LA FAVOLA DEGLI ABITATORI DEL
MARE
Le campagne, le colline, le
pianure d’Italia — dove lo sguardo si sazia, il cuore esulta e la mente si
solleva i confini di questa penisola — dove l’anima, rapita alla alte vette,
delle valli, dei torrenti, dei ghiacciai vien distratta dal grido acuto
dell’aquila e dal balzar temerario del camoscio — non hanno il fascino e
l’incantesimo del mare: quell’incantesimo che voi provate se visitate la
Costiera ligure fino a Nizza; se, andando a Napoli, vi portate da Mergellina
fino a Castellammare di Stabia, Sorrento, Amalfi ; se andate sulla costiera del
Gargano od a Palermo dove si rimane estatici, entusiasmati di fronte al magico
effetto di quella immensa glauca tesa, che in pieno giorno, par seminata di
miriadi di scintillanti stelle, al tramonto si perde in una sfumatura sanguigna
e, nella notte placida sembra solcata da infinite bisce d’argento che
s’inseguono sempre senza raggiungersi mai!
Il mare è ricco d’incantesimi! Esso, regno del mistero terribile e delle dolci
meraviglie insieme, è ancora oggi ritenuto dal volgo quale abitazione di esseri
strani, i quali, in gran parte furono creati dalla fantasia dei poeti primitivi.
Gli abitatori del mare che hanno attinenza con la favola, possono ripartirsi in
quattro categorie;
1. a Dei del mare;
2. Persone mostruose, terminanti in pesce;
3. Animali di straordinarie dimensioni;
4. Animali che si distinguono per virtù speciali.
Per quanto riflette
esclusivamente gli Dei, qui non è il caso di tener parola, poiché la loro
origine e le loro gesta non escono dall’àmbito della mitologia: e nella
mitologia c’è poco da indagare. Quindi, lasciamo in santa pace Nereo, Nettuno e
sua moglie Anfitride, Tetide, le Nereidi, ecc., e occupiamoci degli altri
abitatori sulla cui favola la scienza ha potuto dire qualche parola, e sui quali
vi é ancora qualche pregiudizio popolare.
Non credete però che io pretenda di parlarvi di cose nuove: tutt’altro ! Io v’intratterò
su argomenti divulgati già da molti autori: delle Sirene, dei Tritoni,
dell’enorme serpente di mare, dei Delfini, del Kraken, ecc.; ma io voglio
trattare gli argomenti stessi sotto un altro punto di vista: facendo seguire,
cioè, ad ogni singola favola un accuratissimo esame, per investigarne le
probabili cause che la generarono, per studiarne lo svolgimento, per chiarirne
il fine. In altri termini, vo’ tentare di analizzare la favola, mettere a nudo
il pregiudizio.
Neppure il tentativo è nuovo! Però si è peccato passando da un eccesso all’altro
opposto: e non di rado , per combattere la troppa credulità, si è finito col
negare, senz’altro , anche qualche cosa che poteva esser vera, come è avvenuto
appunto pel cefalopodo gigantesco. Quest’animale, ingrandito immensamente dalla
fantasia del volgo, fu, da chi si proponeva di combattere il pregiudizio,
ritenuto come addirittura inesistente.
Per seguire l’ordine propostoci, cominceremo dalle Sirene.
Esse, secondo la mitologia, erano tre sorelle: Partenope, Leucosia e Ligea, di
Acheloo e della Musa Calliope.
Quando Proserpina, loro amica, fu rapita, invece di prestarle soccorso, esse
l’abbandonarono; onde Cerere, per punirle, le cangiò in uccelli.
E diventarono uccelli strani; poiché conservarono la testa ed il corpo di donna
sino alla cintura.
Una suonava la lira, una il doppio flauto ed un’altra cantava. I loro concerti
erano sublimi; ed esse lo sapevano: infatti osarono persino sfidare le Muse alla
prova del canto. Ma queste rimasero vincitrici, e, per punire le Sirene,
strapparon loro le penne dalle ali, e se ne formarono corone.
