Giardino del piacere e delle statistiche dell'India orientale e occidentale,
nonché cinese, con un discorso preliminare su cose
molto divertenti di Francisci
-
Conversazione e introduzione alle Indie orientali ed
Occidentali
e anche del giardino del piacere cinese
-
Sono delicatamente usati per
decorare l'altare
[...]
-
Notte, un altro giorno, stanotte, si vedono nei loro occhi; senza dubbio, che
la piacevole novità della loro collaborazione è durata così a lungo.
Il poco che io, in questo momento, e i miei due illustri ascoltatori abbiamo
l'opportunità di contribuire, consisterà all'incirca in questo: che ascolteremo
le riflessioni degli altri su questo tema e infine faremo la nostra conclusione
finale.
Tuttavia, prima di iniziare una cosa del genere , e prima di risalire con la
lingua di fuori dal fondo del mare, voglio raccontare ancora una storia molto
strana, attraverso la quale la disuguaglianza del fondo marino, insieme ad
altro, è apparentemente confermata , e spero , che voler approfondire non urti
la vostra pazienza.
- Nient'altro,
(rispose Angelott,) può urtare la nostra
pazienza, neppure ciò, di cui si vuole scusare, e fare tante premesse, in una
faccenda così coinvolgente.
Loro dicono: Ascoltiamo.
Memorabile racconto di un
nuotatore siciliano
Allora Sinnesbald cominciò a parlare nel modo
seguente.
Durante la vita e il
regno del re Federico, avvenne in Sicilia questa meravigliosa storia.
C'era allora, in Sicilia, un abilissimo nuotatore e famosissimo
soccorritore acquatico, di nome Niclas; grazie alla sua grande perizia nel nuoto
la gente gli attribuì un soprannome: si sa, che fosse chiamato comunemente
Pescecola (ma
anche, Niclas il Pesce).
Quest'uomo, sin dall'infanzia, ha iniziato a nuotare,
e, per così dire, quasi si accompagnava con i pesci, trascorrendo la maggior
parte del tempo in mare e raccogliendo Ostriche, mitili, coralli, e cose del
genere che abitano sul fondo, che poi vendeva per sostenersi con il ricavato.
Era così appassionato di pescare le cozze, che spesso rimaneva in acqua per
quattro o cinque giorni, e, per calmare la fame, mangiava pesce crudo.
Svolgeva l'attività di postino andando fino in Calabria e tornando sempre a
nuoto. Si dice che, più di una volta, avrebbe
attraversato a nuoto le isole Lipari.
Una volte una nave
lo incontrò, in mezzo al mare
tempestoso, nei pressi della Calabria, e i marinai in un primo momento
pensarono di vedere un meraviglia del mare, ma poi alcuni lo riconobbero, fu
portato sulla nave e gli chiesero: dove pensi di andare in un
mare così turbolento?
La sua risposta è stata:
- Porto
(a non so quale città) lettere.
- Lettere?
- chiese Floris e si mise a ridere
- come faceva a
tenerli intatti nell'acqua?
-
Perché no?
- disse Sinnebald -
Venivano messi in
un zainetto di pelle, ben chiuso con un lucchetto e una
catena.
Dopo essersi ben nutrito con cibo e bevande, si congedò
dai marinai e si gettò di nuovo tra le onde.
Si dice che questo Nicola
abbia mutato la sua natura, attraverso il costante
dimorare dell'acqua, e che il suo aspetto da umano sia
diventato più simile ad un animale capace di vivere in terra e in acqua
(Anfibio). Mutò aspetto: tra le dita gli crebbe una membrana simile a quella
di un piede di un'oca, così che potesse nuotare meglio; anche i suoi polmoni si
sono espansi e allargati a tal punto da trattenere abbastanza aria da farlo
stare un giorno intero senza riprendere fiato.
Relazione del soccorritore in acqua
dalla condizione pericolosa intorno al fondo del Cariddi
Quando il re di Sicilia
soggiornò per un po' a Messina e sentì dire cose incredibili su questo
nuotatore, gli venne voglia di vederlo e di parlare con lui. Dopo una lunga
ricerca per terra e per mare, finalmente lo incontrò.
