Riassuntiva, da Kircher e altri

Il Palombaro

C'era, nel regno di Federico, in Sicilia, un nuotatore molto famoso, chiamato Nicola, ma più chiamato dal popolo con il nome di Pesce Cola, o Nicola il Pesce.
La grande abilità nel nuoto, unita a un'eccellente resistenza all'immersione, erano i mezzi con cui si guadagnava un magro sostentamento, vendendo pesce, conchiglie, coralli e altri prodotti estratti dagli abissi.
Trovava così tanto piacere nell'acqua che spesso rimaneva quattro o cinque giorni in mare, senza altro cibo che il pesce crudo che riusciva a pescare. Portava messaggi dalla Sicilia alla Calabria e si dice che più di una volta si sia spinto fino alle isole Lipari.
Più volte le navi dirette in Calabria lo incontrarono in mezzo al mare in tempesta, tra l'ammirazione dei marinai, che lo presero per un mostro marino, finché, conosciuto da alcuni, fu imbarcato sulla loro nave. Quando gli si chiedeva dove andasse con un tempo così burrascoso, di solito rispondeva che aveva delle lettere da portare in qualche città. Era solito conservare queste lettere in una custodia di cuoio, che chiudeva con grande abilità, in modo che l'umidità circostante non le distruggesse.
Dopo un pasto felice e dopo essersi congedato dai marinai, si immergeva nuovamente negli abissi.

Si dice anche che, a causa della sua costante permanenza in acqua, acquisì una natura simile a quella di un anfibio, che le sue mani e i suoi piedi fossero ricoperti da pelli palmate, come quelle delle oche, e che i polmoni si fossero talmente dilatati da contenere tanta aria quanta ne sarebbe stata necessaria per vivere sott'acqua per un giorno intero.
Quando il re di Napoli si andò a Messina e sentì parlare delle meraviglie di questo palombaro, per curiosità ordinò che gli venisse mostrato, cosa che avvenne dopo che lo si era cercato a lungo per mare e per terra.
Poiché il re aveva sentito parlare molto della particolarità del gorgo vicino, il Cariddi, ritenne che non potesse ripresentarsi un'occasione migliore per indagare la natura interna delle sue parti. Ordinò a Nicola di scendere sul fondo e, notando che quest'ultimo non era molto disposto a eseguire i suoi ordini, con il pretesto di un grande pericolo, che solo lui conosceva alla perfezione, ordinò, per dargli più coraggio nel portare a termine l'impresa, che venisse gettata una coppa d'oro in questo luogo, che sarebbe stata sua se avesse avuto la fortuna di prenderla.
Nicola, spinto dall'avarizia, accettò la condizione e si tuffò nelle onde vorticose. Rimase sott'acqua per tre quarti d'ora, durante i quali il re e il suo seguito rimasero in trepidante attesa sulla riva.
Alla fine fu portato a galla con grande violenza dalle onde, tenendo in mano la coppa d'oro con una sorta di trionfo. Fu portato a palazzo, stancato molto dalle fatiche; ma, rinvigorito da un buon pasto di mezzogiorno e da un breve sonno, si presentò presto al cospetto del re, con il quale rispose alla domanda:
- Che cosa aveva trovato in fondo al mare?

Rispose così:
- Potentissimo principe, ho eseguito i tuoi ordini, ma non li avrei eseguiti, anche se mi avessi promesso tutto il tuo regno, se avessi saputo in anticipo cosa avrei trovato nell'abisso. In questo modo ho commesso un'imprudenza più grande di quella di non obbedire agli ordini del mio principe