E pare che allora le Sirene mutassero sembianze, assumendo la forma metà di
donna e metà di pesce.
Dolentissime, interrogarono l’oracolo sul loro destino; e l’oracolo predisse che
sarebbero perite, quando avessero lasciato passare innanzi a loro anche un solo
navigante, senza arrestarlo per sempre con l’incantesimo della loro voce.
Ecco perché affaticavansi ad attirare i marinai coi canti più armoniosi,
accompagnati dai dolci concenti della lira e del doppio flauto: per esse sarebbe
stato proprio il caso di dire: Mors tua vita mea. E tutti coloro ch’erano
tanto imprudenti di fermarsi ad udire i canti di quelle fatali tentatrici
rimanevano ammaliati a tal punto che, obliando di prendere cibo, morivano
d’inedia.
La tradizione omerica narra che Ulisse, dovendo pacare con la sua nave dinanzi
alle Sirene, per consiglio di Circe, turò con la cera le orecchie di tutti i
suoi compagni, e, dippiù (nella previsione di poter rimanere soggiogato dal
fascino delle pericolose tre sorelle, e fermarsi), fece attaccare sè stesso pei
piedi e per le mani all’albero della nave, affinchè, dandosi il caso in cui
restasse sedotto dalle temute Sirene e avesse voluto fermarsi, i suoi compagni,
con le mani libere e le orecchie ben chiuse, anziché secondare i suoi desiderii,
lo legassero più solidamente.
Questa precauzioni non riuscirono inutili, poiché Ulisse, malgrado
l’avvertimento ricevuto da Circe, riguardo al pericolo cui stava per esporsi, fu
cosi incantato dai concerti che quelle Sirene facevano tremolare su l’onda, che
fé cenno ai suoi compagni di scioglierlo; ma essi furono guardinghi di non
ubbidirlo; e Ulisse sfuggi alle insidie.
Il fatto fu inesorabile! Le Sirene, disperate, si precipitarono sotto all’acqua
e furono trasformate in scogli. Solamente una, dice la leggenda, mori serbando
intatte le proprie sembianze, e questa fu Partenope.
Un giorno l’onda portò sulla spiaggia un cadavere di fanciulla bellissima: aveva
gli occhi, ancora aperti, color del cielo; le chiome, neglette, color d’oro; il
viso straordinariamente bello, c la parte inferiore del corpo terminava come un
pesce.
Per quella creatura tanto bella, ma in vita tanto crudele, fu scavata una fossa
nella sabbia, dove il mare l’aveva portata, e a quel luogo fu dato il nome di
Lei «Partenope»: luogo che con l’andar del tempo fu città; ed oggi è la più
grande d’Italia, e, per doni di natura, tra le più belle del mondo: la moderna
Napoli.
Sembra che poi nascessero altre Sirene, e popolassero i mari; ma nei Golfo di
Partenope non se ne videro più.
Ed era a Napoli stessa, in vista di quel mare dove la Sirena aveva cantato con
tanta passione... era in vista di quel mare che io, parecchi anni fa,
giovanetto, mi entusiasmavo, ruminando nella mente l’accennata favola, che
credevo una vera Storia, quando in una certa strada, la mia attenzione fu
attirata da una, piccola folla composta, in gran parte, di monelli e contadini
che stavano a bocca aperta. Mi avvicinai. Addossato ad un telone calato
all’ingresso di una a «bottega sfittata», stava un uomo, il quale si scalmanava
a dare spiegazioni su di un «gran fenomeno», come diceva lui.
A fianco dell’ingresso, inchiodato al muro, stava un gran manifesto che
completava i ragguagli. Pagando pochi soldi, si poteva vedere e toccare con mano
due bellissime Sirene, pescate.... non rammento in qual mare. Ogni visitatore
avrebbe potuto toccarle, per assicurarsi che le medesime, al semplice contatto,
facevano provare una scossa per tutta la persona!
