IL PESCE NICCOLO
Ossia L'Uomo Anfibio
Con Plcinella, Accademico, Accademico
ignorante, bersagliato dai birri,
e spaventato da un braccio nella fontana di Messina
Commedia in Cinque Atti
Personaggi |
Federico
d'Aragona
Niccolò
Rosina figlia di Niccolò
Giulio figlio di Niccolò
Luigia amante di Giulio
Governatore
Don Giustino
Isidoro |
Bargello
D. Dorotea
Enrico figlio del Governatore
Pulcinella
Alfonso, naufrato
Litterio, naufragato
Soldati, Birri, Paesani, Naufragati, che non parlano |
ATTO I
SCENA I
Camera con tre porte in casa di D. Giustino, Luigia , poi Giulio.
Luigia: - Giulio monta le scale...
Non vorrei... Oh che rovina se veniamo sorpresi.
(va ad aprire)
Giulio (entrando ): - Mia Luigia
Luigia: - Zitto
Giulio, (sotto voce ): - E forse in casa lo scellerato tuo Tutore ?
Luigia: - Si.
Giulio: - E mi hai fatto venire?
Luigia: - Non temere
Egli sta occupato nella sua stanza a scrivere per lo Governatore, del quale ,
come sai, è Luogotenente.
Giulio: - Che mi vuoi tu dire?
Luigia: - Che in questo punto parto
per la campagna, onde sollevarmi un poco dall'odiosa sua schiavitù, e per aver
campo di parlar teco più liberamente per concertar l'affare del nostro
matrimonio.
Giulio: - Parti?
Luigia: - Si mio caro.
Giulio: - E ci vedremo?
Luigia: - Questa sera.
Giulio: - Dove?
Luigia: - Nel mio casino di campagna
Giulio: - Io verrò senz'altro.
Luigia: - Ed io ti aspetto.
Giulio: - Oh se avrò il possesso della
tua mano.
Luigia: - Ella è tua.
Giulio: - Ma il Tutore…
Luigia: - E che gli giova l'opporsi?
Io non son sua figlia, son sola, son libera, son ricca, e posso sposarmi con
chi mi pare e piace.
Giulio: - Ed egli?
Luigia: - Egli fra poco dovrà darmi i
conti dell'amministrata tutela.
Giulio: - Ma ora egli dice…
Luigia: - Che cosa?
Giulio: - Che sei sua pupilla, e che
devi dipendere da lui
Luigia: - In tutto, fuorchè negli
affetti, e nella elezione dello sposo… Eh mio caro Giulio so io perché si oppone
al nostro matrimonio
Giulio: - Perché?
Luigia: - Egli ha fatto un vuoto, ma
vuoto considerevole ne' miei interessi e cercherebbe appianarlo...
Giulio: - Con che?
Luigia: - Con un matrimonio
Giulio : - Da contrarsi?
Luigia: - Con suo figlio.
Giulio: - Che dici?
Luigia: - Con quel giovine' sventato
senz'anima, senza talenti, effeminalo, e sempre olezzante di profumi
Giulio: - Ah birbone, avaro, sordido!
Luigia: - Zitto, zitto.
Giulio: - Ma come…
Luigia: - Questa è la vera cagione per
la quale tanto ci è contrario, non già la disuguaglianza della nascita , come
egli dice, la ' diversità del la condizione, ed altro.
Giulio: - Intanto dimmi mia cara
Luigia, hai tu delle buone ragioni da sperar appagato in breve il nostro amore?
Luigia: - Tuo padre il Pesce Niccolò
nel partire per Napoli otto giorni fa a fine di far rivocare l'ordine datogli da
questo Governatore di emigrare fra otto giorni dalla Sicilia con tutta la
famiglia, si portò un mio memoriale al Sovrano, il quale si trovava allora colà
e si compromise che al ritorno mė lo avrebbe riportato munito della
corrispondente decretazione. Con questo memoriale io altro non chiedeva che la
surrogazione di un altro tutore, ed il reddimento de’ conti di questo.
Giulio: - Ma il Sovrano oggi è venuto
qui.
Luigia: - E tuo Padre ci avrà parlato
in Napoli.
Giulio: - E vuoi andar in campagna e
non piuttosto a gettarti aʼ piedi del Sovrano a chiedergli questa grazia?
Luigia: - Ma se non so prima le
operazioni di tuo padre.
Giulio: - Intanto questa sera terminano
gli otto giorni, e non ancora è tornato.
Luigia: - Oh, il suo ritorno è sicuro.
Giulio: - Ma l'esilio che il perfido
Governatore ci ha dato in questo termine?
Luigia: - Il cuore mi dice che tuo
padre verrà questa notte, e sarà tutto terminato.
Giulio: - Mia Sorella dà nelle smanie.
Luigia: - E ne ha ragione l'infelice.
Giulio: - Ah, che io sono nella più
terribile situazione. L'ordine di partire per questa sera, l'amor che ti porto,
l'incertezza del destino di mio Padre, l'afflizione, il dolor di mia Sorella...
Luigia: - Calmati, calmati mio
Giulio.
Ti ho detto che tutto riuscirà a lieto fine, e così sarà. Noi saremo sposi,
tuo Padre tornerà, tua Sorella sarà contenta, ed il perfido vostro persecutore
il Governatore, collo scellerato suo Luogotenente rimarrà deluso ed avvilito.
SCENA II
D: Giustino in osservazione, e detti
D. Giustino: -
(Bravo!... Starò a sentire ciò che dicono)
Giulio: - Cara Luigia, tu mi ridoni la
vita.
Luigia: - Il Tutore dovrà crepare, ma
Luigia sarà tua.
D. Giustino: (Crepa tu maledetta)
Luigia: - Intanto prima di partire
intendo di fare un bel colpo
Giulio: - Che cosa?
Luigia: - Ho scoperto il luogo dove
egli tiene tutte le carte della mia amministrazione. Egli col nascondermele
potrebbe farmi un cattivo giuoco. Prima dunque di partire voglio andarmele a
prendere.
D. Giustino: ( Prima di te ci andrò io
) va via.
Giulio: - Ma poi venendolo a sapere…
Luigia: - E che mi potrà fare?... Non
ti ho detto che tra oggi e domani io uscirò dalla sua tutela?
Giulio: - E perché non lo facesti
prima?
Luigia: - Perché le ha tenute sempre
chiuse.
Giulio: - Va dunque.
Luigia: - Si ma parti tu prima. Non
vorrei…
Giulio: - E bene. Addio mia cara
Luigia.
Luigia: - Verrai questa sera?
Giulio: - Senz'altro.
Luigia: - La vogliamo far bella al Sig
Tutore
Giulio: - Si dovrà mordere le braccia
per la disperazione.
SCENA
III
D. Giustino, e detti
D. Giustino: - Te le morderai tu
giovine scapestrato
Luigia: - Ah!
Giulio: - Olà… come parlate!
Luigia: - Sei un seduttore, uno
scellerato
Giulio: - Io seduttore! Io
scellerato!... Oh se avessi la mia spada…
D. Giustino; - Sorti subito da questa
casa.
Giulio: - Qui voglio stare
Luigia: - Oh, Sig. Tutore perdonate.
Questa casa non è vostra perché abbiate il dritto di scacciare chi viene a
farmi una visita. Ella è mia, me la lasciò mio Padre…
D. Giustino: - Io sono…
Luigia: - Il mio tutore lo so, ma non
il mio tiranno; l’Amministrator dei miei beni, ma non il despota, il padrone
del mio cuore.
D. Giustino: - Anche nel prender marito
devi dipendere da me.
Luigia: - Ma quando le vostre
intenzioni sono contrarie alla mia felicità, a’ miei veri interessi, io non
dipendo da nessuno
D. Giustino; - E vuoi?
Luigia: - sposarmi Giulio
D. Giustino: - Arrogante!
Luigia: - Sposarmi Giulio.
D. Giustino: - Egli non ti conviene.
Luigia: - Sposarmi Giulio.
Giulio: - Perché Sig Giustino non le
conviene?
D. Giustino: - Perché la tua nascita
non è eguale alla sua
Giulio: - Ma la condizione sopprime il difatto della nascita
D. Giustino : - E chi sei tu?
Giulio: - Uno studente che tra breve
sarà un avvocato.
D. Giustino: - Ma sei figlio di un
marinaro
Giulio: - Marinaro sì, ma virtuoso ed
onorato.
D. Giustino: - E’ un vile tuo padre.
Giulio: - Come parlate!
D. Giustino: - Sì, un pirata, un
assassino, che si è meritato di essere esiliato dalla Sicilia.
Giulio: - La nequizia ha profferito
questa sentenza.
D. Giustino: - La verità la sostiene.
Giulio: - Ne menti scellerato
D. Giustino: - A me scellerato!
Giulio: - Si scellerato, assassino,
ipocrita, calunniatore.
D. Giustino: - Esci da questa casa
Giulio: - N’esco per ritornarci come
devo
D. Giustino: - N’uscirai per andare in
esilio
Giulio: - E tu alla galea briccone
(via)
D. Giustino: - Arrogante!
Luigia: - Tutore…
D. Giustino: - Signora Pupilla…
Luigia: - Dovrò più soffrire le
vostre prepotenze?
D. Giustino: - Userò la forza per
mettervi a dovere.
Luigia: - La forza!
D. Giustino: - Si, vi metterò in un
ritiro se più segui te a trattare con lui.
Luigia: - Oh Sig. Tutore, sappiate che
io non son una di quelle Pupille che si lasciano imporre dalle vane minacce di
chi le vuol suppeditare. lo so i miei dritti , e so i miei doveri. Non parlate
con me di forza e di ritiro, che io vi dico: cacciate le mie carte, esibite i
conti della tutela, e cessate una volta di opprimere una donna infelice sì, ma
capace purtroppo di farvi tremare.
D. Giustino: - Che carte! Dove sono le
vostre carte? Voi poco o nulla possedete , ed io per alimentarvi ci rimetto del
mio.
Luigia: - Come! Ah scellerato! Ti sei
abusato della mia debolezza, della mia buona fede per fare tuttocciò che hai
voluto! Mi hai involate le carte, mi hai...
D. Giustino: - Più rispetto.
Luigia: - Meno perfidia una volta.
D. Giustino: - Vi metterò a dovere.
Luigia: - Ed io ti farò stare a segno.
D. Giustino: - Ritiratevi nella vostra
stanza.
Luigia: - Sì , mi ritiro per vestirmi,
ed andare in campagna , onde dare quei passi che mi convengono.
D. Giustino: - Andate dove diavolo
volete , ma di Giulio non sarete giammai.
Luigia: - Ed io sarò di Giulio a vostro
marcio dispetto. (via)
D. Giustino: - Qui non ci è tempo da
perdere. Le Carte sono ben nascoste, ma per maggior cautela vado a , prenderle
in questo momento per consegnarle al Governatore, il quale essendo complice
della trama è il solo, l’unico uomo di cui posso fidarmi in quest'affare.
(via nella sua stanza)
SCENA IV
Governatore solo
...? …? …? … ?
Governatore: - (La venuta del sovrano
qui a Mesina mi sconocita non poco; ma io saprò disbrigarmi di tutto, e il Pesce
Niccolò rimarrà oppresso con tutta la sua abborrita famiglia, Bargello?
SCENA V
Bargello, e detto.
Bargello: - Comannate signò
Governatore:
- Dimmi, sai se il Re ha dato udienza?
Bargello: - Gnorsì
Governatore:
- A chi?
Bargello: -
A tutte quante Signò! Appena arrivato tutte le gente di Messina se le so
affollate attorno; che le vasava le mane, chi le se jattava a li piede chi le
projeva memoriale…
Governatore:
- Ed egli?
Bargello: -
E isso senteva tutte; deva udienza a tutte, e strillava a le Guardie che
cacciavano la gente
Governatore;
. Ma io non voglio saper questo
Bargello: -
E che volite sapè?
