gli elementi; nè mai fa maggior prova con  questa  sua  arte,  se  non  allora  quando amorosamente  risguarda  qualche  leggiadro giovanetto:  la  qual  cosa  le  suole  intervenire assai  sovente;  ed  al  presente  ella  arde  d'un giovane,  il  quale  è  sommamente  bello,  ed esercita in lui tutti gli strumenti, tutte le macchine. Io udi' iersera, io lo udi' con queste mie orecchie,  che  se  il  sole  non  affrettava  il  suo corso,  e  non  dava  con  prestezza  luogo  alla notte,  tempo capace  alla celebrazion de' suoi incanti,  ella  il  coprirebbe  d'una  caliginosa nebbia, e vestirebbelo d'una perpetua oscurità.  Ora  avendo  costei  veduto  ieri,  mentre ch'ella tornava  da messa,  questo giovane  sedersi entro a una barbieria, ella mi comandò ch'io ricogliessi alcuni de' suoi capelli, i quali, perchè il barbiere gli avea tondata la zazzera, erano sparsi quivi per terra.
E mentre che io così  di  nascoso  gli  raccoglieva,  il  maestro  se ne accorse, e perciocchè noi siamo infami già per  altro  di  quest'arte,  egli  mi  prese  per  un braccio,  e  dissemi  una  carta  di  villania:
Tu non vuoi restare eh, vituperio del mondo
, diceva,
d'andar ricogliendo le tondature de' capelli de' poveri giovani? Se tu non te ne rimani, io ne porrò richiamo a corte: e aggiugnendo alle parole i fatti, messomi le mani in seno, tutto adirato, ne trasse parecchi che io di già vi aveva nascosti.
Dopo la qual cosa essendo io  già  grandemente  affannata,  ricordandomi infra me del mal costume della mia padrona, la quale, adirandosi per ogni piccola cosa, mi suol  dare  di  molte  battiture,  pensava di  fuggirmi; ma lo amor ch'io ti porto mi costrinse a disgombrare  questo  pensiero:  e  per  non  tornare  a  casa  colle  man  vote,  accortami  d'un che con un paio di forbice tondava certi otri di pelle  di  capra  ben  gonfiati,  perciocchè  quelle tondature  erano  bionde,  e  simili  a'  capelli  di quel  giovane,  io  ne  ricolsi  parecchi,  e  mostrando  che  fussero  di  colui,  gli  portai  alla mia padrona: e così ella in sul farsi sera, anzi che tu arrivassi da casa Laura, tutta conturbata salse sopra d'un certo tavolato ch'è sulla più  alta  parte  della  casa;  il  qual  luogo  ella, per  esser comodo all'arte  sua,  usa massimamente quando vuol fare di segreto qualche incanto: e come prima vi fu arrivata, col suo solito apparecchio ella spiegò la pestifera bottega. 
Quivi  era  d'ogni  ragione  spezierie,  e  piastre di metallo piene di non conosciute lettere; quivi si scorgevano delle naufraghe navi mille rimasugli;  quivi  si  trovavan  de'  sepolti  corpi  infinite membra; di quello il naso, di questo le dita, e di molti appiccati per la gola i carnosi calli; più là era un'ampolla di sangue di morti da omicida coltello, e da un altro canto stava un teschio d'un uomo stato da cruda fiera divorato. 
E  avendo  dette  molte  parole,  sopra tutte quelle cose vi spruzzò su acqua di fontana, latte di vacca, mele di monti, eziandio della cervogia; e avviluppando que' capelli insieme con molti odori, gli gittò ad abbruciare: allora allora per la podestà di quell'arte, e per una  vecchia  violenza  di  demoni  costretti  da lei, quegli otri, de' quali fummavano gli peli, si empieron  di  spirito,  e  andarono;  e  dove  gli  traeva il puzzo delle loro spoglie, là oltre forzatamente  se  ne  vennero;  e  in  cambio  di  quel giovane, pieni di desiderio d'entrar dentro, facevano quel rovinìo dintorno alla porta; allora quando tu, altetto un po' dianzi, e ingannato dall'oscurità della notte tenebrosa, tratto fuori il pugnale animosamente, in guisa dello stolto Aiace, non come egli già in un branco di pecore  incrudelisti,  ma  assai  più  valorosamente distendesti per terra tre otri di capra; acciocchè io ti potessi senza che tu fussi macchiato di sangue, posciachè tu avevi ammazzato i nimici, abbracciar non come omicida, ma come otricida.