Fui curioso, ed entrai. Nel mezzo della a «sala» stava un tino enorme, il quale
si affondava nel palco di legno per un paio di metri, in modo che il pubblico
arrivava ad affacciatisi sopra con comodità. Mi affacciai anch’io, e vidi due
bellissime Sirene, perfettamente nude.
Il loro corpo, nella parte inferiore, aveva la forma di pesce. Insomma due vere
Sirene! Si dibattevano con grazia nell’acqua; vi s’immergevano, ne uscivano,
facendo mille giuochi. Io stavo l’…, colpito da meraviglia, non sapendo che cosa
pensarne!
Col sorriso ironico sulle labbra, le guardavo, quasi avessi voluto far
loro comprendere che io non credevo alla loro mistificazione. Ma se esternamente
cosi esprimeva il mio sorriso, internamente invece predominava la convinzione
che quelle due leggiadre creature erano vere Sirene: e, in quel momento, a
sostenerlo, avrei messo la mano sul fuoco. Provavo una forte emozione: il cuore
mi martellava dentro.
Un signore ne toccò una, e ritirò tosto la mano, con un senso di dolore. Mi feci
coraggio, e tesi la mano anch’io. La Sirena mi diede un colpettino con la sua,
ed io provai una scossa per tutto il braccio, Quella scossa mi impressionò
moltissimo, e valse a consolidare il mio convincimento che le Sirene esistevano
davvero! Caspita; avevo anche sentito il loro contatto!
Andato poi innanzi con gli anni, ho potuto convincermi che quella
rappresentazione era una delle tante e tante mistificazioni fatte per i
credenzoni! Il resto del corpo delle Sirene era posticcio, di guttaperca,
abilissimamente confezionato ed adattato; la scossa era procurata con la
macchina elettrica (poiché la vasca era, come si dice in elettricità, isolata),
e le sedicenti Sirene erano due ragazze qualunque, belle si, ma pescate fuori
dell’acqua: capii troppo tardi che le Sirene non sono mai esistite… l’ho capito
quando non ero più giovanetto, quando, cioè alla ingenuità fanciullesca subentrò
il raziocinio e la matura riflessione per la conquista del vero.
Parecchi naviganti antichi, ed anche del Medio Evo, affermano di avere realmente
vedute le Sirene; e Armand Laudrin, a questo proposito, nel pregiato libro
Les mostres marins, abbonda di citazioni. Se voi leggete quei racconti, vi
crederete autorizzati a giudicare i naviganti veri mistificatori; invece i
racconti stessi sono fatti nella miglior fede di questo mondo; e vi dirò in base
a quali equivoci.
Alcuni studiosi credono che la causa di questi errori siano state le foche.
Ma l’animale che, con maggiori probabilità, ha potuto essere scambiato per una
donna, sarà stato certamente il Lamantino (Manatus australis). Questo
cetaceo nuota quasi verticalmente o con piccolissima inclinazione, tenendo la
testa e la parte superiore del corpo fuori dell’acqua. La femmina ha il petto
ben fatto, ed al petto ha due poppe; e molte volte l’illusione è tale, a detta
di alcuni, da sembrare una vera donna sulle onde. Ripeto: più che alla foca, si
deve attribuire alla femmina del Lamantino (o alla femmina di un cetaceo affine,
il Dugong) l’origine dei numerosi racconti, e delle pretese constatazioni dei
naviganti sulle Sirene.
Di certo, soltanto con le traveggole agli occhi, si può scambiare il bruttissimo
muso dei menzionati due cetacei col bel visino di donna. Ma, in mezzo
all’incantesimo del mare, gli occhi sono abbagliati: e se voi perdonate a quell’uomo
che, innamorandosi di bruttissima donna, la crede un «angelo di bellezza»,
perdonate pure ai naviganti, che da lontano credettero donne le femmine del
Lamantino, perchè le videro con due poppe al petto , senza badare alla loro
bruttezza.
