Mundus subterraneus
in XII libros digestus
Liber secundus Technicus
De admirando Globi Terreni opificio
Caput 15
De Inaequalitate fundi Maris:
cui jungitur  Historia memorabilis  supradicta confirmans
Libera traduzione

Pescecola

 

 

Aggiungo a questo punto una storia accaduta al tempo di Federico il Grande in Sicilia, con la quale si conferma quanto si è detto finora sulla diversità del fondo del mare.
C'era in quel tempo in Sicilia un certo Urinatore (palombaro), molto noto come Nicolaus, il quale, per la sua abilità nel nuotare, era popolarmente chiamato Pescecola, cioè
Nicolaus il pesce.
Abituato al mare sin da bambino, ed eccellendo nell'abilità di nuotare, si dedicò quasi esclusivamente alla raccolta di ostriche e coralli, e simili, sul fondo del mare, che poi vendeva per vivere. Ma fu tanto influenzato dal commercio marittimo, che nei primi tempi rimase in mare per circa quattro o cinque giorni, sostenendo la sua vita con pesce crudo; andava e tornava qua e là a nuoto in Calabria, facendo da corriere. Si narra che più di una volta sia entrato a nuoto nelle Isole Lipari.  Una volta venne trovato da una  triremi in mezzo a un mare ribollente e tempestoso nel golfo di Calabria. I marinai, a prima vista pensarono che si trattasse di un mostro marino, ma venne riconosciuto da alcuni e fu fatto salire a bordo.
Gli venne chiesto quale fosse il motivo per stare in  un mare tanto agitato.
Rispose che avrebbe portato, in una città, delle lettere chiuse in borse di cuoio e dotate di chiusure ben fatte, in modo che non fossero danneggiate dall'umidità ambientale.
Dopo una lunga conversazione e aver ben mangiato, esortò i marinai ad essere forti  e si tuffò in mare.

Raccontano che questo Nicolaus avesse mutato, per la sua continua frequentazione delle acque,  la sua natura e il suo temperamento, tanto che era diventato più simile ad un anfibio che ad un uomo, essendogli cresciuta, tra le dita dei piedi, una membrana cartilaginea, simile a quella delle zampe dell'oca, per aiutarlo nel nuoto e che suoi i polmoni fossero divenuti così capaci da contenere aria sufficiente per respirare per l'intera giornata.
Quando il re di Sicilia soggiornò a Messina per un certo periodo, avendo sentito dire qua e là cose incredibili su questo Urinatore, spinto dalla curiosità e dal desiderio del modo di vivere di quest'uomo,  volle incontrarlo, cosa che gli riuscì dopo averlo cercato per terra e per mare.
Il re aveva sentito racconti di cose meravigliose sulla natura della vicina Cariddi, e quindi, cogliendo l'occasione così opportuna, si spinse ad indagare la costituzione interna di Cariddi ricorrendo a questo Nicola, certo che non ci fosse migliore soluzione.

Quindi ordinò a Nicolaus di tuffarsi in fondo al mare; ma Nicola si dimostrò titubante al comando del Re, a causa dei grandi rischi che sapeva di dover affrontare. Il Re, per incoraggiare Nicola all'esecuzione dell'opera, ordinò che fosse gettata in quel luogo una coppa d'oro, promettendo che sarebbe di proprietà di chi l'avesse recuperata.

Nicolaus, attratto dall'oro, e accettata la condizione, si gettò subito in fondo ai gorghi, dove rimase per circa un quarto d'ora, lasciando il Re e gli astanti ad aspettare con grande curiosità.
Finalmente Nicola riemerse dal fondo con grande vigoria e agitando, con mano trionfante, la coppa recuperata. Nicola, indebolito per lo sforzo, fu portato nel palazzo, gli fu dato un buon pasto e, dopo essersi concesso un po' di sonno, si presentò al Re. Interrogato su tutto ciò che aveva trovato sul fondo marino,  si rivolse così al Re e disse:
- Sappi, Re, che ci sono quattro cose, che non menzionerò, che rendono questo luogo impenetrabile, troppo spaventoso, per gli Urinatori come me, ma anche per i pesci stessi:
Primo: l'impeto delle correnti provenienti dalle profonde voragini del mare, per cui un uomo, per quanto dotato della più grande forza e potenza, difficilmente può resistere, che nemmeno io sono stato in grado di sfondare, donde ho dovuto scendere negli abissi per altri anfrattii.
Secondo:  una moltitudine di rocce incontrate per strada, nel fondo dei quali non c'è manifestazione di vita  e  sono stato esposto al pericolo di ferite.
Terzo: gli Euripi o ribollio delle acque sotterranee,  che erompevano con impeto possente dalle visceri delle rocce, e il cui flusso contrario crea vortici così formidabili, che possono anche far morire un uomo in preda solo della paura
Quarto: L'ingente aggregazione di polpi, Il quarto che attaccati ai fianchi delle rocce protendevano in lungo e in largo i loro tentacoli, mi incutevano un estremo orrore; uno dei quali, se consideri la polpa del corpo, vidi più grande della grandezza d'un uomo, se non avessero ceduto quei tentacoli lunghi dieci piedi, con i quali, se mi avessero stretto, con il solo loro abbraccio mi avrebbero messo in pericolo di morte; stazionavano e si nascondevano in vicinanza delle rocce pesci di immane mostruosità, che si chiamano Cani, comunemente conosciuti come Pescecani, i quali hanno bocche munite di tre file di denti,  non sono dissimili in grandezza ai Delfini e a causa dei grandi denti e dalla ferocia nessuno può salvarsi; se vengono catturati, devi stare al sicuro; infatti nessun coltellaccio, nessuna scimitarra, per quanto possa essere affilata, può recagli danno, poiché questi mostri marini con i denti acuminati sono in grado  di tagliare qualunque cosa.