Sentendomi  io  adunque  beffeggiare dal piacevol  parlare  della mia Lucia, le dissi:
Orsù,  io  posso  adunque  annoverare  questa prima  boria  delle  mie  virtù  a  comparazione d'una  delle  dodici  di  Ercole,  o  vuoi  quella  di Gerione che aveva tre corpi, o quella di Cerbero che si trovava tre capi, avendo ammazzati tre come lui; ma come io volentieri ti rimetto quella  ingiuria  per  la  quale  tu  mi  hai  fatto stare in tanta angoscia, dammi quello ch'io vo cercando  con  grandissimo  desiderio:  mostrami la tua padrona, quando ella fa una di queste maraviglie: io ho una voglia ch'i'  mi stempero, di vedere una volta cogli occhi miei un fatto cotale. Benchè io penso oggimai, che nè anche  tu  ne  sia  ignorante:  io  so  questo,  che certamente  lo  provo,  che  essendo  per  altro poco  vago  de'  matronali  abbracciamenti,  tu m'hai  con  cotesti  tuoi  occhiolini  sfavillanti, con  cotesti  capelli  risplendenti,  e  con  quella ridente bocca, con quelli amorevoli basciozzi, con  quelle  crude  e  odorose  mammelle,  fattomiti  in  modo  suggetto  e  obbligato,  ch'io  ti sono schiavo, e volentieri; e dimenticatomi oggimai della mia casa, non mi curo più o pur penso  di  ritornarvi;  nè  è  cosa alcuna,  che  io anteponessi  a  questa  notte.


Come  vorrei,
  rispos'ella a questo, il mio Agnolo, poter saziare la voglia tua! ma per gli ruvidi costumi altrui, avendo ella l'animo sempre pieno di sollecitudine e di paura, è costumata, ogni volta ch'ella  mette  in  opera  questi  suoi  segreti,  fuggir sempre il cospetto delle brigate: ma io posporrò il mio pericolo alla tua richiesta, e osservata  la  opportunità  del  tempo,  vedrò  con  ogni diligenza di saziarti; purchè, come io ti pregai nel principio, tu sia contento non ne far parola.

E così garrendo l'un coll'altro, una mutua voglia ne  fe  partecipi  con ogni  mio vantaggio delle dolcezze di Venere: ed entrato poscia ne' miei  occhi,  stracchi  già per  lo  soverchio vegghiare, un dolce sonno, mi dormii fino che la notte  rendesse  al  giorno  le  pompe  sue.
E  in quella guisa con assai mio sollazzo passarono alcune poche notti;  sino che un dì, fra gli altri,  la  Lucia  tutta  affannata  e  timorosa  mi venne dicendo, che la padrona, non profittando dell'amor suo con altro modo che con queste  sue  arti,  si  voleva  la  seguente  notte  trasmutare in uno uccello, e in quella guisa volarsene  in  grembo  al  suo  desiderato;  per  la qual cosa io mi mettessi a ordine se bramava saziare il mio appetito.
E venuta ella, fra le tre e le quattro ore, io fui con cheti passi condotto  vicino  a  quel  terrazzo  di  legname  ch'io  vi dissi  di  sopra:  e  giunto che  io fui  lassù,  ella mi fece vedere per una certa fessura dell'uscio tutto il convenente. La prima cosa, ella si trase  tutte  le  vesti,  e  aperta  una  cassetta,  ne cavò fuori parecchi bossoletti; dell'un de' quali levatone il coperchio, e trattone certa unzione, posciachè  se  la  fu  rimenata  un  pezzo  per  le palme, si unse dalla cima del capo insino alle punte de' piedi, e avendo parlato un pezzo di segreto  colla  lucerna,  si  scosse  così  un  pochetto:  dalla  quale  a  poco  a poco  si  videro spuntar prima certe piume, poi nascer le penne;  il  naso  divenne  torcendosi  un  becco,  le unghie  appuntandosi  si  aoncinarono;  finalmente ella divenne un assiuolo:  e mandando fuori uno di que' suo' urli maninconosi, facendo prova prima del fatto suo, a poco a poco si alzava da terra; e poco poi levatasi in aria, si mise a volo per lo cielo.
Ma a me, non incantato  da  parole  alcune,  ma  rimasto  immobile per  così  fatta  maraviglia,  pareva  esser  ogni altra cosa che Agnolo, e fuor di me attonito e balordo  vegghiando  sognava;  perchè  stropicciatomi più volte gli occhi, guardava pure con diligenza se io dormiva: pur finalmente ritornato ne' sensi, presa la mano di Lucia, e accostatamela  agli  occhi,  dissi:
D
eh sia  contenta, che io te ne prego, mentre  che ne è concessa l'occasione,  ch'io  fruisca  un  singolar  frutto della tua affezione, e fammi parte d'un poco di  quella stessa unzione: io te lo chieggo per coteste  tue  mammelle,  la  mia  dolcezza;  e  con questo  irremunerabil  beneficio  obbligati  in perpetuo questo schiavo, e fa di grazia, che io possa  colle  piume  fruir  teco,  come  fe  Giove con Leda, gli amorosi desiderj.