Govrnatore: -
Se ha dato udienza a qualcheduni della famiglia
Bargello:
Famiglie, cocchiere, volante , purzi a li muzze de stalla
Governatore:
- Ma io parlo della famiglia di Niccolò Pesce.
Bargello: -
Ah, de chella famiglia!
Governatore:
- Si
Bargello: - Gnernò
Governatore:
- E come lo sa?
Bargello: -
Perché de chella famiglia chi ce sta? Lo Patre.. e due figlie. Lo Patre non ce
sta, Oscellenza lo sapite, perché manca da otto juorne, e non se n’è avuto chiù
notizia. Li duje figlie po tutt’ogge po so state chiuse dint’ a casa
Governatore: - E come ti è noto?
Bargello: - Ca stanno dirimpetto a la
casa mia , e l'aggio viste.
Governatore: - ( Respiro ) Ma
ci saranno andati dopo.
Bargello: - Gnernò.
Governatore: - Perché?
Bargello: - Perché doppo lo Re s'è
retirato, e non ha dato chiù udienza a nisciuno.
Governatore: - (Buono!)
Bargello: - Commanuate auto?
Govenatore: - Aspetta fuori, perché
forse dovrò darti qualche ordine.
Bargello: - A chest'ora?
Governatore: - E che? È tardi?
Bargello: - Mo fa notte.
Governatore: - E di notte dev'essere
eseguito.
Bargello: - (Aggio capito. E ordine
notturno) via
Governatore: - L'affare è urgente, e
l'arresto de' figli di Niccolò per tutta questa notte dev'essere eseguito.
SCENA VI
D. Giustino, e detto
D. Giustino:
- Sig. Governatore vi riverisco.
Governatore: - Oh don Giustino, che c’è?
D. Giustino:
- Son venuto a portarvi queste carte
Governatore: - Che carte sono?
D. Giustino: - Appartengono alla
tutela di D. Luigia, la mia Pupilla. E siccome una combinazione mi ha fatto
rilevare, che mi dovevano essere dalla stessa involate, così ho prevenuto i suoi
disegni, e vengo a depositarle nelle vostre mani, anche perché coll'esaminarle
possiate darmi una qualche consulta.
Governatore: - (Le prende , e le
mette sul tavolino) Avete fatto bene. Ma essa che fa? Che dice?
D. Giustino: - E che vuol fare, che
vuol dire la pazzerella. M’insulta mi deride ed è risoluta ad ogni costo di
sostenere i suoi dritti, e sposare il figlio del Pesce Niccolò.
Governatore: - Che donna ostinata!
D. Giustino: - Sig . Governatore,
volete disfarvi di quest' abborrito giovine?
Governatore: - Son già risoluto di
arrestarlo questa sera di unita alla Sorella, giacchè volontariamente non hanno
ubbidito all'ordine dell'esilio otto giorni fa da me, datoli.
D. Giustino: - Bene. lo vengo a
palesarvi un nuovo incidente, che sempreppiù giustificherà quest'ordine.
Governatore: - E qual è?
D. Giustino: - Udite. La Pupilla in
questo momento si è posta in carrozza per andar a trattenersi qualche giorno nel
suo casino di campagna poco da qui lontano, come sapete. Io l'ho sorpresa
mentre parlava coll'Amante, ci è stato un chiasso di casa del diavolo, e giudico
non irragionevolmente, che qualche segreto appuntamento avranno fatto per questa
notte istessa; che perciò mandatelo subito ad arrestar colà.
Governatore: - Bene. Bargello?
SCENA VII
Bargello, e detti
Bargello: - Commannate Signò?
Governatore: - D mani. Sai tu il casino
di campagna della Pupilla di D. Giustino?
Bargello; - Lo casino di Donna Luigia?
D.Giustino: - Appunto
Bargello: - Gnorsì lo saccio
Governatore: - Devi andarci questa
notte colla forza per arrestare il figlio del Pesce Niccolò
Bargello: - E llà sta?
D. Giustino: - Si
Bargello: - (Aggio capito. Starranno,
facenno l'ammore) Mo vaco
Governatore: - No devi andare a notte
avanzata
Bargello: - (A notte avanzata comme
a Lupo menaro), Va bene.
Governatore: - Eseguirai a dovere quest’ordine?
Bargello: - E che ve pare! Se tratta de
Carcerazione e io non me ne curo ca lasso no’ cefaro de no ruotolo che
n’aggio arrostuto e no bello tremoncello de vino annevato. Le catture so na
passione mia; e pe fa catture mme contento porzi se avesse da restà diuno
(via)
D. Giustino: - Lo so che voi gli avete
dato l'esilio di unita a tutta la sua famiglia sotto vari pretesti; ma non è
sempre meglio avere un pretesto dippiù per esterminarli?
D. Giustino: - Sarebbe appunto
l’imputazione di ratto nella quale trovandosi uniti possiamo benissimo farlo
incorrere. Voi'sapete quanto son rigorose le nostre leggi per questo delitto.
Io come Tutore avvalorerò l’accusa, a voi come Governatore la giudicherete.
Governatore: - Vi do parola che
questa notte' istessa egli sarà imbarcato sulle Reali galee per l'Indie.
D. Giustino: - E la Sorella?
Governatore: - Vi ho detto che
incorrerà la stessa pena. È gran tempo che ne agogno l'esterminio, e spero che
questa volta sarò soddisfatto… Sciagurata!... Per di lei cagione ha perduto un
figlio.
D. Giustino: - Cioè perduto... è
assente volete dire...
Governatore: - Ed è lo stesso per me. Dovei mandarlo in Londra un anno fa, per allontanarlo da lei, di cui era alla
follia innammorato.
D. Giustino: - Vi scrive?
Governatore: - A me no , all'amante
sempre, e ne sono stato assicurato... Ma egli non la sposerà, non lo vedrà
questo giorno fino che saranno aperti gli occhi miei; non succederà quest'
abborrito legame…
Come! Il figlio del Governatore di Messina, di un cavaliere distinto, sposo
di chi? Di una donnicciola vile, di bassa estrazione, figlia d’un marinaro!
D. Giustino: - Anzi di un rustico Ciclope
Governatore:
- Io tremo in pensarci
D. Giustino:
- E perciò questa notte…
Governatore:
- Si, questa notte immancabilmente, sì essa che suo fratello strappati da qui, e
vela per l’Indie
D. Giustino:
- Ma procurate di non farne passar questa notte, perché qui c’è il Re, e non
voglia il Cielo ci andassero a ricorrer
Governatore:
- Oh, che vi pare!… Povero me in questo caso!... Allora tutta la mia macchina… E opure D. Giustino?
D. Giustino:
- Che volete?
Governatore:
- Io non son tranquillo
D. Giustino:
- E perché?
Governatore:
- Ho un tarlo che mi rode sempre il cervello
D. Giustino:
- E qual è?
Governatore:
- E’ il Pesce Niccolò, il padre di quest’abborrita ragazza.
D. Giustino:
- E come?
Governatore:
- Questo a vuoto avendo da me l’ordine di sloggiare tra otto giorni dalla
Sicilia, sotto il mentito pretesto di aver segreta intelligenza coi
grandi dello stato, di essere un fautore de’
Pirati, che infestano i nostri mari, e conculcatore delle leggi sanitarie a
danno della publica salute; avuto dico quest’ordine immediatamente si gettò
mare senza darne a persona vivente l’oggetto. E dove poté andare? Probabilmente
in Napoli, dove allora stava il Re ed avendogli parlato che nuove avrà
ottenuto)… Questo, questo solo riflesso mi fa tremare.
D. Giustino: - Se non è altro che
questo il vostro timore, potete dormir tranquillamente
Governatore: - E come?
D. Giustino: - E non vedete che questo
è un timor panico, che senza fondamento vi agita.
Governatore: - Timor panico!
D. Giustino: - Sicuramente
Governatore: - Ma come?
D. Giustino: - Il Pesce Niccolò è
morto.
Governatore; - Morto! Dove?
D. Giustino: - Nel mare
Governatore: - E con qual fondamento lo
dite?
D. Giustino: - Il fondamento è chiaro,
evidente e non ammette contraddizione
Governatore: - Ed è?
D. Giustino: - Il non esser tornato fin
a quest’ora
Governatore: - E non potrebbe essere…
D. Giustino: Che cosa?
Governatore: - Qualche ritardo…
D. Giustino: - Eh , che ritardo! Più
di cento volte egli ha fatto questo viaggio, e non mai ci è stato tanto tempo;
in quattro giorni è andato e tornato, perché quand'è sott'acqua ha la celerità
del più agile pesce che si sia, di modocchè precede gli stessi bastimenti. Come
va dunque che adesso son otto giorni, e non è più comparso, tantoppiù che
trattasi di un affare tanto rimarchevole per lui? È morto Sig.
Governatore, è
morto senz'altro, ed io ci scommetterei la testa.
Governatore: - Ah , voi ravvivate il
mio spirito.
D. Giustino: - E non lo avvilite più
con quest’importuni timori
Governatore: - Misero me se ciò non
fosse
D. Giustino . E misero me! ancora.
Governatore: - Egli è tanto ben veduto
dal Sovrano…
D. Giustino: - Questo è verissimo
Governatore: - Gli ha prestato tanti
servizi, quando con portar lettere sott’acqua alle sue armate di mare assediate
dalle flotte nemiche, quando con salvar bastimenti, quando con liberar
naufragati.
D. Giustino: - Ed anche per le tante scoverte di oggetti di storia naturale che ha fatte nel fondo del mare , dove
vive colla stessa indifferenza con cui viviamo noi sulla terra, di modocché
spesse volte spinto dalla curiosità si è intromesso in qualcheduna delle tante
immense voragini che vi sono, e si è veduto poi sortire dopo molti giorni non
già dal mare, ma dai fiumi , dai pozzi, dalle caverne.
Governatore: - E per questo n ' ebbe
anni fa dal volgo un’ imputazione di stregoneria, alla quale poi non si diè
fondamento, dopo di aver egli mostrato con delle idee anatomiche che la sua
qualità anfibia non è che un semplice fenomeno naturale dipendente dall'apertura
del Forame ovale del cuore.
D. Giustino: - Basta. Governatore, una
è la causa, comune è l'interesse. Il Pesce Niccolò è morto senz'altro , e voi
non dovete cessar di perseguitare a tutta possa la di lui famiglia. Così potremo
riacquistare voi il figlio e la pace, io la Pupilla per mia figlia con tutte i
le sue ricchezze. A rivederci.
Governatore: - Quando?
D. Giustino: - Domani...
Governatore: - No , questa notte,
perché penso di andar in persona ad arrestar Rosina, e ci dovete essere ancor
voi.
D. Giustino: - Ed io ci verrò con tutto
il piacere. Addio. (via)
Governatore: - Conservatevi. Mi par che
tutto vada bene. Sorte siimi propizia, proteggi i miei disegni , e farne
restar occulte le trame. (via ) S. }
Fine dell' Atto primo
Atto II
SCENA I
Notte – Spiaggia solitaria presso Messina.
Il mare sarà alquanto agitato e si vedrà al chiarore della luna un bastimento
mercantile che non può entrar nel porto.
Alla sinistra vi sarà una rupe
praticabile internamente, e formata da molti sassi amovibili, sotto la quale
per un condotto della larghezza di un braccio d'uomo uscirà uno sgorgo perenne
d'acqua che andrà a precipitare in una vasca,
opure formerà un ruscello, che
andrà a dispendersi nel mare.
Pulcinella e Isidoro
Isidoro: -
Pulcinella, accelera il passo
Pulcinella:
- E no passo sulo che fa? Avarriano da essere almeno una ventina de sportelle p
emme sbrocà sto catarro de stommaco che tengo.
