Cola,
cognominato Pesce, di Messina, ma secondo alcuni oriundo di Catania, uomo
plebeo e privo di dottrina, era veramente degno di memoria e chiaro, del
quale molti autori fanno menzione.
Visse
costui nel tempo del re Ferrando di Napoli, attorno agli anni di Cristo
1460 (abbenché altri dicano esser vissuto molto tempo prima), conforme ho
io da alcuni inteso, e particolarmente dal mio maestro prete Oliviero
Palmeri da Rosarno, persona religiosa e letteratissima, il quale diceva,
che circa l'anno 1525, quando io sotto la sua disciplina dava opera alla
grammatica, aveva più volte ragionato con molte persone, che lo conobbero
e ragionarono con detto Cola, del quale raccontavano cose meravigliose,
cioè, che Cola, essendo figliuolo d'una poveretta di bassa schiatta,
fuggendo la fatica, come li putti più delle volte fanno, tutto il tempo
consumava in andar nuotando nelle profondissime acque di maniera tale,
che, spinto quasi dall'abito e dalla natura, che gliel'inclinava, divenne
quasi dell'istessa natura dei pesci, e la maggior arte del tempo nel mare
dimorava; né vi era luogo attorno, e nel porto di Messina, ed eziandio in
parte del Faro, quale egli non avesse ricercato, d'onde n'acquistò di
esser cognominato Cola Pesce.
Perloché
solevano i cittadini li giorni delle feste a gara uscire con le barche per
il porto solamente per vedere lui e le sue meraviglie che alle volte un
giorno intero sotto le acque del profondissimo mare se ne stava.
Ora avvenne che il Ferrando (come la fama predica), ritrovandosi a
Messina, uscì con una galera per vederlo; e ritrovatolo sopra l'arena
ignudo a giacersi, chiamatolo a sé, gli fece molte carezze, e gittò una
gioia ricchissima legata entro un anello, nel mare, ed ordinogli che la
raccogliesse: onde Cola si buttò giù, e dimoratovi molto poco spazio,
gliela riportò.
Il re allora maravigliatosi, la gittò in un altro luogo più profondo.
Laonde Cola per servigio e sollazzo del re, che ne prendeva sommo diletto,
vi andò di nuovo e gliela riportò un'altra fiata con molta festa.
Ora
il re, invaghitosi di sì notabili gesti, facendo spingere la galera più
in alto mare, gettò la gioia la terza volta, ordinando a Cola, che fosse
gito per essa.
Allora Cola rispose, che Sua Altezza con quel comandamento gli levava la
vita; perciocché in quell'istesso luogo, dove aveva buttato la gioia,
regnava un pesce polpo di sì stupenda e smisurata grandezza, che alla
prima veduta l'avrebbe divorato; perciocché con gran fatica un'altra
volta n'era scappato salvo.
Ma il re, o che fosse importuno per natura, o che lo spingesse l'avarizia
di non perdere l'anello, overo che l'ultimo giorno di Cola venuto fosse,
persuadendosi eziandio che Cola ciò dicesse per scusa, volle che tuttavia
vi andasse.
Il quale andatovi, mai più non fu veduto, non ostante che molti alla
guardia per ordine del re molti giorni rimasti fossero in quella riviera,
sapendosi certo che Cola alle volte soleva stanziarsi sotto le acque due o
tre giorni, pascendosi di quei cibi come fanno i pesci, e che aveva più
volte ricercate tutte le voragini e le caverne di Cariddi.
E
questo fu l'ultimo suo fine.
G
Filoteo Degli Omodei
Palermo 1556 ~
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