Quando il re gliene chiese la causa, egli rispose:
- Vostra Maestà deve sapere che quattro cause rendono questo terribile abisso del tutto inaccessibile, non solo ai subacquei come me, ma persino ai pesci.
In primo luogo, le onde che scrosciano e ribollono dagli abissi più profondi con una forza tale che nemmeno l'uomo più forte può sfondarle. Non potei resistere nemmeno io e fui costretto a scendere in cerchi storti.
In secondo luogo, la grande quantità di rocce che incontravo ovunque e alle quali non potevo avvicinarmi senza un evidente pericolo per la mia vita, o almeno senza temere di essere schiacciato se fossi stato spinto contro di esse.
In terzo luogo, i gorghi delle acque sotterranee, che sgorgano dalle caverne più interne delle rocce con una violenza impressionante, provocando un pauroso concorso di onde contrarie, in grado di privare un uomo dei suoi sensi solo alla vista del ribollire.
In quarto luogo, la moltitudine di polpi mostruosi che, allungando le loro braccia sui lati delle rocce, mi riempirono del più grande terrore. Ne vidi uno il cui corpo era più forte di quello di un uomo. Le sue braccia erano lunghe tre metri e se mi avesse stretto tra di esse, sarei morto per la paura della sua presa. Nelle grotte rocciose adiacenti dimorano pesci della specie più feroce, chiamati cani.
Le loro mascelle sono armate di una triplice fila di denti, di dimensioni non dissimili da quelle dei delfini. La loro furia è tale che qualsiasi cosa prendano tra i denti va perduta, perché nessuna sega, per quanto affilata, può eguagliare la potenza di taglio di queste zanne mostruose.


Dopo aver raccontato queste cose, gli fu chiesto come avesse fatto a trovare la coppa d'oro così velocemente. Rispose che non aveva raggiunto il fondo a causa del forte deflusso e afflusso dell'acqua, ma era stata sballottata dalla forza delle onde e l'aveva trovata nella cavità di uno scoglio. Se la coppa fosse caduta sul fondo, dichiarò che era del tutto impossibile trovarla in un mare così turbolento. Aggiunse che, inoltre, la profondità del mare causava la completa oscurità e, dopo essere stato interrogato sulla natura del fondo, rispose che era intersecato da innumerevoli rocce e che le correnti, scorrendo dentro e fuori, tra i grovigli di radici, formavano in superficie i gorghi che i marinai trovavano così pericolosi per le loro navi.
Gli fu quindi chiesto se avesse il coraggio di scendere per la seconda volta sul fondo del Cariddi.
In un primo momento rifiutò; ma poi, sopraffatto da una seconda coppa di maggior valore, che era stata riempita d'oro e lasciata cadere nello stesso punto, si tuffò per la seconda volta nei vorticosi gorghi.
Ma non riapparve più, probabilmente trascinato dalla violenza delle correnti, tra i labirinti di queste scogliere nascoste, o inghiottito dai pesci che tanto temeva.
 

 

 

Christian Carl André
Hesperus, rivista nazionale per lettori istruiti
Vol. II Luglio-dicembre, pag 446-446
Brno
1813

 


In precedenza pubblicato sulla rivista "Erholungen, ein thüringes Unterhaltungsblatt für Gebildete", primo volume n. 10 del 1° febbraio 1812 (pp. 42-44).

 


 

Der Taucher


 

Es ist höchst anziehend, die erste Veranlassung treffiicher Gedichte zu kennen. Gewöhnlich hat man den Genuss zu sehen, wie überraschend, des Dichters Geist durch Unbedeutendes berührt, das köstliche Gebilde seiner Phantasie uns entfaltet worden. So wird auch gewiss keinem Leser unangenhem sein, hier die Geschichte zu lesen, der wir Schillers
herrliche Ballade: der Taucher, zu verdanken haben (Sie ist übersetzt aus: Letters From Portugal, Spain etc. bv Chr. Hervev Esq. London, 1785).


