Cola Pesce in Grecia

 

 

La prima forma della favola popolare che tanto artisticamente accomodò lo Schiller nella sua ballata Der Taucher si può ritrovare nella mitologia greca.
In una favola attica, nella quale si tratta di una prova imposta a Teseo da Minos, si può incontrare la maggior parte degli elementi di cui si compone la tradizione popolare. Il re di Creta Minos irritato contro Teseo perche questi si opponeva al suo amore verso Peribea, scagliò contro lui molte ingiurie, e tra le altre questa: che egli non è figlio di Nettuno, poiché non potrebbe riportare dal fondo del mare l'anello che portava; e ciò detto gettò l'anello nell'acqua. Teseo però gettandosi egli pure nell'acqua, riportò non solo l' anello, ma anche una corona d' oro, dono d'Anfitrite (2)

Notasi che questa corona d'oro, che fu, secondo un'altra favola, messa da Giove tra le costellazioni, e il dono nuziale dato  alla figlia di Minos, Arianna, che sposò Teseo contro la  volontà d suo padre, e che questa particolarità ci avvicina più alla favola antica che alla tradizione moderna.

Abbiamo pure un'altra forma della favola, quella dell'ormos (= collana monile purcherrium), - di Armonia:
«Quod in fontem projectum hodie cerni dicitur. Quod si quis attrectaverit, dicunt, solem offendi et ternpestatem oriri»
.
Questa forma si trova alquanto mutata in Partenio, il quale riferisce come sue fonti Aristotele, gli scrittori delle novelle Milesie e il poeta Alessandro d'Etolia.  Secondo questa narrazione, in Alicarnasso, moglie di Fobio, che discendeva dalla stirpe reale dei Neleidi, si innamorò del giovine Anteo, che era pure di stirpe reale, e siccome questi non voleva corrispondere al suo amore, finse che erasi guarita dalla sua passione, ma però meditava di sterminare il giovanetto.  
Onde dopo alcun tempo, avendo gettato dentro un pozzo profondo una pernice ammaestrata, pregò Anteo di scendere e riportargliela. Il giovane ubbidì sollecito e scese, ma questa femmina malvagia gli gettò sopra una pietra enorme e lo schiacciò; poi si appiccò.  
Secondo un'altra variante, che è certamente più antica, quella femmina non gettò nel pozzo una pernice, ma bensì una brocca d'oro.

Nessuna tradizione della prima forma, almeno in  quanto a noi è noto, esiste presso all'odierno popolo greco. Una sola tradizione che avvicina più a quella accomodata da Schiller nel Palombaro, si trova in una canzone popolare di Parga.  
Il re dichiara che darà la sua sorella maggiore, o la minore o sua figlia «nata nel giorno di Pasqua» a chiunque potesse passare pel mare. Solo un bel giovane, Armeno, si presentò alla lotta e si gettò nel mare, ma non potè arrivare alla fine, perchè quando giunse alla distanza di dodici miglia sparì. (3)

In un'altra tradizione che somiglia a questa, il luogo del fatto si suppone nell'isolotto e Aretiade presso Cerasonta nel Mar Nero. In essa pure si fa cenno «del figlio di Armeno»  e della figlia del re, ma però cotesta tradizione si avvicina più a quella di Ero e Leandro.
Al contrario numerosissimi sono i canti popolari che si riferiscono alla seconda forma, cioè alla morte dell'eroe che perisce in fondo di un pozzo, ove fu pregato di scendere da una femmina ingannatrice per ritrovare il suo anello che diceva di esserle caduto dentro.

In un canto messenio pabblicato da me nella mia Mitologia Neoellenica (t. I, p. 13 3) «giù ai pozzi di vetro una belva si trasfigurò in una bella giovane che stava vicino a un pozzo e piangeva perché le era caduto dentro l'anello suo nuziale; un figlio di vedova, legato con una catena scese dentro al pozzo e calò  giù fino a 40 miglia;  ma quando giunse alle 44 miglia ebbe sospetto dell' inganno e gridò alla giovane di tirare su la catena, ma la belva risponde:
- Molti altri ho ingannato e ingannai anche te.»


In una variante di Egina si trasfigura in donna:
Una belva da Morea e dalla contrada lontana; e inganna il figlio del Duca.  Alla fine si scopre che è la belva, che vuol mangiarlo.

In un canto cretese, una belva si trasfigura e «nel villaggio del Drago, nel pozzo del Drago» inganna il bel giovane, che sceso in fondo a un pozzo trovò «teste di uomini e trecce di capelli di donne»

In un altro canto (probabilmente corcirese) si raffigura  «la belva del lago» che conduce il figlio della vedova nel sito ove abita, dietro alla montagna vicino a un bel prato, ove è un lago; là dentro è caduto l'anello di diamante, e promette di sposare chiunque glielo riporterà. Il giovane scende la prima  volta e riporta una mano  dì uomo, scende una seconda volta e riporta una testa d'uomo, ma alla terza volta non riapparve più.

In un altro canto della provincia di Lepanto il genio del lago Gauro si trasfigura in una bella giovane e discende per trovare il suo anello nuziale.
«Il figlio della vedova, dopo che si cinse di una catena che misurava 40 giri di lunghezza si è calato già cantando, ma dopo i  40 giri piangendo. Prega allora la giovane di tirare la catena perché lo mangiano i serpi; essa però gli risponde che a bella posta per farlo mangiare i serpi  lo ha messo laggiù»

Un altro canto, ma non però in luogo determinato, in una canzone epirota, dopo aver mangiato tutti i valorosi, riesce ad ingannare il più valoroso di tutti, il figlio della vedova.  Gli dice che il suo anello nuziale è caduto dentro a un pozzo vicino a un fico e che ella sposerà colui che lo avrà ritrovato.