Figuratevi: gli antichissimi marinai, ritornati in patria, raccontavano di aver
visto delle donne con la coda di pesce, cioè le Sirene; e con questa
persuasione, con questo preconcetto, gli altri naviganti appena vedevano la
femmina del Lamantino o del Dugong erano sicuri di aver viste anch’essi le
Sirene. Questi poi , tornati in patria, facevano nuovi racconti, e
inconsciamente accendevano le fantasie altrui..., e cosi di seguito , fino a
quando tutti questi racconti non arrivarono a persuadere gli scienziati, i
quali, a differenza dei moderni, si permettevano di illustrare le loro
descrizioni con figure tanto bizzarre quanto le descrizioni stesse erano
fantastiche!
Naturalmente, i racconti, avvalorati dagli scienziati, dovevano uscire dal
dominio del dubbio, e dar corpo alle illusioni, le quali perciò andarono
prendendo maggiori proporzioni.
E ciò per quanto riguarda le Sirene considerate come mostri metà donna e metà
pesce: ma come è potuta nascere l’idea più antica di considerare le Sirene quali
mostri metà donna e metà uccelli? Non mi è riuscito di leggerne la spiegazione,
la quale però, io credo, non sarà difficile trovare.
Agli antichi marinai non avrà potuto sfuggire il fatto di veder svolazzare
alcuni uccelli solamente e costantemente quando l’uragano imperversava e la nave
era in gravissimo pericolo.
Questi uccelli, a buona ragione furono ritenuti per portatori di sciagura, e per
conseguenza, dai marinai superstiziosi vennero considerati spiriti maligni,
ovvero donne malvagie sotto spoglie di uccelli.
Abbozzata cosi dai naviganti questa favola, essa fu poi completata e tramandata
ai posteri per opera dei poeti e degli scultori.
Da quanto ho esposto, credo resti dimostrato che le Sirene non sono mai
realmente esistite.
Qualche persona mi vorrebbe dire: Allora come va che, al e volte, in qualche
gabinetto ambulante di storia naturale, vien mostrato il corpo di una Sirena?
Rispondo subito, ed avverto, anzi, che due o tre anni fa ho visto anch'io, a
Bologna, in un gabinetto particolare annesso ad un serraglio di belve, un corpo
disseccato di Sirena. E vi dirò di più ancora: il corpo mummificato di Sirena è
conservato perfino in qualche Museo (non d'Italia)!
Ma quei corpi sono tutti artificiali; e ciascuno di essi era abilissimamente
confezionato unendo la parte superiore di una bertuccia spelata, e la parte
inferiore di un grosso pesce; e poi venduto a peso d'oro ai creduli scienziati
che pullulavano in illo tempore.
Fò punto per quanto riguarda le Sirene, ovvero
donne-pésce, e, se permettete, dirò qualche cosa sull’uomo pesce o Tritone.
Premettiamo un cenno mitologico.
Tritone era un semidio marino, figlio di Nettuno e della Nereide
Anfitride.
Il suo corpo aveva la figura umana dalla cintura in su, e di pesce con lunga
coda dalla cintura in giù. Egli era il trombettiere di Nettuno, Dio del mare, e
sempre lo precedeva, annunciandone l'arrivo col suono della conca marina, fatta
in forma di corno. E bastava che Tritone suonasse la sua conca perchè i flutti
si calmassero e le tempeste cessassero!
Infatti, Nettuno, volendo richiamare le acque del diluvio, ordinò al suo
trombettiere di dar fiato alla conca marina, al cui suono le acque si
ritirarono.
E allorquando il dio del mare volle calmare la tempesta suscitata da Giunone
contro di Enea, l'infaticabile Tritone, assistito da una Nereide, fece sforzi
straordinari per riuscire, col solito suono, a salvare i vascelli pericolanti.
Come fini Tritone? Io non lo so, e sono spiacente di non poter soddisfare la
vostra giusta curiosità al riguardo; ma posso assicurarvi che la razza non si
spense, poiché ve ne furono degli altri, i quali avevano tutte le medesime
attribuzioni e la stessa figura del Tritone figlio prediletto di Nettuno.