Isidoro: -
Cammina che siamo alla meta
Pulcinella:
- Siamo arrevate a Meta. N’auto poco arrivammo a Surriento
Isidoro: - Voglio dire che siamo
all’estremo
Pulcinella: - Ce puozze sta tu
all'estremo , ca pe me non tengo sta ntenzione.
Isidoro: - Alla fine del cammino,
quanto sei bestia
Pulcinella: - E di all'ultimo di lo
cammino, quanto si ciuccio.
Isidoro: - Dimmi, non si senti
saltellare il cuor nel petto, pensando che siamo nella
Trinacria, vale a dire
nella terra abitata un giorno dai Ciclopi, e dai Lestrigoni?
Pulcinella: - lo mme sento zompà n'auta
cosa mpietto.
Isidoro: - E che cosa?
Pulcinella: - No minuè de cancaro
ncuorpo ch'è l'ultima maraveglia.
Isidoro: - Non dubitare, che ti farò
mangiare finchè crepi
Pulcinella: - Puozze schiattà tu sulo.
Isidoro: - Oh, se fossi tu stato in
questi luoghi, nel bel secolo dell'oro!
Pulcinella: - Chi è chisto?
Isidoro: - Il bel secolo dell'oro,
ossia l'età di Saturno.
Pulcinella: - lo saccio sulo l'età de
Mercurio.
Isidoro: - Allora i fiumi e le fontane
scorrevano latte e miele.
Pulcinella: - Che bella cosa! Se
scialava de recottelle e franfelliche.
Isidoro: - Gli uomini dormivano sotto
gli alberi.
Pulcinella: - Sparagnavano lo pesone.
Isidoro: - La terra donava ad ognuno i
più squisiti frutti.
Pulcinella: - E vi comme avevano da
schiattà di fruttajuole
Isidoro: - Oh tempi felici!
Pulcinella: - Oh na panza d'alice!
Isidoro: - E perché non siamo nati
allora?
Pulcinella: - Quanno?
Isidoro: - Nel bel secolo dell'oro.
Pulcinella: - E chisto é lo secolo
dell' oro.
Isidoro: - Tu che dici! Questo non è
nemmeno di ferro.
Pulcinella: - E mo si ciuccio. Lo
secolo dell'oro è chisto.
Isidoro: - E perché?
Pulcinella: - Perché mo tutto se fa a
forza d'oro.
Isidoro: - Come!
Pulcinella: - E trovame na cosa che se
fa senz'oro.
Isidoro: - Pulcinella, dalla
descrizione fattaci da quel l'uomo che abbiamo incontrato, sembra che questo
appunto sia il luogo distante mezz'ora dalla Città di Messina.
Pulcinella: - Arrevassemo priesto, ca
io mo sconocchio pe la famme.
Isidoro: - Ho composta un anacreontica
per recitarla quando vedrò la prima volta le vette dell'Etna.
Pulcinella: - E jo aggio apparecchiato
no saluto accademico pe farme onore a la primona taverna che trovo.
Isidoro: - Che saluto!
Pulcinella: - Na scarreca generale de
lopa maestà ch’è l’ultimo incanto
Isidoro: - Ma tu non pensi ad altro
che a mangiare
Pulcinella: - Ca chesto schitto mme
preme.
Isidoro: - Perché non fai come fo io?
Pulcinella: - E comme fai tu?
Isidoro: - Quando non ho che mangiare
mi metto al far versi.
Pulcinella: - Se li vierze saziassero
te servatria.
Isidoro: - Un Poeta come me trova il
suo ristoro ne' carmi.
Pulcinella: - E io lo trovo nfaccia a
no piatto de maccarune.
Isidoro: - Ma via togli le dimore.
Pulcinella: - Le pommadore! E addò
stanno?
Isidoro: - Le ciarle bestia
Pulcinella: - Ce sta pure la carne. E’
bona
Isidoro: - Eh , non annoiarmi. Cammina
Pulcinella: - Cammino… Ma le gamme non diceno accossì.
Isidoro: - E cosa dicono?
Pulcinella: - Ca se non so rinforzate
da na ventina de pare de casecavalle, non vonno ire nnante
Isidoro: - E bene e riposiamoci un
tantino, prendiamo lena, e poi partiremo
Pulcinella: - E se chella non vo veni?
Isidoro: - Chi?
Pulcinella: - Lena.
Isidoro: - Ma lena cosa credi che sia?
Pulcinella: - Chella femmena vozzolosa,
che tu ce facive all'amore a Napole
Isidoro: - Sciocco! Lena vuol dire
fiato, respiro
Pulcinella: - E quanno è chesto lo
puozze perdere.
Isidoro: - In che modo??
Pulcinella: - Parlanno, dormenno,
mangiando, comme meglio t'accomoda.
Isidoro: - Io non so che diavolo dici.
Pulcinella: - Se, ca parlarraggio
Turco.
Isidoro:- Riposiamo un poco presso
questa fontana e facciamo onore alle Najadi che l'hanno in custodia
Pulcinella:
- Cho so cheste?
Isidoro: -
Sono le Ninfe che presiedono ai fonti
Pulcinella:
- Linfe!
Isidoro: -
No!, Ninfe, ossia Numi agresti
Pulcinella:
- Fasule agreste! E quanto è chesto assettamoce che mme ne mangio de porzione
mi almeno quatto rotola.
Isidoro: - A
Messina vogliamo mangiar bene, bever meglio e stare allegramente
Pulcinella:
- E comme?
Isidoro: - A
spese di Donna Dorotea
Pulcinella:
- Donna Trofimea
Isidoro: -
Donna Dorotea, quella donna vecchia e ricca alla quale siamo raccomandati
Pulcinella:
- E’ ricca?
Isidoro: -
Sì, e poi è amante della poesia e si è fitta in testa di sposar un Poeta. Io
sarò questo fortunato figlio di Apollino… Tu precederai in sua casa il mio
arrivo; dirai di essere mio seguace, che io sono il celbre Acrofisdmo Alfesbeo…
Pulcinella:
- Chre mmalora de nomme è chisto!
Isidoro: -
E’ nome d’Arcadia. Che son membro delle principali Accademie d’Italia; cioè
degl’Insensati di Milano, degli Storditi di Bergamo, de’ Distrutti di Pavia…
Pulcinella:
- De l’Affamate de Napole
Isidoro: -
Di quel che vuoi
Pulcinella:
- E io no?
Isidoro: -
Tu dirai di chiamarti…
Pulcinella:
- Polecenella Cetrulo
Isidoro: -
No, Trigiliaco Melliflore
Pulcinella:
- Masto Francisco Cavolefiore
Isidoro: -
Dirai di essere dell’Accademia…
Pulcinella:
- Oh, l’Accadenia mia è conosciuta
Isidoro: -
Dove?
Pulcinella:
- Per urbem et orbem
Isidoro: -
Ma pure!
Pulcinella:
- Pe tutte le taverne
Isidoro: Ed
è?
Pulcinella: - Lo cancaro ncuorpo.
Isidoro: - No , dell' Accademia…
Degli Sventurati di Siena.
Pulcinella: - E chių sventurato dé no
muorto de famma addò lo truove?
Isidoro: - Intanto nel presentarti a
lei le farai un saluto in latino.
Pulcinella: - E perché?
Isidoro: - Per far vedere che sei degno
seguace d'un Uomo virtuoso.
Pulcinella: - E comme l'aggio da
dicere?
Isidoro: - Salve formosissima puella …
Bisogna chiamarla donzella per adularla.
Pulcinella: - (Ripete
spropositatamente a suo modo)
Isidoro: - Essa ti domanderà: Chi
siete? Tu le rispornderai: Seguace d'un Poeta.
Pulcinella: - Seguace d'un Poeta: Va
buono?
Isidoro: - Indi ti domanderà:
Anche voi siete figlio d'Apolline? Tu le risponderai: L'ho dentro
l'anima.
Pulcinella: - L'ho dentro l'anima.
Isidoro: - Che vuole questo Poeta?
Vagheggiare le vostre pupille.
Pulcinella: - Vagheggiare le vostre pupelle.
Isidoro: - Poi ti domanderà:
Egli dove sta ? Tu le dirai: Abbasso al portone.
Pulcinella: - Abbasso al portone.
Isidoro: - Finalmente essendo una
donna compita ti dirà: Che favorisca, e tu le risponderai:
Grazie, grazie, e mi verrai a prendere
Pulcinella: - Grazie, grazie
Isidoro: Queste son tutte le parole che
tu le devi dire. Per la strada poi te le dirò, acciò ti restino più impresse.
Pulcinella: - Ma dico… Là mangiammo?
Isidoro : - Oh, quanto vuoi
Pulcinella:
E ghiammoncenne (per andare)
SCENA III
Bargello con Birri, e detti
Bargello: -
Noce de lo cuollo (uscendo con furore s’incontra con Pulcinella, urtano e
cade)
Pulcinella: - Misericordia!
Isidoro: - Ajuto!
Bargello: Ah briccone! Volive fuì?
Pulcinella: - Tu che dice!
Bargello: - Cammina, e non fa
chiacchiere.
Pulcinella: - Addò?
Bargello: - Dint’ a lo mandrullo
Pulcinella: - Dint’ a lo mandrullo! E
che m'aje pigliato pe ne porco
Bargello: - Carcerato.
Pulcinella: - Carcerato! E perché?
Bargello: - Pe ordine de lo
Governatore.
Pulcinella: - Tu si pazzo.
Bargello: - Oje parla comme aje da
parlà, se no te faccio adunà tutte li diente pe terra
Pulcinella; - Ora chisto è n’auto guajo
bello e buono.
Bargello: - Cammina
Pulcinella: - Ma io che aggio fatto?
Bargello: - E non vuò cammenà?
Pulcinella: - Poè?
Isidoro: - Oh, io non c'entro.
Pulcinella: - E l'ajuto che sempe m'aje
prommiso
Isidoro: -
L'ajuto maggiore
Si deve alla pelle
Che voglion le stelle
Conservisi ognor
Bargello: - Oh bonora! Tu faje canzone!
Isidoro: - Son poeta Signore
Bargello (A Pulcinella): - E
tu?
Pulcinella: - So lo capo cannella sujo
Isidoro: - E’ un rampollo del Parnaso
Pulcinella: - Gnorsì, tengo n ampolla
ncopp’ a lo naso
Bargello: - E non si Pesce?
Pulcinella: - No, sarraggio baccalà
Bargello: - Rispunne, non si Pesce?
Pulcinella; . Comme voglio essere
pesce, se si tanto bestia quadrupeda dicenne a buje
Bargello: - Voglio dicere, non si lo
figlio de lo Pesce Niccolò?
Pulcinella: - No, so figlio a na vicina
soia
Bargello: - E chi è chesta?
Pulcinella: - La Coccovaja de Puorot
Bargello: - E dove sta?
Pulcinellsa: - Mmiezo Puorto
Bargello: - E lo Pesce Niccolò?
Pulcinella: A Seggio de Puorto
Bargello (freddamente): - Oh che
puozz’essere acciso!
Pulcinella: - Oh che puozz’essere
mbiso!
Bargello: - Belli figliù jammoncenne,
che aggio pigliato no Zaro.
Pulcinella: - E co sto Zaro m'aje
fatto fa lo core'quant'a, no Zero.
Bargello: - Lo Diamante m'ha dato ncapo.
Pulcinella: - E se le deva dint' a le
stentine era meglio
Bargello: - Tu mo’ sì nato.
Pulcinella: - Mò so nato, e trovame na
Nutriccia.
Bargello: - La Nutriccia mia è na
stagnarola de n’onza e na quarto che sta cca dinto.
(indicando il fucile)
Isidoro: - Capperi! di gran calibro.
Bargello: - Co chesta aggio d'accidere
chiù de mille perzune sta notte.
Pulcinella: - Bu!
Bargello: - Lo vuò vede che te faccio
no focolare mpietto cu la fummarola da dereto?