Ora,
il re aveva sentito molte cose strane della vicina Cariddi
(è una gola molto pericolosa nel mare di Sicilia,
altrimenti chiamata dai locali Calofaro o La Rema)
e non volle perdere l'occasione di poter indagare di com'era conformato il
fondo marino dello Stretto; poiché, per tale compito, nessuno era più abile di
questo Pesce Nicola o
Nicola il pesce,
comandò a costui di tuffarsi e questi lo fece,
grazie alle sue spalle fortii, affrontando con coraggio
il grande pericolo, che nessuno tranne lui conosceva davvero, invogliato
dalla promessa che avrebbe avuto in dono, se l'avesse recuperata, la coppa
d'oro che il re gettò in mare.
L'oro fa miracoli, perché rende gradevole il disprezzabile, sminuisce il
pericolo, come se fosse visto da una sottile lente;
rende coraggiosi i timidi, cordiali gli stupidi e i timorosi, aquile le lente
lumache, facile la pesca; ed è il balsamo più potente, se lo strofini sotto il
naso di un avaro, tanto da diventare il distillato e la quinta essenza della
sua anima.
Questo effetto fece a Nicola, con la sua sottile tentazione a cui facilmente
cedette, appena ebbe ritrovato il coraggio e la esortazione del re, vale a dire
la promessa che la coppa d'oro sarebbe stata la ricompensa alla sua fatica,
perse ogni misericordia verso se stesso e piuttosto cominciò ad aver pietà della
mirabile coppa se fosse rimasta a giacere nell'oscuro abisso, sotto l'acqua
profonda. Quindi, non ci pensò
più e si gettò nel profondo dell'acqua, e l'oro fu il magnete, che lo tirò giù
con la stessa veemenza dell'acqua che cade da un crostone nelle gole.
Rimase sott'acqua, per tre quarti d'ora, mentre il re e tutti quelli che gli
stavano accanto attendevano con bramosia il suo ritorno. Finalmente
tornò con grinta, dal fondo della gola sconnessa e con grande slancio si fece
avanti trionfante facendo oscillare la coppa con la mano.
Venne poi portato al palazzo reale e, poiché il tuffo lo aveva stancato, prima
di tutto venne rifocillato con cibi e bevande; poi andò a
letto per riposarsi un po'.
Dopo ciò venne portato in presenza del re, il quale gli chiese che venisse
riferito tutto ciò che aveva visto sul fondo del mare.
Si dice che abbia ricevuto questa risposta:
- Clemente re: ciò che Vostra Maestà ha comandato
ho fatto. Ma, non avrei mai obbedito al suo comando se avessi saputo prima ciò
ora so, anche se mi avessero promesso me l'avevano
promesso anche gli aiutanti del regno. Ho agito con
grande audacia , considerando temerario non obbedire al comando del re.
Quando il re volle sapere perché
aveva accettato una così grande promessa,
insinuò:
- Forse per amore dell'acqua?
Così parlò, ancora, Nicola:
Vostra regale maestà, questo posto è talmente
impenetrabile che impedisce non solo ai subacquei, ma anche agli stessi pesci
di arrivarci, tanto è pericoloso e
terrificante.
Ora, ci sono quattro cose da sapere.
La prima è l'impetuosità e la violenza di una corrente, che sgorga dalle
profondità abissali del mare, a cui difficilmente può resistere la persona più
forte, che io stesso non posso superare, tanto che mi
costringe a scendere sul fondo attraverso un altro lato o a fare deviazioni.
Un'altra cosa, la moltitudine di rocce e scogli, che si incontrano di tanto in
tanto, sul cui fondo io, non senza avvertibile pericolo di vita, sono giunto.
Terza cosa: un fiume rombante sotterraneo, che , con foga violenta , sgorga in
mezzo alle rocce: la cui corrente, ora contraria ora a favore, con gorghi e
ruscelli d'acqua così terribili, che, per la sola paura, ne verrebbe da morire.
La quarta cosa: la moltitudine degli immensi polpi con molti piedi, che si
aggrappavano ai fianchi delle rupi, e, con le braccia distese in lungo e in
largo, mi facevano rabbrividire: sotto mi sono reso conto di uno, che aveva il
corpo più grosso di un essere umano e suoi arti non erano meno di un metro di
lunghezza, e, se mi avessero preso, senza dubbio con il loro semplice abbraccio,
come bande mortali, mi avrebbero preso e soffocato.