I Tritoni che vennero dopo erano molto pericolosi, come vi potrete convincere
dal fatto seguente: Alcune donne di Tanagra, iniziate ai misteri di Bacco,
essendo, un giorno, discese sulla piaggia del mare per purificarsi, mentr’erano
nell’acqua, un Tritone si lanciò su di esse; e sarebbero tutte perite se non
avessero rivolto i loro prieghi a Bacco, il quale volò in loro soccorso,
uccidendo il Tritone dopo un vivo combattimento!
Vi sto parlando delle gesta di questi abitatori del mare... dimenticando di
farvi una minuta descrizione del loro corpo.
Diamo la parola a chi lo vide da vicino.
Silenzio: parla Pausania.
«Fra le curiosità di Roma, ho veduto io stesso (!) un Tritone, del quale ecco
la figura. Egli ha una specie di capellatura di verdi erbe acquatiche, la quale
è tutta unita e non si può distribuire. Il resto del corpo è coperto di squame
tanto fine e tanto forti, quanto il ligrino, ha le piume al disotto delle
orecchie, le nari d’uomo, gli occhi verdognoli, P apertura della bocca assai
larga con denti estremamente forti. Ha inoltre le mani a forma di ostrica,
avendo le dita tutte unite fra loro».
E anche Plinio ci riferisce che fu scritto a Tiberio essere stato veduto presso
a Lisbona un Tritone che sonava la sua conca, e che era
metà uomo e metà pesce.
E dei racconti poi di naviganti ve ne sono una grande quantità, tutti
circostanziati, tanto che quegl’ingenui dei nostri antenati non avevano tutti i
torti a crederci.
Per conoscere le cause che generarono la favola dell’uomopesce non occorre
escogitar molto: e io credo di non andar lontano dal vero, affermando che hanno
dato origine ai numerosi racconti sui Tritoni certi abilissimi nuotatori, i
quali passavano i loro giorni nel mare.
A conferma di ciò, potrei citare parecchi fatti; ma mi limiterò ad accennarcene
qualcheduno solamente.
Pesce Niccolò
Se avrete occasione di andare a Napoli, domandate
a qualche pescatore notizie intorno alla vita del celebre «Pesce
Niccolò».
Il pescatore, da voi interrogato, assumendo un’aria di gravità vi dirà presso a
poco cosi: il Pesce Niccolò era un essere metà uomo e metà pesce, col corpo
coperto di scaglie, e dotato della virtù di poter rimanere molte ore, ed anche
delle intiere giornate sotto all’acqua; e ciò in seguito ad una maledizione
ch’ebbe dalla madre.
E la leggenda scritta, la leggenda seria che pretende di passare per storia ,
perchè abolisce il soprannaturale, si spiega cosi:
Niccolò era un abilissimo marangone che visse sotto il regno di Federico d’
Aragona.
Intraprese una serie di esplorazioni sottomarine alle fondamenta del famoso
castello dell’Ovo, per rinvenirvi dei tesori che si diceva vi fossero nascosti.
Quest’uomo singolare, per soddisfare la curiosità del detto re, piombò nel mare
nientemeno che presso il vortice di Cariddi; e dopo un pezzo ricomparve a galla
con una, coppa d’ oro che il re vi aveva gettato, e che doveva essere il premio
della sua audacia. Egli era sgomento, atterrito di ciò che aveva intravisto in
quell’abisso, dove mostri sconosciuti gli erano stati ostili. Il re gli offri
una somma considerevole perchè discendesse una seconda volta; ma Niccolò,
impallidendo rifiutava... finché vinto dalle insistenze altrui, si slanciò
novamente sotto alle onde.
Il poveretto non ne uscì più: quando stava per arrivare a galla, un pesce spada
lo trapassò da parte a parte, e una chiazza di sangue si vide alla superficie
del mare.
E questo è l’essere strano che il pescatore, da voi interrogato, vi ha descritto
come mostro metà uomo e metà pesce.
E si tratta di un uomo vissuto non nei tempi antichi: considerate voi cosa si
sarebbe detto di lui se fosse vissuto al tempo dei Greci e dei Romani, quando
cioè la superstizione era una prerogativa di ogni persona!