Ah così mi tradisci,
diss'ella, il mio amante, e fa' mi da me stessa  colla  mia  asce  percuotere  nelle  mie gambe?  Dunque  vuoi  ch'io  conservi  il  mio amore per le meretrici di Bologna? E dove ne andrei  ricercando,  posciachè  egli  fusse  divenuto uccello?  Quando lo rivedrei io?

Allora io le  risposi:
Rimuova  Dio  così  gran  fallo;  e  sia certa,  ancorch'io  avessi  le  penne  aquiline,  e potessi alzarmi per tutto il cielo, nunzio fidelissimo  e  lieto  provvisionato  di  Giove,  ch'io, posto  giù  la  dignità  delle  penne,  non  me  ne volassi  al  mio  dolce  nido.  Io  ti  giuro  per  lo soave nodo di questi tuoi capelli, col quale tu mi hai allacciata l'anima, che io non vorrò mai altri  che  la  mia  Lucia;  anzi  ho  questo  sopra tutti gli altri pensieri, che come io fussi vestito di quelle  penne,  di star lontan dalle  case  un trar d'arco almeno. Oh come bello e come festevole amante si goderebbono le matrone, godendosi uno assiuolo! e, che è peggio, quando un  di  cotesti  uccellacci  entra  in  qualsivoglia casa, or non lo vediamo noi prendere con ogni  sollecitudine,  e  appiccare  alle  porte,  e  fargli pagar quel danno, che cogl'importuni loro voli e'  minacciano  altrui,  colla  morte  loro?  Ma quello di ch'io mi era presso che dimenticato di domandarti, con che parole, o in qual modo trattomi  le  penne  ritornerò  io  al  mio  essere?

Sta  di  buon  animo
,  rispose  ella,  che  tutto quello  che  fa  mestiero  intorno  a  ciò,  io  il  so troppo bene; perciocchè la mia padrona mi ha mostrato tutte  le  vie, le  quali  possono far  gli uomini  di  nuovo  ritornare  alle  lor  forme:  nè creder già ch'ella abbia fatto questo per amore che ella mi porti, ma a cagione che ritornando essa, io le possa ministrar le cose che le bisognano. Guarda adunque con che picciola, con che frivola materia si procuri così gran cosa. Prendesi un poco d'aneto, e messo con parecchi  foglie  d'alloro  nell'acqua,  e  dato  bere,  o fattone una lavanda, ne rende la forma di prima.