Dopo aver esposto con ordine queste cose, gli fu chiesto:
Come hai potuto recuperare la coppa così in fretta?
Rispose:
- La coppa, a causa del veemente flusso e reflusso dell'acqua, scese quasi perpendicolarmente, ma ben presto fu deviata dall'impeto delle correnti, come pure io stesso, e finì all'interno di una roccia. Se la coppa fosse caduta fino in fondo non avrei potuto recuperarla, in quanto il ribollire e l'impeto delle correnti mi avrebbero tolto la speranza di trovarla.

Alla domanda di come fosse il fondo marino dello Stretto, rispose:
- Il tutto è intricato di innumerevoli rocce, dalle cui basi  sotterranee il flusso e il riflusso delle correnti, in tempi differenti, provocano perturbazioni in superficie che mettono in pericolo le navi,  come ben sanno i marinai.
 

Gli fu inoltre chiesto se la sua forza d'animo fosse sufficiente per esplorare ancora una volta i fondali di questo Cariddi.
Rispose che non se la sentiva.
Tuttavia, cedette allettato da una borsa piena di monete d'oro, con attaccata una ciotola di grande valore, gettata nel mare di Cariddi; e attratto dal culto dell'oro, si tuffò una seconda volta nel mare gorgogliante, ma non riapparve mai più, forse trascinato dall'attacco degli Euripi nei labirinti delle rocce, o dai pesci, come aveva temuto, divenne preda.

Questa storia, come fu descritta negli Atti Reali comunicatami dal Segretario degli Archivi, é stata aggiunta a questa località, in modo che le turbolenti correnti  marine possano essere chiaramente esposti.

 

 

A. KtRCHER da Geyson

 


 


Traduzione riassuntiva di Giusppe Pitré

Pescecola

Ci fu un nuotatore famosissimo, di nome Nicola, che chiamano volgarmente, per l’abilità nel nuoto Nicola pesce, cioè Pescecola.
Questi, abituato al mare fin da bambino ed eccellendo soprattutto per l’abilità natatoria, era destinato quasi unicamente a raccogliere sul fondo del mare ostriche e coralli e simili e con la loro vendita tirava avanti.
Questo commercio marino lo impegnava così tanto che, nei primi tempi rimaneva quattro o cinque giorni in mare, nutrendosi di pesci crudi, nuotando, andava e veniva dalla Calabria, adempiendo al compito di postino: si dice che, a nuoto, fosse giunto, e non una volta sola, alle isole Lipari.

Qualche volta fu trovato dalle navi, proveniente dalla Calabria. In mezzo a quel braccio di mare agitato e in tempesta, e i marinai lo credettero, a prima vista, un mostro marino, ma riconosciuto da alcuni, fu accolto sulla nave.
Gli fu chiesto dove andasse in un mare agitato da tante tempeste. Rispose che lui portava delle lettere a non so quale città, dentro ad una borsa di cuoio, munita magistralmente da una fermatura, affinché non fossero rovinate dall’umidità dell’ambiente; poi, dopo una lunga chiacchierata, dopo aver salutato i marinai, si affidò di nuovo al mare.

Narrano inoltre che questo Nicola, a causa della continua coabitazione con le acque, avesse mutato in modo tale la natura e il temperamento da essere più simile ad un anfibio che ad un uomo, essendogli cresciuta fra le dita una cartilagine simile a quella delle zampe dell’oca, necessaria per nuotare e che il polmone si fosse modificato in modo tale da contenere l’aria sufficiente per respirare per un giorno intero.

 

G Piitrè
Studi di leggende popolari in Sicilia
 e nuova raccolta di leggende siciliane
1904
 


Traduzione riassuntiva di Benedetto Croce

Pescecola

 