Comprenderete benissimo come intorno a questa specie di eccezionali
nuotatori la fantasia popolare abbia lavorato tanto e tanto e tanto, da creare
degli esseri strani, dei mostri metà uomo e metà pesce, battenzandoli col nome
generico di Tritoni.
Questi mostri, parto della fantasia, vennero ritenuti, al pari delle Sirene,
quali ordinatori abitatori del mare, per effetto di mille illusioni, di mille
circostanze, di mille equivoci.
Passiamo a studiare la favola degli animali di straordinarie dimensioni.
Qui giova avvertire che non tutte le favole offrono con
facilità il bandolo della matassa. E vi sono certi mostri marini, sulla cui
esistenza non si può dire ancora l’ultima parola.
Considerate, ad esempio, il serpente di mare.
Certamente oggigiorno non vi è persona, ritengo, che presti fede alla
descrizione che fa Palladio dell’enorme serpente del Gange, che poteva ingoiare
un elefante senza masticarlo (!!!), e ogni persona un pochino colta non crede
neppure alla esistenza del serpente marino dalla testa e dalla criniera di
cavallo: ma come si fa a dire che è impossibile esista in mare un serpente
enorme, simile a quelli terrestri?
Malgrado che i mostruosi serpenti di mare siano stati veduti da diversi
viaggiatori e marinai; malgrado che diverse relazioni non antiche ne facciano
menzione; malgrado che i testimoni oculari furono persone degnissime di ogni
fede... è probabilissimo , sebbene si potrebbe ben dir certo, che l’enorme
serpente di mare (eccetto che nei tempi antidiluviani) non è esistito.
Ho detto « probabilissimo » perchè...
Il perchè lo dirò poi. Permettetemi intanto che io faccia alcune considerazioni.
L’enorme serpente di mare non è conservato in alcun museo non è stato mai
catturato; non è stato mai veduto ai giorni nostri.
Realmente, vi sono dei serpenti che galleggiano alla superficie dell’Oceano;
ma, al massimo, sono poco più lunghi di un paio di metri! — (C'è una bella
differenza!).
I naviganti avendone quindi veduti dei piccoli, non a torto hanno pensato che
l’Oceano potesse albergare dei serpenti enormi; e questa supposizione è
diventata certezza per loro, quando un complesso di fenomeni, che adesso farò
rilevare, hanno ingannato il loro senso della vista.
Nell’Oceano vivono alcuni molluschi fosforescenti — ma delle infinità — detti
salpe, i quali si innestano l’uno all’altro pei due estremi del corpo, e formano
una catena galleggiante, lunga, alle volte, parecchie miglia.
E mirabile in questi animaletti il modo di contrarsi e dilatarsi tutti
simultaneamente, tanto da imprimere alla intera colonna un movimento
oscillatorio, ovvero serpeggiante.
Ciò posto, è facile immaginare come i naviganti , dopo di aver visto, alla
superficie dell’Oceano, dei piccoli serpenti, e di aver supposto ve ne potessero
esistere anche dei grandi, siano passati, di notte, in vista di una
fosforescente e serpeggiante colonna di salpe , ed abbiano ravvisato nella
colonna stessa un rettile immenso.
Lo spettacolo si è ripetuto... e dippiù, di giorno, hanno veduto, forse per
alcuni istanti solamente, qualche grossissimo pesce o qualche cetaceo sfiorare
appena la superficie dell’acqua, tanto che la parte superiore del corpo, nella
sua lunghezza, rassomigliava in lontananza, ad un rettile lungo e
sottilissimo... ed ecco con quanta buona fede è stata fabbricata la favola del
mostruoso ed immane serpente di mare!
Mi osserverete voi: Ma questa spiegazione è incompatibile col racconto che fanno
molti di aver veduto la testa del mostro sollevata in aria, tanto da poterne
osservare la forma!