“Es befand sich, unter der Regierung Friedrichs, in Sizilien ein sehr berühmter Schwimmer, Nikolaus genannt, doch mehr genannt unter dem Volke durch die Benennung Pesce Cola, oder Nikolaus der Fisch. Die grosse Fertigkeit im Schwimmen, verbunden mit einer vorzüglicher Starke im Untertauchen, waren die Mittel durch welche er sich einen dürftigen Unterhalt, mit Verkaufen von Muscheln, Korallen und anderen aus der Tiefe gezogenen Produkten, verschaffte.
Er fand soviel Vergnügen an dem Wasser, dass er oft vier bis fünf Tage in der See blieb, ohne andere Nahrung als die rohen Fische, die erhaschen konnte. Er pflegte gewöhnlich Botschaft von Sizilien nach Calabrien zu bringen, und man erzahlte, dass er mehr als einmal bis an die Liparischen Inseln vorgedrunghen sei. Mehrmals trafen ihn nach Calabrien segelnde Fahrzeuge, in der Mitte der stürmischen See, zur Bewunderung der Matrosen, die ihn für ein Seeungeheuer hielten, bis er, von einigen gekannt, an Bord ihres Schiffes genommen wurde.
Als man ihn frug, wo er bei so stürmischem Wetter hinwolle, antwortete er gewöhnlich, dass er Briefe nach irgend einer Stadt zu bringen habe. Diese Briefe pflegte er in einem ledernen, mit viel Kunst verschlossenen zu bewahren, damit nicht die umgebende Nässe sie vernichte. Nach einer frohen Mahlzeit, und nachdem er von den Matrosen Abschied genommen, stürzte er sichwieder in die Tiefe. Es wird ebenfalls gesagt, dass er von dem beständigen Aufenthalt im Wasser eine Amphibien änliche Natur bekommen habe, dass Schwimmhaute, wie die Gänse, an seinen Händen und Füssen gewachsen wären; mit einer solchen Ausdehnung der Lunge, dass so viel Luft hätte enthalten können, als erforderlich wäre, einen ganzen Tag unter Wasser zu leben.

Als der König von Neapel in Messina war, und von den Wundern dieses Tauchers hörte, befahl er, in einer Anwaldlung von Neugierde, ihm denselben vorzuführen; was auche, nachdem man ihn lange in ser See und auf dem Lande gesucht hatte, geschah. Da der König viel von der Eigentülichkeit des benachbarten Strudels, der Charibdis, gehört hatte, glaubte er eine bessere Gelegenheit, die innere Beschaffenheit seiner teile zu erforschen, könne sich nicht wieder darbiten.
Er befahl Nikolaus auf den Grund hinabzusteigen, und da er bemerkte, dass dieser nicht sehr bereitwillig war seine Befehle vollzuziehen, unter dem Vorwande dergrosser Gefahr, die er allein vollkommen kennen wollte, befahl er, um ihm mehr Mut zur Ausführung dieses Unternehmens zumachen, einen goldenen Becher an dieser Stelle hinunter zu werfen, der ihm gehören sollte, wenn er so glücklich wäre ihn zu erhaschen. Nikolaus, vom Geiz angetrieben, ging die Bedingung ein, und stürzte in die wirbelden Wellen. Er blieb drei Viertelstunden unter Wasser, während dieser Zeit der König und sein Gefolge in ängslicher Erwartung am Ufer standen. Endlich wurde er mit grosser Heftigkeit von den Wogen emporgetragen, den goldenen Becher mit einer Art von Triumph in der Hand haltend. Er wurde, von den Anstrengungen sehr ermüdet, in den Palast gebracht; erschien aber, durch ein gutes Mittagsmahl, und ein kurzen Schlaf gestärkt, bald vor dem Könige, mit dem er auf die vorgelegte Frage:
- was er auf dem Grunde der See gefunden habe?

Folgendes erwiderte:
- Mächtigster Fürst, ich habe Ihre Befehle ausgeführt, doch nimmehr würde ich sie erfüllt haben, selbst wenn Sie mir Ihr ganzes Königreich versprochen hätten, wenn ich vorher gewusst hätte, was ich in den Abgrunde finden würde. Ich beging dadurch eine grössere Unbesonnenheit, als durch die Nichtbefolgung der Befehle meines Fürsten.