Pulcinella: - No , lassa sta, po da
quante parte ha d'ascì lo fummo?
Bargello: - Belli figliù che dicite? Li
volimmo fa campà n'auto poco a sti duje Mamozie?
(a' Birri che fanno cenno
di si)
Pulcinella: - Nuje simmo Mamozie, Vuje
mme parite li Surdate de to presebio che se fricceca.
Bargello: - E mbè jammoncenne.
Campate.. (vanno)
Pulcinella: - Campate! C'ha fatta la
grazia, che puozz'ire ngalera privo de grazia.
Isidoro: - Ah che io ho perduto il
fiato
Pulcinella: - lo non ne tengo manco p'abottà na vozzola de no piacione
Isidoro: - Ho avuto un gran timore
Pulcinella: - Poè, da lo principio veco
che le cose han da ire male
Isidoro: -
Non temere.
Chi si sgomenta
In sul principio
D'eventi fausti
Non può sperar
Pulcinella: - Te venga un cancaro nel
focolar.
Isidoro: - Oh, riposiaino un poco.
Pulcinella: - Basta che non simmo
sconcecate n'auta vota (si coricano vicino la fontana)
Isidoro: -
Oh sonno amabile!
De mali oblio(?)
Il ciglio mio
Vieni a bear
Pulcinella: -
Lopa crudele
Che mi tormenti,
Pochi momenti
Lasciami star.
Isidoro: - Sonno gradito
Pulcinella: - Famme canina
Isidoro: - Deh t’avvicina
Pulcinella: - Fuggi da me
SCENA III
Si sente la voce di Niccolò dalla fontana, cupa e confusa, di modocché sembri
venire da gran distanza e non se distinguono le parole, poi sorte a suo tempo
Pulcinella:
- Oe? (spaventato)
Isidoro: -
Pulcinella?
Pulcinella: - Aje ntiso?
Isidoro: -
Sei tu?
Pulcinella:
- Niente affatto!
Isidoro: - E
chi èp?
Pulcinella:
- Sarrà lo diavolo
Isidoro: -
Io tremo
Pulcinella:
Lo sconocchio (replica la voce di Niccolò. Si alzano spaventati) Ah bene
mo’ ista cosa non mme piace
Isidoro: -
Fermati, fermati non fuggire
Pulcinella:
- Che buò fermà, li muorte de mammeta
Isidoro: -
Ascoltiamo meglio
Pulcinella:
- E che buò sentì meglio, saccio io chi è
Isidoro: - E
chi mai?
Pulcinella:
- E’ lo scazzamauriello de sti contorni
Isidoro: -
La voce par che sorta da una caverna
Pulcinella:
- Da una taverna! E sarrà la taverna de casa de lo diavolo
Isidoro: - Forsde qualche deità silvestre, o marina…
Pulcinella:
- Auto che D. Silvestro e D. Marino. E’ D. Diavolo Poeta mio. (si sentono
dei colpi nell’interno della fontana). Siente, siente comme tozzolea
Isidoro: -
Pulcinella, io ho paura davvero
Pulcinella:
- A me se me nzagne non m’esce chiù sango
Isidoro: -
Ma per altro… chi sa che non sia qualche Ninfa che ci appelli
Pulcinella:
- Vo no cappiello, dalle la caccavella to.?.?
Isidoro: -
Mi farò una bevuta d’acqua alla sua salute
Pulcinella:
- Dici buono, falle no brindise d’acqua al fri.?.?
Isidoro: -
(Si accosta alla fontana per bere, esce il braccio di Niccolò da quella, e
gli tocca le labbra. Si scosta spaventato, e dopo aver preso fiato dice):
Pulcinella?
Pulcinella
Che d’è? Aje vippeto subeto subeto?
Isidoro: -
Bevi tu che non ho sete?
Pulcinella: - Ma chesta è mala
creanza. Aprimmo dice che vuò fa no brinnese, e po t’arrasse.
Isidoro: - Bevi tu bevi tu
Pulcinella: - E bevo io sicuro
(Accostando le labbra alla fontana, Niccolò di dentro colla mano ne ottura il
condotto per cui l’acqua cessa di scorrere) Vide che sciorte che tengo io?
Isidoro: Che cos’è
Pulcinella: - Pure l’acqua mme vene
meno (scorre di nuovo)
Isidoro: - E come?
Pulcinella: - Accostando lo musso a lo cannuolo ha fenuto de scorrere
Isidoro (guardandolo): - Ma… io
vedo che scorre.
Pulcinella: - É mo avarrà chuppeto
ncampagna.
Isidoro: - Pulcinella, tu hai accesa la
fantasia.
Pulcinella: - lo aggio accisa Nastasia!
Tu che dice!
Isidoro: - Va a bere.
Pulcinella: - Eccome cca. (Si
accosta per bere , esce il braccio di Niccolò , e gli ghermisce il viso; poi
entra , e , seguita a scorrere ľ acqua. Pulcinella fa gran mosse di spavento ,
quando si sarà rimesso dirà) Poeta , Poè ? Isidorro: - Che cos'è?
Pulcinella: - M'ha fatto no carizzo
Isidoro: - Chi?
Pulcinella: - No capetone peluso.
Isidoro: - Che capitone, peloso?
Pulcinella: - Pesava almeno quattu
rotola.
Isidoro: - Tu che dici!
Pulcinella: - E se non era capetone
peluso , era mano de Varviero senz'auto
Isidoro: - Perché?
Pulcinella: - Perché mme steva
alliscianno la faccia sen za saponetto.
Isidoro (osservando) : - Ma io
non vedo nulla.
Pulcinella: - E sarrà ghiuto a fa la
varva a Caronte.
Isidoro; - Pulcinella, come va questo
affare? (Qui nel parlare si accostano alla fontana appoggiandosi alla rupe)
Pulcinella: - E io che saccio
Isidoro: - Qualche cosa sarà certamente
Pulcinella: - Accossì dico pure io.
(In questo cade addosso ad ambedue una gran quantità di terra. Si scostano
spaventati) - Mamma mia!
Isidoro: - Misericordia! (fanno per
fuggire, e si arrestano nel sentire la voce di Niccolò)
Niccolò (di dentro con voce cupa): -
Buona gente, ajutatemi a sortire
Pulcinella: - Ah , ca vo’ ascire lo
Diavolo
Isidoro: - Per la paura non so dove
sono.
Niccolò: - Scostatemi queste pietre,
fatemi sortire.
Pulcinella: - Jammoncenne Poeta, jammoncenne.
Isidoro: - No Pulcinella, dici male.
Se questo è uno spirito ci verrà appresso , e ci punirà per non averlo ubbidito.
Pulcinella: - E che buò fa?
Isidoro: - Sforziamo quelle pietre, e
facciamolo sortire; cosi vedendo la nostra ubbidienza forse ci premierà.
Pulcinella: - E se in vece de
premiarce c'afferra pe la noce de lo cuollo, e ce strascina a casa de lo
Diavolo?
Isidoro: - Non temere, che forse sarà
un Genio benefico, che farà la nostra fortuna.
Pulcinella: - Ah , ca sło Genio non
mme va niente a lo genio.
Isidoro: - Vieni qui ajutami. (Si
accostano alla rupe, ne sforzano alcune pietre dalla parte superio re, queste
cadono, e si scopre a mezzo busto Niccolò mezzo nudo, ed irsuto ). Ah Sommo
Nume de'boschi, supplice ti adoro.
Pulcinella: - Mamma mia! Chi è chisto
ne Poè?
Isidoro: - Prostrati, prostrati
Pulcinella. Egli è Pan il Dio de' boschi.
Pulcinella: - Chisto è lo Pane!
(s'inginocchia) Ah si Pane mio, pensa ca ce morimmo de famme, dance no
piezzo tujo, doppo che te l'avisse da sceppè pure da le parte fetose.
Niccolò: - Buona gente non temete; non
sarò per farvi alcun male. Sforzate quest' altre poche pietre, e fatemi
calare.
Isidoro: - Eccoci, eccoci ad ubbidirvi.
Pulcinella: - Ecco cca. (tolgono
delle altre pietre lo ajutano a calare) (Oh che brutto pane sedeticcio ch'è
chisto!)
Niccolò (già calato): - Oh ! ....
grazie ... Ditemi, avreste un poco di pane?
Pulcinella (Vi comm'è bello sto
poco! Isso é pane, e vo lo pane da nuje).
Niccolò: - Ho una fame che arrabbio.
Pulcinella: - E nuje no cancaro ncuorpo
che ce tormenta.
Isidoro: - Non abbiamo nulla Signore,
nulla.
Niccolò: - Non importa . . Mangerò ..
Messina non è lungi... ed io potrei ... Ma no .. I miei nemici… E d'uopo
evitarli… e per mezzo del mare giungerò più presto alla mia abitazione. (si
accosta al mare per buttarsi)
Isidoro: - Ma... Se è lecito... Ella
chi è Signore?
Niccolò: - Sono il Pesce Niccolò,
(si butta rapidamente in mare, e via)
Pulcinella: - Lo Pesce Nicolò!
Isidoro: - Il Pesce Niccolò!
Pulcinella: - Vide comme sommozza.
Isidoro: - Oh che paura che ho avuta!
Pulcinella: - lo aggio fatto doje
cantara d'anquille ncuorpo.
Isidoro: - Pulcinella, che ne dici di quest' avventura?
Pulcinella: - Dico che se la jornata e
comme la nottata, è meglio che ce jammo a jettà a mare comme ha fatto lo Pesce
Niccolò
Isidoro: - Andiamo, andiamo a Messina e
preghiamo Apollo che ci renda propizia Dorotea.
Pulcinella: - Oh Apollo, salvame la
pelle; e non mporta che mme rompono le spalle. ( viano)
Fine dell' Atto secondo.
ATTO III
SCENA I
Camera semplice in casa di Niccolò con due porte. Sedie e tavolino con lume
Rosina sola:
- Che notte d’affanni è questa per me! Oh Dio! Ed è egli vero che nel fior degli anni miei debba sentire tutto il peso del
barbaro destino che mi persegue! Oh Enrico! E perché non sei qui per
vedere in che stato si trova l'infelice Rosina, e qual triste governo ne fa il
crudele, l'implacabile tuo genitore!... Padre mio chi sa che ne sarà di te. Tu
dovevi lottare… Oh Dio! Qual raccapriccio in pensare ai perigli… Chi sa che ne' vasti gorghi
del mare in quelle immense voragini in cui per diletto tanto fiate si
precipitava. Oh giusto Cielo, allontana di lui ogni periglio, ed ogni disgrazia.
SCENA II
Donna Dorotea, e detti
Dorotea: -
Rosina, che c’è? Sempre mesta, sempre cogli occhi piangenti… Non vedete che la
notte è avanzata? Perché non andare a riposo?
Rosina: -
Lasciatemi stare Donna Dorotea
Dorotea: -
Come avete detto?
Rosina: -
Lasciatemi stare
Dorotea: -
Volete riposare?... L’ho detto anch’io. Andate dunque.
Rosina: - Oh
che noia! (forte). Ho detto lasciatemi stare, non ho voglia di andare al
riposo.
Dorotea: - No che ci dovete ändare. La
vostra salute mi preme. Voi siete la figlia del Pesce Niccolò, quell'uomo tanto
benefico, che ad onta delle sue ristrettezze mi ha accolta in casa sua come una
figlia dopo l'assassinio fattomi da quello scellerato di D. Giustino.
Rosina: - Ma io sono stata assassinata
qui nel cuore.
Dorotea: - Vi duole il cuore! ... Oh
poveretta! Me ne dispiace… lo non lo sapeva… Presto, si chiami un Medico , un
Chirurgo, un Farmacista. (verso la porta ) Venite, correte...
Rosina (trattenendola ): - Ma
no, non serve, non occorre
Dorotea: - Si, che venga, che corra…
Rosina: - (Oh che martirio!) Il
mio male è nello spirito ... (forte).