Nei vicini angoli e antri delle rocce hanno la loro dimora pesci tremendi, che
si chiamano Pescecani detti cane, e sono armati di una triplice fila di denti,
per corporatura sono del tutto paragonabili ai delfini. Per
la loro furia e ferocia si può essere certi di morire
quando qualcuno cade sotto le sue affilate zanne predatorie, perché nessuna
sciabola, né spada, può essere così tagliente o
appuntita quanto il morso di questi enormi pesci di mare, che è in grado di
tagliare qualsiasi cosa.
A queste parole, Sinnebald ha dovuto rallentare un po' il flusso del suo
racconto e rivolgendosi al capitano della nave disse:
- Ha mai visto davvero un pesce
del genere?
Il capitano rispose:
- Anche se ho
viaggiato in lungo e in largo non li ho mai visti vivi
Rapporti sul pescecane
-
Voglio, rispose Sinnebald,
dare un piccolo contributo alla storia del pesce Nicola.
Andava in giro a portare un messaggio, per delle
persone, andava alla ricerca di un pese-cane o cane-pesce.
E' vero che il nome di cane viene utilizzato per
diversi pesci predatori, ma quello che il palombaro
Nicola cercava così ardentemente era senza dubbio della specie più grande; un
pesce molto grosso e mangiatore di tutti gli altri pesci che
finiscono nelle sue fauci insaziabili. Perché
anche il tonno più grande, per taglia, non può essere paragonato.
A volte diventa così pesante e massiccio, che quando è posto su un carro a
malapena due cavalli riescono a trainarlo.
Rondeletius ne ha visto
uno di circa mille libbre. Un altro ha scritto che la gente gli disse che
pesavano quattromila libbre. Catturato,
nella pancia di uno venne trovato un uomo intero. Analogamente, quelli di
Marsiglia gli avevano fornito testimoni credibili sul ritrovamento di un uomo
in armatura, presumibilmente divorato dopo l'affondamento di una nave da guerra.
Borbe di nome Rondeletius ne vide un altro sulla riva vicino a Rochelle in
Francia, la cui bocca e gola erano capaci di contenere un uomo grande e grasso,
in modo tale che, se la bocca rimaneva spalancata e il resto del corpo coperto,
i cani terreni potevano entrare nello stomaco attraverso di essa, e ciò che
l'enorme pesce non aveva ancora digerito poteva mangiare.
Il che gli fece pensare che il pesce che inghiottì il profeta Giona doveva
essere di questo genere: ma che le sacre scritture lo avevano collocato tra le
Balene, che, ferme, possono essere viste solo grazie alle loro immense
dimensioni.
È ancora incerto, se le Scritture, di un qualsiasi
profeta-linguista, abbiano effettivamente parlato di una
balena; ed è più probabile che tutti i pesci di peso e dimensioni immense
possono essere stati chiamati con questo nome.
Infatti c'è una grande differenza tra la balena e il pesce cane, non solo nelle
dimensioni, ma anche nella formazione del corpo e delle sue parti.
Per Aristotele, pesci balena sono in realtà chiamati tutti i grandi pesci che,
senza uova (o bottarga), espellono i loro piccoli vivi, e traggono il loro
respiro abbastanza facilmente attraverso l'organo giusto del respiro, cioè
attraverso i polmoni. Tuttavia, la
parola balena non è abbastanza diffusa nella nostra lingua tedesca, come pure
tutti pesci chiamati cetacei, di cui parla Aristotele. Ma,
il pesce-cane, pur generando piccoli vivi, in origine ha delle uova e non ha
polmoni.
La bocca di questo pesce-cane non tocca il muso, ma, come per gli altri cani,
nella parte superiore della bocca si trovano denti duri come il ferro e a tre
tagli, che hanno spine dentellate su entrambi i lati, come una sega, e sono in
ordine sestuplo.
Quelli della prima fila sporgono e sono piegati in avanti: quelli delle altre
file sono solo dritti. I denti si arricciano verso la
bocca e sono ricoperti su entrambe le mascelle da una carne tenera. Ogni
mascella ha due file di 70 denti e quindi entrambe ne hanno centoquaranta in
tutto.