Vi fu in Sicilia ai tempi dell' imperador Federico un famosissimo palombaro (urinator), che per la gran perizia nel nuoto dal volgo era chiamato Pesce cola, cioè Niccolò Pesce.
Abituato da fanciullo al mare, e essendo tra i più eccellenti  nel nuoto, sosteneva la vita col raccogliere ostriche e coralli e simili cose in fondo al mare. Restava nelle acque per questo suo  commercio quattro o cinque giorni, nutrendosi di pesci crudi. Andava e tornava di Sicilia in Calabria come portalettere.
Spesso penetrò, nuotando, tra le isole Lipari. Fu varie volte scontrato dai naviganti nel mezzo del mare procelloso, simile a un mostro, all'aspetto. Ricevuto sulla nave, e domandatogli dove andasse, mostrò le lettere, che portava in una borsa ad armacollo, impenetrabile all'acqua. Dopo aver ben mangiato, salutò i naviganti, e si  gittò di nuovo nel mare. Dicono che diventasse quasi un anfibio: gli nacque tra le dita una cartilagine, come l'hanno i paperi, adatta al nuoto; e il polmone si conformò in modo che si riempiva di tant' aria da bastargli tutta una giornata. Federico, venuto a Messina, volle vederlo, e fece l'esperimento della coppa d'oro. Restò nel mare circa tre quarti d'ora, e poi a un tratto lo si vide comparire che agitava con una mano la coppa, che aveva ritrovata. Fu ricevuto nel palazzo reale, e dopo essersi riposato, e dopo aver  mangiato, lauto prandio refocillatus, condotto alla presenza del Re, gli tenne questo discorso. (Ma il discorso è troppo lungo, e quantunque scritto in latino non mediocre, io non posso in nessun modo riferirlo, e debbo contentarmi di accennarlo appena):
- O re clementissimo, gli disse, clementissime Rex, se io avessi saputo dapprima quel che avrei visto, per la metà del tuo imperio non sarei disceso laggiù ... Sappi che ci son quattro cose lì impenetrabili, non dico io ai palombari come me, ma agli stessi pesci. Primo, l' ìmpeto di un fiume, che violentemente sorge dalle profonde voragini del mare... Secondo, gran moltitudine di. scogli, che intricano la via... Terzo, il flusso e riflusso delle acque dell'interno del mare...  Quarto, gran quantità d'immensi polipi, che attaccati agli scogli, coi lunghi tentacoli stesi, mi faceano orrore; e ce n'era, a guardar solo la polpa del corpo, corporis pulpam, qualcuno maggiore d'un uomo. Se mi avessero stretto, guai a me....

Interrogato poi come avesse trovato la coppa, rispose che la coppa, pel veemente flusso e riflusso, era stata gittata nella cavità d'uno scoglio. Dimandatogli  se sì sentiva l'animo di rinnovar la prova, rispose che no.
Ma Federico gittò nel mare un sacchetto di monete, ed egli, per avidità, acconsentì a cercar di prenderlo, e si mise nel mare, e più non comparve.

 



Benedetto Croce
Il bassorilievo del sedile di porto e la leggenda di Niccolò Pesce
Napoli Nobilissima
Fascicolo V

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Traduzione tedesca


Pesce Cola


 

"Es lebte damals in Sizilien ein sehr berühmter Taucher Nikolaus, den man wegen seiner Gewandtheit im Schwimmen gewöhnlich Pescecola, das heißt ,Nikolaus der Fisch' nannte. Dieser, von Kind auf an das Meer gewöhnt, und vor allem auf Grund seiner Geschicklichkeit im Schwimmen berühmt, war fast nur mit dem Sammeln von Austern und Korallen und Ähnlichem auf dem Grund des Meeres beschäftigt und fristete mit dem Verkauf seiner Beute sein Leben.
Er wurde aber von seinem Handel mit Seegetier si in Anspruch genommen, daß er sich in den ersten Zeiten ungefäähr vier oder fünf Tage lang im Meere aufhielt und nur von rohen Fischen lebte.
Er schwamm immer wieder nach Calabrien und zurück und versah dabei das Amt eines Briefboten. Man sagt sogar, er habe das Gebiet der Liparischen Inseln nicht nur einmal durchschwommen Gelegentlich wurde er von Galeeren mitten in dem brandenden und stürmischen Meeresgolf von Calabrien entdeckt, wobei ihn die Matrosen beim ersten Anblick für ein Meeresungeheuer hielten, dann aber, nachdem er von einigen erkannt worden war, in ihr Schiff aufnahmen.
Auf die Frage, wohin er denn in dem von so heftigen Stürmen aufgewühlten Meere wolle, antwortete er, er bringe Briefe, die er, in einem durch einen kunstreichen Verschluß gesicherten ledernen Beutel, untergebracht hatte, damit sie nicht von dem eindringenden Wasser beschädigt würden, in irgendeine Stadt.
Nach langem Erzählen und einer guten Mahlzeit stürzte er sich schließlich, nachdem er den Matrosen alles Gute gewünscht hatte, wieder ins Meer.
Man erzählt außerdem, der genannte Nicola habe durch den dauernden Aufenthalt im Wasser seine Natur und sein Wesen so verändert, daß er mehr einem Amphibium als einem Menschen ähnlich war: zwischen den Fingern seien ihm Knorpel gewachsen, ähnlich wie bei den Füßen der Gänse, wie sie zum Schwimmen nötig sind, und seine Lunge sei so ausgedehnt worden, daß sie genügend Luft zum Atmen für einen ganzen Tag aufnehmen konnte."

Athanasius Kircher
aus: Heinisch, l. c. Vgl. Charybdis

 

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