Dorotea: - Oh! E l’aveste detto da
principio! E chi più di me addolorata di me nello spirito! lo son chiamata la
vedova delle belle arti.
Rosina: - L'oppressione, l'amore…
Dorotea: - Ho avuto tre mariti…
Rosina: - Vedermi senza del Padre,
incerta della di lui sorte…
Dorotea: - Il primo era un maestro di
musica, ed io veramente non n'era troppo contenta
Rosina: - Intimato un'esilio fra otto
giorni, ed esser questo l'ultimo
Dorotea: - Il secondo fu un Pittore
Rosina: - Dover abbandonare la patria,
avvilita, vittima di una calunnia
Dorotea: - Il terzo uno Scultore
Rosina: - Di unita al mio infelice
fratello
Dorotea: - Ma un quarto…
Rosina: - Oh, non mi seccate per
carità.
Dorotea: - Non ci verrà? Si che ci
verrà, e deve essere un Poeta per compire il numero dello quattro belle arti.
Rosina: - (Oh che pena!)
Dorotea: - E questo mi deve vendicare
di tutti i torti ricevuti.
Rosina: - (Io scoppio)
Dorotea: - E mi ‘e far restituire tutto
il mio
Rosina: - Ma non mi seccate più. Andate
al diavolo (forte)
Dorotea: - Ol oh, come state
arrabbiata! Si, andrò nella mia camera , e non sortiró nemmeno se casca il
mondo.
Rosina: - (Oh!)
Dorotea: - ( Che giovane indiavolata!
Eh, se non si arriva ai venticinque anni, come me, non si mette giudizio)
via
Rosina: - Manco male che se n’è
andata via… ci voleva anche questa sorda per accrescere il mio tormento. Ma,
mio Fratello non torna! Che mai sarà? Mi ha promesso che sarebbe ritornato
subito, ed intanto son più di quattro ore… Che gli fosse accaduto qualche
sinistro… Oh Cielo! Quali angustie quai palpiti son questi!.. Chi, chi vide
stato più crudele del mio?
SCENA III
Luigia , e detta
Luigia: - Mia cara amica…
(ansante)
Rosina:
Donna Luigia! Come a quest’ora?
Luigia:- Dal
correre, dal cammino mi sento mancar il respiro
Rosina: - Oh Dio !... Parlate, che
avvenne? Qualche sinistro, accidente forse
Luigia: - Purtroppo.
Rosina: - Che!... Mio Fratello
Luigia: - Una gran disgrazia gli
sovrasta.
Rosina: - Oh Cielo!! come?
Luigia: - Io l'ho fatto venire, come
saprete, nel mio casino di campagna per concertar seco lui, il modo di
acquistar la nostra felicità col render vane le trame de' nostri nemici.
Rosina: - Bene.
Luigia: - Mentre stavamo discorrendo
colà di unita al buon Gastaldo che qual secondo padre ho sempre stimato, abbiamo
sentito bussar la porta.
Rosina: - Oh Dio!
Luigia: - Il fido vecchio si è
affacciato ad un finestrino, e ci ha dato l'avviso ch’era quegli il Bargello
con i Birri… Noi abbiamo prudentemente stimato che venisse per arrestar Giulio;
lo abbiamo fatto calare per una scala di legno da una finestra opposta
nell'aperta campagna.
Rosina: - Si è salvato?
Luigia: - Si
Rosina: - Respiro. E coloro?
Luigia: - Venivano infatti per
arrestarlo d'ordine del Governatore; sono entrati hanno veduto per tutto, non
l'hanno trovato , e se ne sono andati.
Rosina: - Oh Cielo! Qual terribile sciagura per me!
Luigia: - Io son corsa subito per
darvene l'avviso e proporvi nel tempo stesso un mezzo, onde liberarvi una
volta per sempre dalle persecuzioni de' nostri nemici.
Rosina: - E quale? Parlate mia buon
amica. lo tutto son pronta ad eseguire in si fatal circostanza.
Luigia: - Il Re sta qui in Messina.
Egli è tanto buono, sente tutti, rende giustizia a tutti. Perché non ci andiamo
a buttare a' piedi suoi? È impossibile che quel cuore generoso non resti
commosso dalle vostre lagrime, e penetrato dall'evidente giustizia della nostra
causa.
Rosina: - Sì, dite bene… Ma…
Luigia: - Parlate
Rosina: - Il Governatore…
Luigia: - Che cosa?
Rosina: - E’ padre di Enrico
Luigia: - E che perciò?
Rosina: - Il mo Amante...
Luigia: - No, il vostro Amante non vien
implicato nella causa del Padre. E poi… Il Genitore… un fratello… la vostra
presente situazione…
Rosina: - Genitore! Fratello!... Oh
cari oggetti e la natura, il dovere, la religione m'impongono di difendere!...
Si, andiamo dal Sovrano.
Luigia: - Da lui solo possiamo ricever
aita.
Rosina: - Ma… e mio Fratello?
Luigia: - Egli precede i nostri passi
Rosina: - Andiamo. (stanno per
uscire , e s’incontotrano con Pulcinella)
SCENA IV
Pulcinella , e dette
Rosina: Chi sei tu?
Luigia: - Che brutta figura!
Pulcinella: - Salve famosissima
porcella.
Rosina: - Che! Qual insulto?
Pulcinella: - Seguace d'un Poeta.
Luigia: - Ma che sei qualche diavolo
tu?
Pulcinella: - L'ho dentro l'anima.
Rosina: - Esci da qui.
Pulcinella: - Vagheggiare le vostre pupelle.
Luigia: - Oh ', che tu sii ammazzato.
Pulcinella: - Abbasso al portone.
Rosina: - Va via ti dissi
Pulcinella: - Grazie.
Luigia: - Nè te ne vai!
Pulcinella: - (E mo comme l’aggio
rispondere?)
Rosina: - Va via maledetto.
Pulcinella: - (Lassame accommenzà da
capo) Salve famosissima porcella.
Rosina: - Ah birbone!
Pulcinella: - Seguace d'un Poeta.
Rosina: - Sei forse un sicario?
Pulcinella: - L'ho dentro l'anima.
Luigia: - Ma vedete quant' è ostinato!
Pulcinella: - Vagheggiare le vostre pupelle.
Rosina: - Vi caccerò con un bastone.
Pulcinella: - Abbasso al portone.
Rosina: - Oh maledetto! (lo
spingono fuori)
Pulcinella (via ridendo): - Grazie,
grazie, grazie.
Rosina: - Se n'è andato!
Luigia: - Chi sarà costui?
Rosina: - Forse qualche messo del
Governatore…
Luigia: - lo credo anzi o un ladro, o
un pazzo fuggito dall'ospedale.
Rosina: - Cosi sarà.
Luigia: - Intanto cara Rosina, non
perdiamo tempo , andiamo dal Sovrano, corriamo a’ piedi suoi, che da lui solo
possiamo avere quella giustizia che ci spetta.
Rosina: - Si, ma…
Luigia: - Che dite?
Rosina: - Non vedete... È notte, ed il
Sovrano…
Luigia: - Non dará udienza volete
dire? Non importa, aspetteremo fino a giorno. Il Governatore voi sapete che
non dorme, ma veglia, e cerca tutte le strade per rovinarci. Gli otto giorni
assegnativi sono scorsi… chi vi assicura trattenendovi qui , di qualche sua
violenza?
Rosina: - E colà?
Luigia: - E colà non avrete di che
temere. Se un sacro asilo son quelle mura per chi è delinquente, lo saranno
maggiormente per voi che siete innocente e virtuosa
Rosina: - E mio Fratello?
Luigia: - Vi dissi che precede i
nostri passi.
Rosina: - Povero fratello! Infelice
Giulio!
SCENA V
Governatore, e detti
Governatore: - Giulio non fuggirà dalle
mie mani.
Rosina e Luigia: Ah!
Governatore (a Luigia): - Siete qui
iniqua! Avete fatto fuggire il vostro amante!... Ma l’avrete tutti da far con me
Luigia: - Io non vi temo
Rosina: - E ti disprezza scellerato
Governatore: - Come!
Rosina:- Si, ti disprezza, come pur ti
disprezzano il di lei amante, e sua Sorella.
Governatore: - Insolente! Il mio
carattere!
Rosina: - È quello d'un assassino, che
non è mai sazio di vendetta
Governatore: - . Ah perfidi!.. Uscite
subito da questa casa.
Rosina: - Si, uscirò, ma per farvi
tremare. Andiamo D. Luigia.
Governatore: - No, col Bargello dovete
sortire
Rosina: - Io col Bargello!
Governatore: - Si , e subito.
Rosina: - No, non sarà mai.
Governatore: - Come!
Rosina: - Qui voglio stare.
Governatore: - . Arrogante!
Rosina: - Sto in mia casa.
Governatore: - Adoprerà la forza.
Rosina: - C'è il Re in Messina
Governatore: - E che perciò?
Rosina: - Mi appello a lui.
Governaytore: - Ed io sono? .
SCENA VI
Niccolò e detti
Niccolò: -
Un perfido, un prepotente, un assassino
Governatore:
- Ah scellerato!
Luigia: - (Niccolò!)
Rosina: - Padre, padre mio!
Niccolò: - Figlia non temere . Questo
mostro avrà finito d’insidiarti.
Rosina: - (Oh giubilo inaspettato!)
Governatore: - Scellerato! Rispetta il
Governatore.
Niccolò: - Che Governatore! Tu sei un
vile, sei la feccia degli uomini
Governatore: - Perfido! Come parli!
Niccolò: - Come devo.
Governatore: - E sei qui?
Niccolò: - Per farti tremare.
Governatore: - lo quest' istante
tutti sulla nave che deve salpar per l'indie
Niccolò: - Chi mi ci condurrà?
Governatore: - La forza.
Niccolò: - Non è possibile.
Governatore: - Come!
Niccolò: - Un’ altra forza t'impone di
lasciar subito questa casa.
Governatore: - La forza di chi!
Niccolò: - Del Sovrano.
Governatore: - Io fo qui le sue veci.
Niccolò: - Ed io te ne significo la
volontà!
Governatore: - In qual modo?
Niccolò: - Con questo venerato
rescritto. Leggilo, trema. (Lo caccia dalla stagnarola, e lo dà al
Governatore)
Governatore: - (Che mai sarà ?) legge «Il
Governatore di Messina cesserà in vista del presente di perseguitare il Pesce
Niccolò, e la sua ottima famiglia, rivocando all'istante ogni ordine dato contro
la stessa, sotto pena della nostra Sovrana indignazione. Il Re Federico
d'Aragona» (Oh rabbia!)
Niccolò: - Sopprimi dunque l'infernale
livore che t'agita, e lasciaci in pace.
Governatore ( indeciso ): - Si
Ma tu ammaliatrice donna non trionferai. Mio figlio non è per te.
Niccolò: - Ella è compensata abbastanza
nel vedersi accanto, a suo padre.
Luigia: Vendetta veramente da vile.
Governatore: - E tu pure scellerata...
Luigia: - E che, che mi potrai fare?
Forse perché il Tutore ha tutte le mie carte in mano per ciò non potrò reclamare
il mio, ed essere sposa del figlio di Niccolò?
Nicccolò: - Lasciatelo, lasciatelo
Donna Luigia questo cane rabbioso . Egli latra alla luna, perché non può
sfogarsi cogli uomini… Anche di voi è informato il Sovrano. (colpo di cannone
a mare) Che! Qual colpo è questo?
Governatore:
- Questo colpo vorrei che vi sbarbicasse dalla terra perversa genìa.
Rosina: - Ed
io che ti portasse via la cervice.
SCENA VII
Don Giustino, e detti
D. Giustino:
- Sig Governatore, avete inteso questo colpo di cannone? Esso viene da un
bastimento che sta per naufragare. Il Sovrano informato del suo pericolo
vi ordina di portarvi all’istante a mare, e far di tutto per salvarlo.