 


E posciach'ella ebbe queste cose più volte affermato,  entratasene  con  gran  cura  di  non esser  veduta  in  quella  stanza,  e tratto  fuori un bossolo di quell'arca, me lo diede; il quale subito che ebbi, avendo io imprima abbracciato e baciato, il pregai che mi fosse favorevole al volare.
Quivi spogliatomi subitamente tutte le  vesti,  vi  misi  le  mani  assai  avidamente,  e cacciato molto bene di quell'unto, me ne stropicciai tutte le membra, e poscia battendo or questo  e  or  quel  braccio,  per  la  gran  brama che io avea di volare, parendomi tuttavia che fusser divenute due ali; ma niuna piuma appariva,  niuna  penna  non  ispuntava:  anzi  i miei peli s'ingrossavano in setole, e la mia pelle s'indurava in cuoio; le dita perdendo il lor numero, s'inceppavano in una unghia sola; e là oltre, dove terminava il fil delle rene, calava una pannocchiuta coda: la mia faccia divenne bruttissima e lunga, il naso  si  aperse, le labbra cresciute  in  carne  mi  penzolavano,  e l'orecchie  rivestite  di  orridi  peli,  appuntatesi, crebbero  sconciamente.
Non  potendo  più  la Lucia mi vedeva crescere tutte le membra: le quali per povertà di salute mentre ch'io andava considerando, io mi accorsi d'esser convertito non in uno uccello, ma in un bello asino: della  qual  cosa  mi  voleva  rammaricare  con Lucia, ma io era privato e della forma e della voce  dell'uomo;  e  quello  che  io  solo  poteva, spinto solo innanzi l'ultima parte delle labbra, e con umidi occhi così per lo traverso riguardandola,  tacitamente  me  le  raccomandava.
Ma ella, come più tosto mi vide in quella guisa, percossasi la fronte con importuna mano, gridava:
misera alla vita mia, io sono disfatta: la paura e la fretta insieme m'hanno ingannato,  e  la  simiglianza  de'  bossoli:  ma  manco male  è,  posciachè egli con agevol medicina si potrà medicare; imperciocchè come tu n'avrai più tosto morsecchiato parecchie  rose,  tu lascerai d'esser asino, e ritornerai nel mio bello Agnolo: e Dio volesse che così come io soglio, io ne  avessi colto iersera qualche ghirlandetta,  che  non  patiresti  disagio  pur  d'una  sola notte:  ma come  prima egli  apparirà il  dì,  sta di buona voglia, che io preparerò la medicina.

Così  parlava  ella  piangendo;  e  io,  ancorachè fussi  asino  interamente,  e  in cambio  d'uomo una  bestia,  nientedimanco  riteneva  il  senso umano;  e  però  pensava  fra  me,  se  io  doveva co' calci e co' morsi ammazzare quella tristissima  femmina:  dal  qual  pensiero  temerario, più sano consiglio mi rivocò, e considerai che castigandola  col  darle  morte,  io  mi  privava d'ogni aiuto e d'ogni consiglio.
Perchè, abbassando il capo e scotendo, e rugumandomi così fra me la temporal contumelia, e servendo al mio duro accidente, m'inviai verso la stalla del mio cavallo, dove era eziandio un altro asino, il  quale  era  di  Petronio  ospite  per  l'addietro: ed estimava che se alcun tacito e natural sagramento era fra i muti animali, che quel mio cavallo,  riconoscendomi,  mosso  a  misericordia mi dovesse dare spazio nel più netto e miglior luogo di quella stalla.
Ma, o Rettor dell'universo,  e  segreta  divinità  della  Fede! quel gentil  mio  palafreno,  accordato  coll'asino  a' miei danni, temendo che io non togliessi lor la biada,  appena  mi  vidono  approssimare  alla mangiatoia, che rizzando le orecchie, che prima erano languide e penzoloni, mi diedero parecchie  coppie di calci delle cattive, e cacciaronmi un pezzo lontano da quell'orzo, il quale aveva dato io colle mie mani a quel mio valente  corsiere la sera dinanzi.
Laonde, mal condotto,  tutto solo me  ne  andai  là in un canto della stalla: e mentre che tra me stesso io ripensava la insolenzia de' miei compagni, e deliberava che venuto il giorno, ritornato al mio proprio essere, di vendicarmene sopra del mio cavallo,  e'  mi  venne  veduto  attaccato  a  una colonna, che  essendo nel mezzo sosteneva la trave  del  palco,  un  tabernacoletto,  entro  al quale eran dipinte in carta non so che figure, il quale era stato di fresco tutto di rose inghirlandato.
Perchè io, conosciuto il buono aiuto, tutto pieno di speranza mi rizzai co' piedi dinanzi con quella più gagliardia che io poteva, e allungato il collo, e stese le labbra in fuori, cercava di aggiugnere qualcuna di quelle rose: e come volle la mia mala sorte, mentre che io sì mi spenzolava, un mio famiglio, al quale io aveva dato la cura del mio cavallo, come più tosto  mi  vide,  tutto  sdegnato  si  rizzò  su,  dicendo:
E insino a quando sosterrem noi questo animalaccio, molesto poco fa alla biada di quest'altre  bestie, e ora alle  figure  de' Santi? Deh perchè non azzopp'io e non carico di bastonate  oramai  questo  sacrilego?