Per quanto riguarda il resto del corpo, come sostiene Bellonio, la pinna dorsale
è corta e larga; le pinne pettorali sono molto più grandi che in altri pesci;
in altri casi possono avere pinne più piccole. Altre due
pinne, una sopra l'altra sotto il corpo, si trovano non lontano dalla coda. Le
pettorali si trovano subito dopo l'orecchio e le ventrali vicino all'ano; e ce
n'è un'altra al centro del dorso. Il cranio stesso non è troppo spesso e ha
anche una spina dorsale. Pinne oscillanti o fluenti,
della lunghezza di una freccia.
La pinna caudale nella parte superiore è più
elevata rispetto all'inferiore ed ha l'aspetto della luna crescente.
Nella parte posteriore delle pinne vi sono degli aculei rivolti verso
l'alto. La pelle è ruvida, gli occhi grandi e rotondi, lo
stomaco e la gola larghi ed enormi. Questo pesce-cane vive nelle profondità
marine, ma a volte risale un corso d'acqua quando va a caccia di pesci.
Sì! a volte, cattura anche i pesci in mezzo alla rete e li divora. Nel
mare di Sicilia entra nelle tonnare, nel momento in cui si vedono i tonni, e ne
fa una grande strage, ma rovina e rompe anche le trappole
per pesci più forti, per quanto profondamente e saldamente siano infisse nel
terreno. Anche questo predatore di
pesci di questa regione non è così grande come Bellonio lo fa credere.
Tanto che in Sicilia non è' proprio più grande di un tonno. In compenso
sa come rompere con maestria le reti e le trappole; pertanto i pescatori gli
danno una caccia spietata. Ad Atene è chiamato mangiatore di uomini, perché è
desideroso più di carne umana che di altro cibo. A Palermo, come testimonia
padre Gaspar Schottus, nel periodo in cui lui si trovava lì, ne fu trovato uno
che aveva nello stomaco la mano di un ragazzo, divorata
di recente. In un altro fu trovato un grosso pezzo di
testa di bue, completo di corna.
E' successo che un quarto di una gru morta
venne messa in una pozza e che
dopo un po' finì in mare. Subito, uno squalo fu attratto
dal rosso e dall'odore del sangue. Per impedire una rapida
cattura la carogna venne appesa a diverse spanne
sopra l'acqua, ma, lo squalo la
prese in un attimo, balzando in alto come se fosse stato un pesce piccolo e
leggero, mordendola a sangue grazie ai denti affilati.
Dei pesciolini, chiamati Remore, stanno sempre attaccati alla squalo, il
quale non riesce a cacciarli via, e si nutrono dei resti delle prede catturate.
- E' giusto, disse
Floris, da noi questi pesci cane vengono chiamati
pescecane, in Brasile Iperu
e in Portogallo Tiburon
E proprio qui, Sinnebald ha ricominciato:
- Il
Signore mi riporta alla mente, cosa un certo autore mi ha detto.
Lo squalo brasiliano è descritto come segue: la lunghezza di tutto il corpo
fino alla coda è di sei piedi e la coda di due. In
bocca ha una tripla fila di denti, che sono grandi e triangolari, come i denti
di una grossa sega; e ogni dente è a sua volta ricoperto da altri denti più
piccoli, in uno se ne sono contati 122.
Su tutto il corpo, la sua pelle é così ruvida e tagliente che con essa si può
piallare una tavola di legno essiccata. Lo spessore del
suo corpo é di due piedi, la carne é bianchissima, ma dal
sapore molto forte, e viene mangiata dai marinai;
gli esemplari più giovani hanno un gusto migliore.
Inoltre, lo stesso autore scrive di aver visto più di venti volte che un forte e
grosso cane o mastino è stato mangiato da uno squalo; così come un cane ha
avuto entrambe le zampe posteriori, insieme alle natiche, portate via con un
solo morso.
E' molto pericoloso per gli uomini che entrano in acqua senza fare attenzione,
in quanto viene aggredito facilmente.
Un'annotazione del Pisoni su questo autore, fa riferimento ad uno scheletro,
descritto da una tesi di laurea sui pescecani, in cui la mascella superiore e
quella inferiore hanno una sestupla fila di denti, appuntiti e affilati
lateralmente, per oltre trecento denti, senza contare quelli più piccoli, per
cui la bocca è molto spaventosa.