Als ihn der König um die Ursache fragte, antwortete er:
- Ihre Majestät müssen wissen, dass diesen schrecklichen Schlund vier Ursachen, nicht nur Tauchern wie ich, sondern selbst Fischen, ganz unzugänglich machen.
Erstens, die aus den tiefsten Abgrunde miteiner solchen Gewalt heraus brausenden und kochenden Wellen, dass selbst der stärkste Mann sie nicht durchbrechen kann. Auch konnte ich mich nicht widersetzen, und wurde genötigt in schiefen Kreisen hinab zu steigen. Zweitens, die grosse Menge von Felsen, die ich überall antraf, und denen ich mich nicht nahen konnte, ohne die augenscheinlichste Gefahr für mein Leben, oder wenigstens ohne zu fürchten sehr gequetscht zu werden, wenn ich gegen sie gestossen würde. Drittens, die Strudel der unterirdischen Gewässer, die mit einer erstaulichen Gewalt aus den innersten Höhlen der Felsen hervorströmen, welches einen fürchterlichen Zusammenfluss von entgegenwirkenden Wellen verursacht, fähig einen Menschen bloss durch den Anblick des Siedens seiner Sinnen zu berauben. Viertens, die Menge von ungeheuren Polypen, welche an den Seiten der Felsen mit ihren weit ausgestreckten Armen, und mich mit den grössten Schrecken erfüllten. Einen sah ich, dessen Kürper stärker war, als der eines Mannes. Seine Arme waren zehn Fuss lang, und wenn er mich zwischen diese gepresst hätte, wäre ich, aus blosser Furcht vor seinem Zugreifen, schon gestorben. Fische von der grimmsten Art, Seehunde genannt, haben ihren Aufenthalt in den angrenzenden Felsenhühlen.
Ihre Rachen sind mit einer dreifachen Reihe von Zähnen bewaffnet, und in Ansehung der Grösse denen der Delphine nich unähnlich. Ihre Wut ist so gross, dassalles, was sie zwischen ihre Zähne erwischen, verloren ist, da keine Säge, sie mag auch noch so scharf sein, der schneidenden Kraft solcher ungeheueren Fangzähne, gleichkommt.


Nachdem er diese Dinge berichtet hatte, wurde er gefragt, wie er so schnell den goldenen Becher habe finden können. Er antwortete: dass derselbe wegen des starken Abund Zuströmens des Wassers nicht bis auf den Grund gekommen sei, sondern durch die Kraft der Wellen hin und hergeworfen, habe er ihn in der Höhlung einer Klippe gefunden. Wäre der Becher bis auf den Grund gefallen, so erklärte er es für ganz unmöglich, ihn in einer so brausenden See zu finden. Er fügte hinzu, dass überdem die Tiefe der See eine gänzliche Dunkelheit verursacht, und, nachdem man ihn in Betreff der Beschaffenheit des Bodens befragte, antwortete er, dass es mit unzähligen Felsen durchschnitten sei, und die Wellen, durch das Herein und Herausströmen, zwischen den Wurzelgeflechten, auf der Oberfläche die Strudel bildeten, welche die Matrosem für ihre Fahrzeuge so gefährlich gefunden haben.
Er wurde hierauf gefragt, ob er Mut genug habe, zum zweiten Mal auf der Boden der Charibdis hinabzusteigen. Erst weigerte er sich; dann aber, durch einen zweiten becher von grösseren Wert, den man mit Gold angefüllt und an derselben Stelle hinuntergelassen hatte, überwunden, stürzte er sich zum zweiten mal in die wirbelden Strudel.
Aber nie kam er wieder zum Vorschein, wahrscheinlich von der Gewalt der Ströme, zwischen den Labyrinthen dieser verborgenen Klippen, weggeführt, oder von den Fischen, die er so fürchtete, verschlungen”.

 

 

Serausgegeben von Christian Carl André in Brünn
Hesperus ein Nationalblatt fur gebildete leser
1813
 


Aus der Zeitschrift “Erholungen, ein thüringes Unterhaltungsblatt für Gebildete”,
erster Jahrgang 1812 No. 10 vom 1. Februar 1812 (Seite 42-44)

 

 

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