E  cercando di qualche cosa da mazzicarmi, e' percosse in un fascio di legne; e trattone un pezzo il più grosso e nocchieruto che vi fusse, egli non restò mai di battermi, insintanto che impaurito per un gran fracasso del vicinato, che gridava al ladro al ladro, egli si fuggì.
Nè vi andò guari, che un gran viluppo di ladri, aperte le porte di casa per forza, entraron dentro, e la misero a soqquadro tutta; e discacciata per forza una masnada  d'armati,  che  del  paese  ivi  vicino eran  venuti  per  soccorso  di  Petronio,  e  tutti con fiaccole e con armi facevano giorno della notte (imperocchè il fuoco e le spade risplendevano  non  altrimenti  che  si  facci  il  sole quando e' si leva) nè se gli lasciando accostare, messasi colle scuri intorno a una guardaroba,  che  nel  mezzo  di  casa  era,  ripiena  de' miglioramenti  di  Petronio,  la quale  era  con fortissimi  serrami  chiavata,  fer  tanto  che  la spezzarono, ed entrativi dentro per forza, misero  a  bottino  ciò  che  v'era;  e  fatto  fardello, spacciatamente se lo divisero infra di loro: e il numero delle robe era tanto, che avevan carestia di chi le portasse.
Sicchè venutisene alla stalla, ei ne trassero noi due asini e 'l mio cavallo, e con quante maggior some poterono ci caricarono:  e  avendo  vota  la  casa,  e  lasciato in paese un di loro, che spiasse quello che si dicesse di questo loro assassinamento, e riferisselo,  con  buone  bastonate  avviaronci,  e  ci menaron sempre fuor di strada e per alpestri monti più ratto che di galoppo.
Ed io che già per lo gran peso di quella soma, e per la erta repente di quelle montagne, e per la lunga via non era punto differente  da un che  è  morto, passando da una villetta,  dove appunto il dì,  per esservi il mercato, era una gran gente, e' mi venne voglia chiamare aiuto da un di loro: e volendo sforzare  il natio  parlare  asinino, e dire olà; gridai oh solo, e perfettamente e forte; ma lo avanzo io non lo potetti profferire: perchè  avendo  i  ladroni  per  tema  di  essere scoperti  avuto  per  male  il  mio  sconcio  ragghiare, mi battêr sì forte la pelle da ogni canto, ch'ella non sarebbe eziandio stata buona a fare un vaglio.

E passando noi poscia da certe belle  case  e  grandi,  e'  mi  venne  veduto  uno orto assai ameno, entro al quale, oltre alle altre erbe odorifere, vi si vedevano molte verginelle rose, tutte piene di rugiada; alle quali io,  volonteroso  e  allegro  per  la  speranza  della propinqua  salute,  subito  mi  vi  accostai  vicin vicino;  e  quando  vi  aveva quasi  che  sopra le labbra, e' mi sopraggiunse un miglior pensiero,  parendomi  che  se  io,  partendomi  allora dall'asino, ritornava di nuovo ad essere uomo, di portar manifesto pericolo di non trovar fra le mani di questi ladroni una evidente rovina, o per suspizione dall'arte magica, o per paura ch'io non discoprissi i furti loro: sicchè per allora, e necessariamente per certo, io mi astenni dalle rose; e sopportandomi la presente fortuna,  in  forme  d'asino  mi  andava  rodendo  il durissimo fieno.

 

 

Apuleius

II secolo
 

Volgarizzato da Agnolo Firenzuola

Milano
G. Daelli - 1863

 

 

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