Esistono anche diversi tipi di squali più piccoli; come quelli chiamate squalo
siluro e squalo grigio
(schoer ?)
Barche martoriate da un
attacco di squalo
Un caso sfortunato si è verificato nella
navigazione sotto l'ammiraglio Peter Wilhelm Verhufens.
Infatti, quando nel porto di Goer, che si trova a
30 miglia da Malacca, alcuni marinai di navi olandesi facevano il bagno,
all'improvviso uno squalo molto grande, da sotto la nave, schizzò fuori
dell'acqua e assalì un barcaiolo, di nome Matthias Junkers di Frisia,
ferendolo in modo orribile, tanto che l'intera gamba sinistra e parte
dell'intestino pendeva dal suo corpo. Quest'uomo, che
era stato così brutalmente colpito, fu strappato vivo dalla gola del pesce e
portato in una barca che si trovava accanto alla nave; dopo mezz'ora perse lo
spirito, ma riuscì a vedere la vendetta sul suo assassino prima di
morire. Infatti, mentre era ancora vivo, gli olandesi catturarono lo squalo con
un amo di ferro, a cui appesero un grosso pezzo di carne. Quando catturarono
questo malefico animale, gli tagliarono la testa e la coda, poi aprirono il
corpo e trovarono tutto ciò che aveva morso, e lo seppellirono sulla terra con
il cadavere del defunto; ma il pesce predatore, che era lungo dodici piedi e
mezzo e spesso tre cubiti e mezzo, fu tagliato a pezzi e buttato fuori dalla
nave.
Allora il capitano luogotenente
vide la forma e la natura del pesce, i cui denti il nuotatore siciliano Nicolas
evitava così attentamente.
Ti ringrazio, gli dissi, per
l'impegno a raccontare.
Cosa accade ancora al nuotatore
E chiesi a quel gentiluomo di continuare il racconto su Nicola.
Così
Sinnebald ricominciò a narrare di come Nicola avesse riferito tutto ciò che
aveva visto e temuto, una cosa dietro l'altra.
Gli fu chiesto:
- Come
ha potuto trovare così presto
la coppa buttata?
Al che rispose:
- La coppa non è affondata dritta,
a causa del flusso impetuoso dell'acqua che va e viene,
ma é stata trascinata e portata verso il basso dalle
correnti, con le stesse modalità con cui
io fu trascinato. Così la trovai
nella cavità di una roccia: il che non sarebbe potuto accadere, a causa di tanti
gorghi e di un forte rotolamento, se la coppa fosse caduta sul fondo.
Infatti, le correnti, per mezzo delle quali l'acqua sotterranea a volte
viene inghiottita dalle visceri della terra per essere subito dopo espulsa
vorticosamente, si muovono con una violenza così irresistibile, che nessuna
forza, seppur grande, sarebbe stata in grado di resistervi.
A questo si aggiunge anche, che il mare, nello stesso luogo,
é così profondo da provocare quasi un'oscurità cimmerica agli occhi.
Alla richiesta ulteriore di descrivere lo stato delle profondità marine,
così rispose:
- Vi sono dappertutto rocce e scogliere
intrecciate, per così dire, dalle cui radici o fondali, che sotto ogni corpo
d'acqua, flusso e riflusso, in relazione alle ore, creano tali agitazioni
e vortici sulla superficie del mare da mettere a rischio le navi, come i
naviganti ben sanno.
A questo punto gli fu chiesto, sfidandolo ancora una volta:
- Hai il coraggio e il cuore di indagare per la
seconda volta l'abisso marino di Cariddi?
E lui rispose di no.
Ma Quid non mortalia
pectora cogis Auri sacra fames!
- Ah, perché Maledetta sete dell'oro non costringi le
persone capaci a farlo! Dal terrore fai nascere il desiderio.
Fu sopraffatto da una borsa piena di monete
d'oro, a cui era legata una coppa di grande valore, che fu buttata nel profondo
e dispersa nel grembo della creatrice di cerchi vorticosi, cioè di Cariddi, come
esca per far tuffare Nicola e farla riportare fuori nuovamente.
Così saltò di nuovo nelle fauci del vortice, ma
non tornò più.
Forse le correnti forti, che si sono fatte sentire, lo hanno coinvolto
in una ricerca folle e non premeditata.