Niccolò: - Un bastimento per naufragarsi! Corro per salvare qualche infelice.
D. Giustino: - (Niccolò!)
Governatore: - Fermati, dove vai?
Niccolò: - Dove mi chiama la Natura, il
dovere, l'umanità. (per andare)
Governatore: - Tu non ci andrai.
Niccolò: - Viva il Cielo! E perche?
Governatore: - A me ha dato l'ordine
il Sovrano , e non a te.
Niccolò: - Scellerato! E c'è bisogno di
ordine per far del bene!
Governatore: - lo solo debbo eseguirlo.
Niccolò: - Tu li eseguirai per forza,
io per elezione.
Governatore: - Tu non sortirai da
questa casa.
Niccolò: - Io!
Governatore: - Nè tu , nè quanti quì
siete.
Niccolò: - Come!
Governatore: - Così vogl’io.
Niccolò: - Ma perché?
Governatore: - Cosi vogl' io.. (Troppo
mi pesa se nuovi titoli acquista costui alla benevolenza del Re)
Niccolò: - Anima scellerata! E ti
opponi?
Governatore: - A farli da qui sortire.
Niccolò: - E vuoi?
Governatore: - Che taci, ed ubbidisci.
Niccolò: - Eh che per una causa bella,
giusta come questa non vi son leggi, non vi son riguardi; e solo mi sprona a
salvar gl'infelici l'impulso del cuore, la voce d'un Dio, e il parlante dettame
della natura.
Governatore: - Ubbidisci ti dissi.
Niccolò: No.
Governatore: - Cedi alla forza.
Niccolò: - No.
Governatore: - (Oh rabbia!) Al mio
carattere.
Niccolò: - No, ti disprezzo e non ti
conosco
Governatore: - Scellerato? Bargello?
Niccolò: - Chiama chi vuoi. Non hai
che farmi
SCENA VIII.
Bargello, e detti
Bargello: - Commnnate Signò
Governatore:
- Costui non sorta da qui!
Niccolò: -
Come! Qual prepotenza!
Governatore: - Così vogl’io
Niccolò: - Ah scellerato!
Governatore: - (Ditemi D. Giustino, sa
costui che il Re è quì?...)
D. Giustino: - (Affatto, anzi ha
domandato se era tornato e gli è stato risposto di no)
Governatore: - (Dunque si lasci chiuso
in casa, ed alla nuova notte ben legato, sopra il bastimento all'Indie con tutta
la sua famiglia)
Bargello: - Signò, io sto cca.
Governatore: - Date ordine alla vostra
gente, che veglino esattamente alla porta di questa casa, acciò nessuno ne sorta
fino a nuovo mio ordine.
Bargello: - Va benissimo.
Niccolò: - Ah scellerato!
Rosina: - Qual prepotenza!
D. Giustino: - Ah sei qui buona lana!
Non esultare però, che i tuoi affari vanno male più di quel che ti figuri
Luigia: - Se sarò libera da te non
potranno andar che sempre bene.
Niccolò: - Scellerato! Il Sovrano già
ti conosce. (al Governatore)
Rosina: - E saprà quest'indegno
attentato.
Governatore: - Garrite pure a vostra
voglia. Voi non sortirete da qui.
Rosina: - Perché non possiamo sortire Sig. Governatore? Quando voi espressamente vi opponete al la volontà del
Sovrano ed a quella del Cielo non siete più un nostro Superiore; siete un uomo
infame, detestabile, un mostro…
Niccolò: - Taci, taci Rosina; saprò io
che farmi.
Governatore: - Ed io che risolvere.
Andiamo Don Giustino.
D. Giustino: - Vi sieguo. (viano)
Rosina: - Ah Padre…
Niccolò: - (dopo spiato se, se ne
sono andati, dice con circospezione) Zitti.
Luigia: - Come faremo?
Niccolò: - Non aver timore.
Rosina: - E pensate?
Niccolò: - Di sortir da qui.
Rosina: - Quando?
Niccolò: - Adesso.
Rosina: - E come?
Luigia: - La porta di strada è
guardata.
Niccolò: - Per questa cateratta.
(indicandola a terra)
Rosina: - Essa sporge nel granile.
Niccolò: - E di là per un antico
acquedotto a me solo noto in un luogo sicuro
Rosina: - E andremo?
Niccolò: - Io al mare, voi dal Re.
Rosina: - E pensate?
Niccolò: - Calar sul momento.
Luigia: - Ma se siamo sorpresi?
Niccolò: - Non temete. (apre la
cateratta)
Rosina: - Cielo, tu ci assisti.
Niccolò: - Scendete.
Luigia: - Eccomi
Rosina: - Scendo anch'io. (calano)
Niccolò: - Cielo, tu m'illuminasti;
Regola tu quest' impresa a danno de' perfidi, a bene de' miseri, ed a trionfo
dell'innocenza. (Scende e chiude la cateratta)
Fine dell’Atto Terzo
ATTO IV
SCENA I
Dorotea sola
Dorotea: - Mi pare di
aver sentito poco fa in questa stanza del romore… Qui non c’è nessuno… E
Rosina… Nella sua camera non ci sta… Che fosse sortita… Ma a quest’ora…
(Si accosta alla porta) La porta è aperta.. Vorrei veder quella strada…
(Vedendo i due personaggi che entrano) Ah!
SCENA II
Pulcinella, Isidoro, e detta
Isidoro: -
Salve famosissima puella
Pulcinella:
- (Che puozz’ire co la stanfella)
Dorotea: - (No, non son oggetti che
recano spavento)
Isidoro: - Veniamo ad ammirar le
vostre bellezze.
Pulcinella: - E a riverire le vostre
anziane pettole
Isidoro: - (Pulcinella, non dire
spropositi)
Pulcinella: - (Ca tu manco scarzie)
Dorotea: - (Sono due garbatissimi
giovani) Umilissima serva di lor Signori. (li saluta con caricatura)
Pulcinella: - (c.s.) Patrona
mia. (Vi comm' é brutta!)
Isidoro: - (Pulcinella, questa mi
sembra un’agnella)
Pulcinella: - (E a me, na vufera)
Isidoro: - (Tu non parlasti con questa
?)
Pulcinella: - (Grernò)
Isidoro: - (Dunque sbagliasti dal
nominativo)
Pulcinella: - (E tu da lo genetivo)
Isidoro: - (Perché?)
Pulcinella: - Perché è chiù brutta
chesta che no vommetivo
Isidoro: - (Ma tiene i denari)
Pulcinella: - (E servono pe li
schiattamuorte)
Dorotea: - (Parlano fra loro. Chi mai
saranno?)
Isidoro: - (Fa profonde riverenze, e
Dorotea corri sponde con caricatura)
Pulcinella: - (Vi comme so belle. Mme
pareno Niseta e Maremuorto)
Dorotea: - (All' aria mi sembrano
persone virtuose. Fossero Poeti?)
Isidoro (a Pulcinella): - (E’ entrato
il chiodo)
Pulcinella: - Te pozza trasì dint'
all'uocchie.
Dorotea: - Chi siete se è lecito?
Isidoro: - Due seguaci del Biondo Nume.
Dorotea: - Volete il lume?
Pulcinella: - (È sorda pure co salute)
Dorotea: - Eccolo là sulla tavola.
Isidoro (alzando un poco la voce):
- Voglio dire che siamo due Poeti.
Dorotea: - Ah!
Pulcinella: - Sparale na cannonata
dint'a le recchie, vi si sente.
Isidoro (forte): - Siamo due Poeti
Dorotea: - Due Poeti! Due Poeti!...
(esultando e correndo per l' allegrezza). Favorite , accomodatevi. (li
porge le sedie) (L'ho detto io che la sorte mia non era lontana
(seggono)
Isidoro:- Grazie
Dorotea: - E così, Voi venite a
sposarmi, non è vero?
Pulcinella: - (Pe me faccio passo)
Isidoro: - Sissignora.
Dorotea: - Tutti e due?
Pulcinella: (Diavolo schiattala! Vi che
sete che tene Gnoravava)
Isidoro: - Non Signore, io solo.
Dorotea: - Eh, sentite… anche avrebbe
potuto essere che foste venuti tutti e due a darmi la mano.
Pulcinella: - (Sicuro te pigliavano a
mano a mano, e te jettavamo a mare.
Dorotea: - Ne io ci avrei trovato
difficoltà ed acettarvi, perché alla morte d'uno (indicando Pulcinella)
mi avrei sposato l'altro.
Pulcinella: - (E non chiave de faccia nterra mo proprio)
Isidoro: - Che dote avete Signora?
Dorotea: - Come avete detto?
Pulcinella: - Mo é nzorduta.
Isidoro: - Che dote avete?
Dorotea: - La mia dote?
Isidoro: - Sissignora
Dorotea: - E la più ricca che si possa
dare
Isidoro: - (Buono!)
Dorotea: - Poche donzelle hanno una
dote come la mia.
Pulcinella: - (Vi che bella donzella!
S'arricorda le pedamente de la Vicaria)
Isidoro: - (Senti Pulcinella, senti, mangaremo bene)
Pulcinella: - Buono
Dorotea: - Tante sciagurate che si
maritano senza dote
Isidoro: - (Oh Dio per me non farei
questo sproposito) Ed in che consiste?
Dorotea: - In un animo ben fatto, in un
cuore gentile, in maniere adorabili.
Pulcinella: - Poè, vaje nchino
Isidoro: - (Oh che cattivo principio!)
Dorotea: - Ho due capitali poi che mi
difendono
Pulcinella: - (Sciuoglie Poeta ,
sciuoglie)
Isidoro: - Perché ?
Pulcinella: - Ha ditto che tene duje
Capitanie che la difenneno.
Isidoro: - (Scocco, Capitali, ossia
cespiti di rendita) E quali sono?
Dorotea: - Prima di tutto, tengo un
deposito
Isidoro: - Lo senti, un deposito...
Denari senz'altro...
Dorotea: - Un deposito di virtù, che
innamora anche i cani
Pulcinella: - (E co no cane te può
arremmedià!)
Isidoro: - (Oh che capitale
miserabile!) E l'altro?
Dorotea: - E l'altro sta nascosto.
Pulcinella: - Dint' a quacche scorza de
nocella.
Dorotea: - Qui (indicando la
fronte)
Pulcinella: - (Sarrà quacche dolore de
capo)
Isidoro: - Ed è?
Dorotea: - Il senno, il giudizio, la
sapienza.
Isidoro: - (Il malan che ti colga)
Pulcinella: - Ho che aje appurata la
dote te può rompere la de lo cuollo
Isidoro: - E denari?
Dorotea: - Come dite?
Pulcinella: - (Mo è nsorduta n'auta
vota)
Isidoro: - Denari , denari. (forte)
Dorotea (freddamente): Denari… Non ne
ho
Pulcinella: - (E puozz'essere accisa tu
che l'aje ditto...) Oh Poeta mia, addò simmo ammatiute
Isidoro: - Non c'è che dire:
Sempre miserie
Dovunque volgasi
Un vate misero
Deve trovar?
Pulcinella: - (gli dà un pugno) E statte
zitto
Isidoro: - Trigilisco!
Dorotea: - Sig. Poeta compagno , voi
che fate?
Pulcinella: - Niente, ho dato un
sonetto al mio Collega
Dorotea: - Dunque , quando faremo
queste nozze?
Pulcinella: - Quando ci date a
mangiare?
Dorotea: - Volete crepare?
Pulcinella: - (Schiatta tu sola,)
Isidoro: - Sig. Dorotea, voi avete una
bellissima dote, ma per me non fa.
Dorotea: - Ho capito, ho capito...Voi
vorreste quatrini.
Pulcinella: - Gnorsì, vo quatto
carrine...
Dorotea: - Sappiate, che io ho dieci
mila ducati di beni stabili, ma di questi non ne son padrona.