In un altro canto d'ignota provincia greca il figlio della vedova incontra presso alla spiaggia del mare una bionda giovane che piange, perché ha perduto il suo anello nuziale, che le é caduto nell'acqua di  una fontana che scorre dalla radice di un salice arsa dalla folgore, di cui l'acqua porta  l'oblio. L'eroe discende giù e trova serpi incrociati e vipere intrecciate, e nella testa di una vipera vede l'anello che cerca. Grida allora alla giovane di  tirare su la catena; ma il canto null'altro aggiunge.

Somiglia a questo canto un altro peloponnesiaco, in cui la fontana scorre dalla radice di un altro arboscello. Il figlio della vedova scende giù fino a quaranta braccia di fondo e sessantadue di largo.

In un altro canto, pure peloponnesiaco, la rosea o bionda giovane è la nera Lamia del mare che mangia i valorosi. L'acqua di Lete scorre da un salice arso dalla folgore. Il figlio della vedova annunzia che ha trovato l'anello alla testa di una vipera, ma la giovane gli grida che essa è la Lamia del mare.  
Parimenti in un altro canto epirota, il pozzo dentro il quale  è caduto I'anello, si trova presso a un salice. Il giovane trova l'anello nella testa di una vipera e chiana  la giovane per tirarlo sù. Essa gli risponde che non uscirà più di là, perché ella é la Lamia del mare che mangia i valorosi.  Il giovane però le dice egli é il figlio della folgore che farà lampeggiare e arderla. Allora la Lamia  impaurita lo tira su.

Questi sono i  canti popolari  greci  noti a noi, che si allontanano alquanto dalla tradizione del Taucher dello Schiller, ma però avvicinano alla fonte greca. L'anello nuziale del genio o della Lamia sostituisce il monile dell'Armonia e il vaso d'oro della moglie di Fobio.

Alle descrizioni delle fondamenta di Messina che troviamo nelle tradizioni del Cola Pesce, sono analoghe le favole che narra il popolo greco a proposito dei legami del mare. Secondo queste favole, lddio ha legato il mare con tre tappeti. Sin ora sono logorati due dei tre: quando si taglierà anche il terzo, allora la terra sarà sommersa nelle acque.

Simili sono le favole sugli sostegni della Terra: pare che questa sia sostenuta da quattro colonne che i Callicanzari cercano di scrollare lavorando a questo scopo per tutto l'anno. Sino alla vigilia del Natale sono già scrollate le tre delle quattro colonne e dalla quarta non rimane che una parte sottilissima: allora i Callicanzari gridano: «Fuggiamo , per non rimanere schiacciati !»  e salgono sulla Terra per lordare tutte le cose, ma non rimangono che sino al giorno di Epifania, quando ritornano trovano le colonne ristabilite e i Callicanzari sono obbligati di cominciare di nuovo la loro opera di distruzione.

 

 

N. G. POLITIS 
Atene
1893 (4)



2 - PAUSAN. 1, 17, 3.-HYGtN. .Astron., 5:
«itaque cum jam non de puella sed de generi Thesei controversia facta esset utrum  is Neptuni filius esset necne, Minos aureum anulum de digito, sibi detraxisset et in mare projecisse , quem referre jubet Theseum, si vellet se credi Neptuoi filium esse,... Theseus sine ulla precatione aut religione parentis, in mare se projecit: quem confestio delphinum magna multitudo mari produta lenissimis fluctibus af Nereida perduxit: a quibus anulum Minois et a Thetide coronam, quam nuptiis a Venere numeri acccperat retullit... Allii autem a Neptuni uxore accepisse dicunt. Coronam Ariadnae Theseus dono dicitur dedisse»


3 - Per ordine del imperatore, per ordine del re,
un banditore gridò a tutto l'universo:
«- Chi è nuotatore così bravo da poter passare il mare?
Colui che potrà passare il mare io lo farò mio genero
E gli darò a volontà o la mia sorella maggiore o la mia sorella minore
O la mia figlia che è nata il giorno di Pasqua
Che è nata il giorno di Pasqua e splendette tutto il mondo.»
Un figlio di Armeno si presentò bello e valoroso
«- lo son bravo nuotatore e posso andar lontano
Per acquistare come mia compagna colei che è nata il giorno di Pasqua.
Il primo giovine si gettò nel mare, salta sopra alle onde
Giunse fino a dodici miglia, ma più non riapparve.

 
(Raccolta di Canti popolari di Epiro di Aravandino, Atene 1880, n. 478, pp 289-290).

Ecco una variante inedita di questo canto, proveniente da Agrafa di Tessaghòlia e comunicatami dal sig. Professore N. Vracnò:
Un figlio di Armeno si vantò innanzi a un gran signore:
«- Mio signore, questo mare io lo posso passare a piedi».
«- Se tu lo passerai, figlio di Armeno, io ti farò genero con la mia cugina, genero colla mia sorella, che è nata il mattino dirimpetto al Sole ».
Egli  fece il segno della croce,  entra nel mare:
«Molte volte  ti ho passato in piedi e a cavallo, o mare, o mare amaro,
colle onde amare, tutti ti chiamano mare, e io ti chiamo madre».

4 - Questa data rivela senz'altro che le notizie favoritemi dall'illustre mitografo ateniese sono anteriore alla scoverta delle Odi di Bacchilide ed alla pubblicazione del'importante articolo del compianto Gustav Meyer sul grave argomento.

 

Archivio per lo studio delle tradizioni popolari - Rivista trimestrale
Le tradizioni popolari
Vol XXII
G.Pitré - S.Salamone.Marino
Torinom Carlo Clausen
1903

 

 

www.colapisci.it