Angelon ha detto:
- Se fossi il re, farei scrivere queste parole sulla
coppa d'oro "Colui che ama il pericolo";
Ma sembra che lo stesso re siciliano non fosse come Dabib, che, quando bramava
l'acqua del pozzo di Betlemme, non la beveva ancora così com'era stata portata,
perché la valutava per il sangue di coloro che avevano rischiato la vita, e non
avrebbe mai più gravato i suoi fedeli servitori di un simile peso.
La lascivia e l'arroganza di questo re siciliano, tuttavia, non furono saziate
dalla carne, dal sangue e dal
rischio di morire del povero pescatore. Così alla fine,
grazie alle ripetute offerte di denaro, lo privò indegnamente del dono più
prezioso, cioè la sua vita. Ma è così per coloro che si
lasciano andare alla ricerca del denaro: se intendono trovare sempre più bene e
denaro in mezzo ai pericoli, anche dalle fauci e dai denti della lode e dallo
stagno del male, essi stessi vengono pescati e catturati dalla rovina.
Floris disse:
- Il Signore ha ben inteso:
considera questo e ne trae, anche per sé, un avvertimento che anche noi
guerrieri e marinai, se e quando il S.Ott ci dà il nostro pezzetto di pane,
con cui ci possiamo onestamente sostenere, dipendiamo dalla bramosia, la cui
ossessione ci spinge a correre dei pericoli per lungo tempo sotto i suoi occhi
o a calpestare i suoi artigli, finché non ci prende e ci fa a pezzi.
Colui che ha perso il suo coraggio di opporsi non può essere biasimato se è
andato nuovamente a cercare tra il fuoco, le correnti e le maree.
Ma, se avesse ritrovato in pieno il suo coraggio, avrebbe potuto ben
riposare una volta per tutte e lasciare che altri andassero dove è scosceso e
ci sono le fauci (di Cariddi) *
(*oppure: Colui che
ha perso la propria occasione
non fu così forte per cercarla nuovamente
fuori dal fuoco, dalle correnti e dalla maree: ma chi l'ha ritrovata, e non
vuota, può ben riposare una volta per tutte e lasciare che altri vadano dove è
scosceso e ci sono le fauci di
Cariddi)
- Il cuore è legato alla sua
memoria - disse Angeloet -
Se ora ho ritrovato la mia camera perduta e ho acquisito
un alloggio come quello necessario per l'intrattenimento rispettabile di un uomo
onesto, andrò a riposare anch'io.
Sinnebald ha anche lanciato il suo insegnamento dicendo:
- I miei cuori certamente si
smarriscono, quando pensano che avere abbastanza può soddisfare un uomo.
Non c'è, nel mondo di oggi, , quasi nessuno che ha di meno di chi ha di più: e
chi è stato meglio ricompensato dalla felicità si trova il più scontento di
tutti. Questa passione per l'acqua non sa rinunciare alla
coppa di vino d'oro, non smette di bere; più ne inghiotte tanta più sete gli
viene. La grazia è nel cuore, non nella borsa: dal cuore
deve scaturire e fluire nei desideri: allora anche questi saranno esauditi e
soddisfatti con poco sforzo.
Floris ricominciò:
Tutte le parole che pronunciamo sono buone, e non
mancano di nulla, né nelle opere. Nessun
tempo ha mai prodotto fiori più belli, ma radici più velenose e frutti più
malvagi, né quest'ultimo in cui viviamo, che non si
libererà della sua consunzione finché non sarà completamente scomparso; la sua
strisciante pestilenza non sarà distrutta finché non sarà essa stessa divorata
dall'eternità.
C'è un'altra cosa che vorrei chiedere riguardo all'incidente narrato con il
nuotatore (salvatore d'acqua):
del coraggio di costui, Sinnebald dove ha letto? È un
autore che merita di essere creduto? Perché, a dire il vero, la questione è
alquanto misteriosa.
Sinnebald rispose.
Lo scrittore , da cui li ho recuperati , è il più volte
lodato Kircherus: il quale riferisce che questa storia, come descritta negli
Atti reali, gli è stata comunicata dal Segretario degli Archivi.
Perciò, a mio parere, c'è più fede che incredulità.
Si trova, qualcosa di questa storia, anche in Majolo: il quale scrive che c'era,
in Sicilia, un uomo di nome Piscis
Colonanus (Pesce Cola)
che, fin da bambino, si divertiva a nuotare tra le onde e non poteva riposare o
stare in pace fuori dall'acqua.