Isidoro: - Perché?
Pulcinella: - Perché non so li suoje.
Dorotea: - Perché mi furono lasciati in
testamento dal l'ultimo mio Marito; Il testamento lo tiene il Luogotenente del
Governatore, il quale essendo uno scellerato e vantando qualche credito sulla
eredità, ha nascosto il testamento, e si esigge ogni cosa.
Isidoro: - E voi?
Dorotea: - Ed io... Oh se avessi una
persona che andasse a parlare col Re
Isidoro: - Ci audrò io; ci parlerò io.
Dorotea: - Bravo; e la mia mano è
vostra.
Pulcinella: - Te la faje ngelatina.
Dorotea: - Andate voi, andate voi.
Isidoro: Si, ma...
Dorotea: - Che cosa?
Isidoro: -
Le forze mancano
Le gambe tremano
Il vuoto stomaco
Cerca mangiar
Pulcinella: - Oh, chesta mo è na poesia
che mme piace
Dorotea: - Che volete voi dire?
Pulcinella: - (Mo è sorda n'auta vota)
Se mure de famme.
Dorotea: - Gli duole una gamba?
Pulcinella: - (No, le fa male lo pede)
Vo mangià. (forte)
Dorotea: - Ah, volete mangiare?
Pulcinella: - (Oh, e si ca c'ha ntiso)
Dorotea: - Con tutto il mio piacere.
Pulcinella: - (E quanno lo dicive?)
Dorotea: - Venite da qui ad otto
giorni, che sarà il mio compleanno; ed allora avrete uu bellissimo pranzo
Pulcinella: - (Puozz' essere accisa) E
mo?
Dorotea: - Come dite?
Isidoro: - Noi vorremmo adesso qualche
cosetta.
Dorotea: - Volete una coscetta?
Pulcinella: - Si, portancella ch'è
bona.
Dorotea: - Ma io non tengo nulla.
Pulcinella: - (E c’aje fatto nzallanì
tanto tiempo)
Dorotea: - Se vi contentate d'un poco
di frittata avanzata dalla cena di questa sera.
Pulcinella: - Portala, e sia pure d'ova
sciacque.
Dorotea: - Il pane ed il vino poi è in
abbondanza.
Pulcinella: - E puro è buono. Fa
priesto.
Dorotea (va lo piglia): -
Aspettate un momento, che ora sarò da voi. (entra)
Isidoro: - Questa donna è ricca; io
andrò da chi si deve; le farò restituire il suo e me la sposerò.
Pulcinella: - Pensammo a mangià mo, che
de lo sposà po se ne parla
Isidoro: - Ma eccola che viene.
Pulcinella: - Se non porta robba
assaje, mme mangia a essa co tutte le rappe che tene nfaccia.
SCENA III
Dorotea con due pagnotte, due bottiglie, piatti, ec.
Dorotea: - Ecco qui il pane ed il vino.
Adesso andrò a prendere la frittata. (Accomoda la tavola, indi) Oh ,
permettete che mi prenda un po’ questo lume, perché quello di dentro s'è
smorzato.
Isidoro: - Servitevi.
Dorotea: (Si prende il lume, ed
entra)
Pulcnella - Poè, 'mme voglio piglià no
poco de pane
Isidoro: - No , è vergogna .
SCENA IV
Bargello che prima di partir Dorotea col lume sarà venuto in osservazione, e
detti
Pulcinella: - Io mo sconocchio
Isidoro: - Abbi pazienza un altro
poco...
Bargello: (Si prende cautamente il
pane ed il vin e via)
Pulcinella: - No pezzullo.
Isidoro: - Non va bene.
Pulcinella: - (va a prenderlo ,
Isidoro lo trattiene) O bene, o non bene, io ne voglio no poco.
Isidoro: - Fermati
Pulcinella: - Lassame
Isidoro: - Ecco, ecco la Sig.
Dorotea...
SCENA V
Doprotea con frittata e lume, e detti
Dorotea: - Ecco la frittata. Per la
fretta non ho nemmeno acceso il lume dentro. Accomodatevi, e scusate se… (va
a mettere sulla tavola la frittata, e resta attonita non trovandovi il pane ed
il vino)
Pulcinella: - Chę d'é? Si restata?
Dorotea: - Ed il pane?
Pulcinella: - Lo pane?
Dorotea; - Il vino?
Pulcinella: - Lo vino!
Isidoro: - Il pane, ed il vino?
Dorotea: - lo' l' ho portato , o non
l'ho portato?
Isidoro: - A me pare di si.
Dorotea: - Chi l'ha levato da su la
tavola?
Isidoro: - lo non so nulla.
Pulcinella: - Steva ccà.
Dorotea: - Come va questo?
Pulcinella: - E jo che saccio.
Isidoro (a Pulcinella): - Ah
briccone, sei stato tu?
Pulcinella: - (Si, stato tu mariuolo pe
tramente mme mantenive)
Dorotea: - Che mi fossi ingannata?
Isidoro: - (Io non ne capisco una
maledetta)
Pulcinella: - ( Vi comme la fa naturale
lo mariuolo)
Dorotea: - Basta , andrò a prendere
dell’altro (entra col lume)
SCENA VI
Bargello come prima, e detti
Pulcinella: - Poè, non me la faje chiù
(Prendendo le mani di Isidoro)
Isidoro: - Lasciami
Pulcinella: - Si, pe te piglià pure la
frittata?
Bargello: (Mette le due bottiglie
vuote sulla tavola, si prende la frittata col piatto, e via)
Isidoro: - Tu hai preso il pane.
Pulcinella: - Su stato tu mariuolo.
Isidoro: - E bene, stiamoci così
afferrati per mano, acciò nessuno di noi possa rubbare sulla tavola.
Pulcinella: - Stammoce accossì.
Isidoro: - Tu sei ghiotto.
Pulcinella: - Si marmotta tu, no io.
SCENA VII
Dorotea col lume, pane e vino, e detti
Dorotea: - Ho acceso il lume
nell’altra stanza… Ecco l’altro pane, e l’altro vino (va per metterlo a
tavola e resta sorpresa nel vedere le due bottiglie) E queste bottiglie?...
Dunque non mi sono ingannata?
Pulcinella: - E cheste da do so
asciute?
Isidoro: - Oh poveretto me! . . Puicinella, io temo di qualche cosa.
Pulcinella:- Cca ce starrà lo
scazzamauriello.
Dorotea: - E la frittata?
Pulcinella: - La frittata!
Isidoro: - La frittata!
Pulcinella: - Ah bene mio , chesta non
è cosa bona
Dorotea: - ln che mondo io sono?
Pulcinella: - Dint’a lo munno che
squaglia.
Dorotea (osservando le bottiglie):
- Queste bottiglie son vuote?
Pulcinella: - Che te pare, l'ha seccate
lo fuoco de casa de lo diavolo.
Dorotea: - Oh poveretta me! . . Signori
miei, dite la verità… Non mi fate spiritar della paura. Siete stati voi che vi
avete presa quel la robba?
Isidoro: - Noi! Affatto.
Dorotea: - E dunque chi è stato?
Pulcinella: - E’ stato lo diavolo.
Dorotea (spaventala) : - Il
Diavolo! Il Diavolo!... Oh meschina me! . Io tremo da capo a piedi… Rosina?
Rosina?... (chiamando)
Pulcinella: - Chi chiamme?
Dorotea: - (c. s.) Rosina? Rosina?...
Non risponde… Rosina?… Non ci sta… Oh poveretta me! … lo adesso moro… Il Diavolo
dunque si ha mangiata la frittata, e bevuto il vino?
SCENA VIII
Bargello col piatto in mano mangiando un residuo di frittata,
Birri, mangiando
il pane, e detti
Bargello: - Ah ah… (ridendo
sgangaratamente)
Dorotea: - Che vedo!
Pulcinella: - Ah birbante! Tu jere lo
scazzamauriello?
Isidoro: - Voi vi avete prese le
pagnotte?
Pulcinella: - Tu t'aje mangiata la
frittata?
Bargello: - Pe servirve... Ma
l'arrestate addò stanno?
Dorotea: - Chi volete voi Signore?
Bargello: - Rosina, e lo Pesce Niccolò?
Dorotea: - Come?
Bargello: - (forte ) Rosina, e
lo Pesce Niccolò.
Dorotea: - Non so… Saranno usciti
Bargello: - Asciute! Asciute!... Addò
so ghiute? Ah ca ce faccio venì no serra serra…. Caccia Rosina. (a
Pulcinella)
Pulcinella: - Tu che dice!
Bargello: - Caccia Rosina. Tu l'aje
annascosta.
Pulcinella: - La tengo dint'a lo
vorzillo
Bargello: - Vuje l'avite fatte fuì… A
buje Compagne, guardate a sti duje, ca io vaco vedenno pe la casa, e se non
li trovo, lloro mme ne darranno cunto. (via nelle camere)
Isidoro: - Noi!
Pulcinella: - E chisto è n'auto guajo
bello e buono che passammo sta notte.
Isidoro: - Per me m’armerò d'ingegno.
(Si accosta con indifferenza alla tavola, fa cadere il candeliere, opure lo
smorza, e fugge dando un urtone a Dorotea, ed a tutti gli altri) È fatto.
(via)
Dorotea: - Ah!... Mi avete precipitata
Pulcinella: - Noce de lo cuollo Poeta
Dorotea: - Portate un lume quì, che io
ho paura
Pulcinella: - Poverella fa li vierme.
Portate na cannela
Dorotea: - (Gridando all’orecchio di
Pulcinella) Un lume, un lume
Pulcinella: Statte zitte, che puozze
perdere lo zezzeniello
SCENA IX
Bargello col lume, e detti
Bargello: - Non c’è nesciuno. A buje
jammoncenne
Pulcinella: - Addò?
Bargello: Carcerate
Pulcinella: - E perché
Bargello. – Perché...E l'auto
Compagno?
Pulcinella: - (Oh Diavolo!) Poè? (
cercandolo)
Bargello: - (gridando, a
Pulcinella) Addò sta?
Pulcinella: - E io che saccio?
Bargello: - Tu me la paghe.
Pulcinella: - lo non saccio niente. (Ah
mariuolo? Se n'è fojuto , e m’ha lassato à me dint'a li guaje)
Dorotea: - Sig. Poeta compagno?
Pulcinella: - Vattenne a mmalora.
Dorotea: - Dov'è lo sposo?
Pulcinella: - Vattenne a diavolo
Dorotea: - Lo sposo?
Pulcinella: - Puozz' essere accisa
Bargello: - Cammina briccone
Pulcinella: - Non ne saccio niente
Dorotea: - Lo sposo?
Pulcinella: - Schiatta
Bargello: - Cammina. (spingendolo)
Pulcinella: - lo so Polecenella , non
so Poeta
Bargello: - (c . s.) Cammina
Pulcinella: - Oh che fuss' acciso tu,
Rosina, lo Poeta, sta casa, e io che ce so venuto. (vìano)
Dorotea: - Oh che precipizio! Oh che
nottata di casa del diavolo.
Fine dell' Alto Quarto
ATTO V
SCENA I
Marina come nell’atto II. La fontana è nello stato in cui rimase. All'alzarsi il
sipario una furiosa procella imperversa nel mare. Alfonso e Litterio a terra
facendo gran forza, tirano un battello a terra pieno di gente di diverse
condizioni, i quali gridano tutti: Ajuto ajuto
e li ajutano a scendere.
Ciò eseguito…
Alfonso: - Sommo Dio, ti ringrazio. E
chi altri mai fuorchè il Pesce Niccolo, quel celebre nuotatore, ed uomo anfibio
nel tempo stesso, avrà potuto esser colui, che tanto generosamente ci ha
liberati da si terribile naufragio?
Litterio: - Noi gli dobbiamo la vita
Alfonso: - E perché si è allontanato da
noi colla celerità d’un fulmine?