Re Alfonso aveva offerto una ricompensa per i tuffatori, per questo
motivo si era gettato in mare, senza uscirne più e non si sa in che modo sia
morto.
Poco prima Majolo cita il Volterrano, secondo il cui resoconto, ai suoi tempi,
sotto Gregorio IX in Puglia, viveva un uomo, che era così attratto dalle onde
del mare e dai pesci tanto che fu chiamato
Colapiscis; o altrimenti detto
Nicola.
Così anche Bugati lo ricorda nel terzo libro della sua
storiografia.
Ora, Sia che l'uno gli attribuisca la Puglia e l'altro la Sicilia come patria,
sia che l'uno metta che ciò avvenne al tempo di re Federico, l'altro al tempo di
Alfonso, questi diversi nomi dei re o dei luoghi non sono così importanti, di
per se, da rovesciare l'intera vicenda.
A questo punto ricordo la mia promessa di dover finalmente presentare anche ciò
che resta per completare il discorso sull'afflusso e il deflusso del mare, che è
rimasto in sospeso. Cosa che sarebbe stata fatta molto
tempo fa, in quanto saremmo stati, come il mare, il canale di un fiume che
sfocia in esso, o le tematiche secondarie non avessero interferito con il
flusso delle nostre conversazioni vivaci.
Ma ora voglio concludere l'argomento, presentare le opinioni di altre persone
colte e chiudere.
Posidonio, da Strabone, scrive di tre maree marine:
la giornaliera, la mensile e l'annuale; e riferisce di aver appreso l'ultimo
movimento (annuale), dai Gaditani; i quali ne parlavano in modo tale che il
deflusso e l'afflusso del mare è maggiore al momento del solstizio, ma egli
suppone che da quel momento diminuisca fino all'equinozio notturno, per poi,
aumentare di nuovo fino al giorno più corto dell'anno.
Anche se a causa dell'uguaglianza notturna, Plinio è n
disaccordo. Come in Inghilterra, vicino a Bristol, la marea giornaliera è
così grande, che le navi che vanno in mare, vicino al fiume Ruk, restando sul
posto galleggiano due volte sul mare e due volte restano incastrate sul
fondo; il cuore di Angelon lo saprà meglio, né io, né il suo compatriota Jonston
possiamo dirglielo.
Nel tratto di mezzogiorno del Nuovo Mondo, la marea si osserva già a poche
miglia francesi dalla sua costa. Ma in un altro tratto settentrionale, le maree
sulla riva non si notano né scendere né salire: come riferisce Peter hispanus.
Non lontano dal promontorio di Cuba, vicino all'Isola delle Perle, la marea
scorre fortissima e le navi non possono in alcun modo resistere alle onde,
anche se il vento fosse a favore: così che una nave, anche se dotata di forte
velatura, per tutto il giorno non può avanzare nemmeno di mille passi.
Soprattutto, però, questa marea è notevole e strana, è, come dice Jonstonus,
un grande miracolo mondiale, visto anche dal re Alessandro il Grande: di questo
riferiscono anche Johann Hugo von Linschotten, nelle Descrizioni americane, e
Casparus Belby. Quando costui, dalla città commerciale
indiana di S. Thomas, nel regno di Pegu, che si trova nell'India orientale al di
sopra del fiume Gange, dopo aver lasciato alle spalle un viaggio di oltre
dieci giorni, giunse al lago Maccareo (così lo chiama), dove si trovavano la
foce e lo sbocco del fiume che Alessandro aveva navigato (rif. Curtio).
Nello stesso libro tale stretto è chiamato Maccareo Siriano; si tratta di un
porto di mare, sulle cui sponde ci sono dodici gradini di legno tutti esposti
all'acqua che sale e che scende, dove si trova la più grande meraviglia
naturale del mondo. Perché l'acqua lì cresce e si ritira così tanto che nessuno
può crederci se non l'ha sperimentato con i suoi occhi.
Le navi di Martabano che si avvicinano, quando l'acqua cresce più veloce di una
freccia, vengono allontanate per tutto il tempo necessario a far arrivare a
terra la marea.
[...]
Erasmus
Nürnberg
1668
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