Litterio: - Egli appena intese che uno de' nostri era caduto in mare, si buttò nelle acque, e ci è sparito dagli occhi.
Alfonso: - Caro Litterio, la mia
riconoscenza per quest'uomo benefico e singolare sarà eterna
Litterio: - E chi di noi non dice così?
Alfonso: - Voglio sperare che sia
giunto in tempo per salvare quell'infelice.
Litterio: - Auguriamoci di vederlo a
momenti venir con lui
Alfonso: - Che anima grande!
Litterio: - Che uomo generoso!
Alfonso: - Vero amico dell' umanità!
Vero eroe!
Litterio: - Intanto consoliamoci, che
tra la perdita delle nostre sostanze non ci è stata quella ancora della vita.
Alfonso: - I nostri effetti mercè gli ajuti che avremo dal Governo speriamo in parte di ricuperarli, essendo generi
non suscettibili ad alterarsi nel mare.
Litterio: - Ma perché non entriamo in
Città?
Alfonso: - Aspettiamo prima che venga
il Pesce Niccolò.
SCENA II
Governatore, Soldati e Paesani che restano indietro, e detti
Governatore: - Amici, siete salvi?
Alfonso: - Si grazie al Cielo
Governatore: - Il Re ha tutta la
premura per la vostra salvezza, ed attende con impazienza di sentirne
l'adempimento.
Alfonso: - Sta qui il Re!
Governatore: - Si, venne jeri sera.
Alfonso: - Andremo tutti a buttarci a'
piedi suoi per implorare ajuto e protezione si per noi, che per chi ci ha
salvati.
Governatore: - E chi è stato costui?
Alfonso: - Un Nume sotto umane
sembianze, un...
Governatore: - No amici. Voi direte al
Re che siete salvati mercé le mie cure. lo posso molto presso la Corte, e non
vi sarà inutile la mia protezione.
Alfonso: - Ma questo non possiamo
farlo.
Governatore: - Perché?
Alfonso: - Perché verremmo a tradire la
verità, ed a mancare al dovere ed alla gratitudine.
Governatore: - (Indegni!). Via , non
siate scortesi
Alfonso: - Anzi la cortesia e
l'umanità son quelle che in questo punto ci animano e ci diriggono
Governatore: - Dunque?
Alfonso: - Non possiamo servirvi
Governatore. - (Ah per fidi!)
SCENA III
Don Giustino, e detti
D. Giustino: - Signore. Il Re viene in
persona a questa volta per animar tutti a liberar i Naufragati
Governatore: - Essi già son salvi
D. Giustino: - Un’altra notizia
Governatore: - Che cosa?
D. Giustino: - Gli arrestati son
fuggiti
Governatore: - Che dite!
D. Giustino: - Il vero. Son tutti
scappati non si sa come dalla casa dove li avete lasciati. Il Bargello in vece
loro ci ha trovati due forestieri, de quali uno è fuggito, e l'altro è in
arresto.
Governatore: - Oh che disastro!
D. Giustino: - La buona Rosina di unita
a suo fratello, ed alla mia degnissima Pupilla hanno fermato il Re per le
scale, gli si sono buttati a' piedi, e l'hanno minutamente informato di tutto.
Governatore: - (Oh colpo terribile per
me!) Ed il Padre…
D. Giustino: - Non so…
Governatore: - Ah scellerato! Ah
perverso Niccolò?
Alfonso: - Qual Niccolò?
Governatore: - Il Pesce Niccolò.
Alfonso: - Egli uno scellerato!
Governatore: - Il più perverso mio
nemico.
Alfonso: - Come parlate Signore!
Governatore: - Che!
Alfonso: - Egli è un eroe.
Governatore: - E’ uno scellerato.
Alfonso: - No , viva il Cielo, é un
eroe.
Governatore: - E voi?
Alfonso: - Tutto il sangue siam pronti
a spargere per lui.
Governatore: - E volete?
Alfonso: - Difenderlo da chi vuol
fargli un’ombra di male.
Governatore: - Sarete suoi partigiani.
Alfonso: - Si, perché giusti.
Governatore: - Pirati voi siete.
Alfonso: - No, siam gente onorata.
Governatore: - Vi farò mettere in un
carcere.
Alfonso: - Ed il Sovrano ci vendicherà
SCENA IV
Fedrico con seguito, e detti
Federico: - Gl’infelici scampati dal
naufragio in un carcere?
Alfonso: - Ah Sire... (tutti si
prostrano)
Governatore: - Maestà
Federico: - Tacete. Sono stanco di
soffrirvi.
Governatore: - (Misero me! Che
pungenti parole)
Federico: - Alzatevi. (a tutti)
Chi vi ha salvati?
Alfonso: - Il Pesce Niccolò. Sig. è
stato quell'eroe.
Federico: - E questi? (indicando il
Governatore)
Alfonso: - Voleva attribuirsene il
vanto.
Governatore: - Signore...
Federico: - Tacete vi dissi, e non
ardite di più profferire un solo accento.
Governatore: - (Ah, ch'è inevitabile la
mia rovina)
D. Giustino: - ( Ho timore che il
fulmine prenda pure questa strada)
Federico: - Si deve essere giusto , Bon
compatirlo… Ma… Il Pesce Niccolò dove sta?
Alfonso: - Appena liberati noi, si è
buttato nuovamente in mare, nè più l'abbiamo veduto.
Federico: - A qual oggetto?
Alfonso. - A salvare un povero giovine,
che in una spinta del nostro battello ebbe la disgrazia di cader in mare ed
annegarsi
Federico: - Un giovine annegato!
Alfonso: - Sí o Sire
Federico: - Infelice! E chi era
costui?
Alfonso: - Il più buono, il più
circospetto di quanti vi fossero dell'età sua.
Federico: - Era forse Mercadante?
Alfonso: No Sire, era figlio del
Governatore di questa Città?
Governatore: - (con forte grido)
Che! Mio figlio!
Federico: - Suo figlio!
Alfonso: - (Questi il Governatore!)
D. Giustino: (Oh povero amico!)
Federico: - Governatore?
Governatore: - Maestà… Perdonate… lo
più non vedo… Più non sento
Federico: - Uomo maligno! Padre
snaturato! E non sei tu la causa della perdita di tuo figlio?
Governatore: Si, Sire, io ne fui la
funesta cagione… Se la mia ambizione, se la mia crudeltà non lo avesse mandato
in terre straniere, egli vittima non sarebbe stato del naufragio, egli
vivrebbe… Ah ottimo Monarca, eccomi rassegnato a subire qualunque castigo…
Troppo tardi si è squarciata quella benda fatale che copria la ragione, lo si,
io sono reo della sua perdita. Per me Enrico, il mio Enrico è morto.
SCENA V
Rosina, Luigia, Giulio, e detti
Rosina: - Morto Enrico! (gridando)
Giulio: Taci, c’è il Re
Rosina: - Enrico è morto! Ah Sire, il
mio dolore non ha limiti; non ne impedite il più giusto sfogo ad un’anima
dilaniata. Padre barbaro, uomo perverso! Sei sazio finalmente! Vinse la tua
scellerata perfidia! Hai più fulmini da scagliare? Vi sono più vittime da
percuotere? Per te tuo figlio è estinto, per te fu oppresso mio Padre, per te quest’ infelice che ti parla piange, delira, vuota nel dolore. Ma tu mostro
spietato, non gioirai, no; sarai vittima del rimorso… Si, le mie lagrime
domandano Vendetta… lo la chiedo, la voglio, la imploro; nè sarò mai sazia se
non vedrò sopra di te tutti piombare i fulmini del Cielo, l'ira del Re,
l'esecrazione del mondo.
Federico: - (commosso) Calmatevi buona
donzella.
Rosina: - Sire, io voglio vendetta.
Federico: - Si, e l' avrete.
Governatore: - Si Maestà, fulminate,
distruggete questo perfido genitore. Troppo scellerato io fui. Scagliate sul
mio capo l'intero turbine dell'ira vostra punitrice, che tutto per me fia meno
insopportabile di quei rimorsi crudeli che mi crucciano, mi tormentano, e mi
stanno dilaniando il core.
Rosina: - E questi tuoi rimorsi
appunto sono nella presente circostanza tutto il mio sollievo.
Federico: - (lo non resisto, ed il
pianto sugli occhi mi spunta)
SCENA
ULTIMA
Isidoro, indi Niccolò ed Enrico dal mare, e detti
Isidoro: - Ah Sire, pietà
(prostrandosi)
Federico: - Alzatevi, chi siete?
Isidoro: - Sono un Vate, e vengo a
ricorrere contro il Luogotenente del Governatore.
D. Giustino: -(Contro di me! Che altro
malanno è questo?)
Federico: - Don Giustino?
D. Giustino: - Maestà…
Federico: - Anche con un Poeta ve la
siete presa!
D. Giustino: - Sire, io von lo conosco.
Isidoro: - E se non conoscete me,
conoscete Dorotea, la mia Sposa, che l'avete spogliata, e col toglierle i
documenti privata d'ogni risorsa.
D. Giustino: - (Oimè! Che cattivo tempo
si appressa!)
Federico: - Iniquo!
Niccolò: - (dal mare) È Enrico, È
Enrico.
Rosina: - Ah!...
Federico: - Qual voce!
Governatore: - Enrico!
Federico: - Presto, si ajuti, si
soccorra. (tutti si accostano al mare)
D. Giustino: - (Oh che giorno è questo
per noi!)
Governatore: - Dov'è, dov'è Enrico?
Dov'è il figlio mio?
Rosina: - (chiamando) Ah Padre, Enrico?
Governatore: - Oh Cielo, salva i giorni
del figlio, e tronca quelli del Padre.
Federico: - Egli si appressa nuotando.
(Comparisce Niccolò in mare con Enrico sulle spalle)
Rosina: - Padre, Eurico?
Giulio: - Non dubitare, Rosina, che
avremo finito di piangere.
Federico: - Ah ecolo.
Rosina: - Padre. (viene Niccolò a
terra con Enrico)
Governatore: - Enrico, figlio
mio.
Federico: - Niccolò?
Niccolò: - Maestà.
Enrico: - Sire...
Governatore: - Figlio, figlio mio
Enrico: - Che vedo! Mio Padre!
Rosina: - Enrico!
Federico: - (al Governatore) Mostro di
crudeltà ti si spezza, il cuore al dolente spettacolo di tuo figlio!
Governatore: - Sì Maestà, io son reo,
e mille morti in un punto...
Enrico: - No Sire, imploro io per lui.
Federico: - Egli è reo di mille colpe,
e la punizione lo attende
Niccolò: - Sire, perdonatelo
Rosina: - Egli è pentito
Enrico: - È mio Padre, o Sire
Niccolò: - La vostra clemenza…
Federico: - E bene, la Clemenza lo
assolve, ma non permette la Giustizia che egli più sia un di lei Ministro. Della
sua carica sia tosto spogliato ed investitevene voi invece giovine virtuoso,
che non come vostro Padre saprete sostenerla.
Governatore: - Ah clementissimo
Sovrano!
Enrico: - Ottimo Re!
Rosina: - Vero Padre de Sudditi suoi.
Giulio: - Sire, D. Giustino...
Isidoro: - S. Maestà , che renda tosto
le carte di Donna Dorotea , e che scarceri un povero mio Compagno arrestato ,
innocentemente la scorsa notte in casa di Niccolò.
Federico: - Tutto rientrerà
nell'ordine. Quest'iniquo con un esilio perpetuo dagli stati miei avrà cessato
di opprimervi; un felice imeneo ottimi giovani annoderà le anime vostre, ed
il generoso Niccolò diverrà l’oggetto perenne delle mie beneficenze.
Niccolò: - Nel seguire la virtù, nel
difendere gl'innocenti, nel servire il Sovrano ottenne ed otterrà sempre
Niccolò il suo maggior compenso.
FINE
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