Se siete stati qualche volta per mare, non avete mai visto dei pesci che,
spiccando una specie di salto, vengono a mettere la testa fuori dell’acqua?
Perchè non potete ammettere che un grosso pesce, nel fare un boccone di una
quantità di quegli animalucci fosforescenti, abbia potuto spingere la testa
fuori l’acqua, proprio dove cominciava la luccicante e serpeggiante colonna
delle salpe?
Voi ribatterete: Ma hanno descritta la forma della testa! Eh via! Nella oscurità
della notte, con la fantasia esaltata, a voi non è capitato mai di scambiare una
gonnella bianca appesa... con un fantasma? — Non vi è mai capitato di
distinguere la faccia scheletrita, gli occhi cavernosi, le mani....
Credete , alle volte , anche gli occhi vedono ciò che non esiste!
Se è così evidente che il serpente di mare non esiste, perchè mai, io stesso che
di ciò son convinto, mi sono dianzi espresso in modo che lasciava intravedere un
dubbio, dicendo: «è probabilissimo?».
Vi è un argomento che potrebbe in certo qual modo giustificare tal lievissimo
dubbio. Ed ecco che mi spiego.
La terra ferma è, di certo, più vastamente e più accuratamente studiata che gli
abissi del mare: e se vi sono degli animali di notevolissima grandezza,
abitatori delle foreste, scoperti in tempi non lontani, perchè non può reggere
l’ipotesi che ve ne possano essere nel fondo del mare ancora alcuni a noi
sconosciuti?
Ci vuol poco, anzi niente a negare. Ma quale è il fatto unico sul quale si fonda
ogni diniego? Quello che nessuno dei moderni naviganti rabbia veduto.
Ebbene io vi dirò che fino al 1847, non prima, si è sempre creduta grossa favola
l’esistenza del gorilla, questo terribile abitatore delle foreste, il quale era
conosciuto dai Cartaginesi nientemeno che duemila e più anni fa! Si è dovuto
arrivare fino al 1847 per poter stabilire che quell’animale creduto favoloso
esisteva davvero, e si trattava di un abitatore della terraferma! Ma cosa si può
dir di sicuro dei recessi inesplorati del fondo del mare? E tre o quattro anni
fa non ho letto io forse, non rammento bene in quale giornale, essere stato
pescato un pesce mostruoso sconosciuto ai naturalisti?
Mi fermo qui: e non vorrei si pensasse ch’io voglia dimostrare l’opposto di ciò
che ho detto poc’anzi. Niente affatto! io son convinto e sostengo che tal
rettile, nei tempi a noi vicini, non è esistito.
Ma... ma volevo concludere osservando che il no assoluto si deve pronunziarlo
quando il raziocinio non ammette un giudizio diverso, come nel caso delle
Sirene, dei Tritoni, ecc. ma quando non si esce dai limiti del possibile, non si
corre il rischio di compromettersi dicendo: probabilmente questo essere non è
mai esistito.
Volete ancora muovere un’obiezione ? Avanti pure!
Ammesso che l’enorme serpente di mare, in tempi non molto lontani, sia stato
realmente veduto, come si spiega che ora non è più visibile?
La risposta è facile. Quest’animale avrà probabilmente emigrato. Ma, poco più di
un secolo fa, non si vedevano forse le balene nel golfo di Guascogna? Ed ora
dove sono le balene? — Confinate nei mari settentrionali. E, come le balene, il
rettile che ci occupa potrebbe attualmente abitare i mari glaciali, o da quelle
parti.
Allora questi animali potrebbero usarci la cortesia di mostrarsi nei freddi mari
settentrionali, dove l’uomo si è pure recato.
Risponderò adducendo una ragione molto ingenua, quasi infantile, che vi farà
ridere. I pesci che, in casa, custodite nel recipiente di cristallo, di estate,
quando cioè l’acqua à tiepida, vengono alla superficie del liquido, e d’inverno,
quando cioè l’acqua è fredda, si mantengono al fondo del vaso: avete osservato
questo fatto?
E in un modo analogo avrà fatto il serpente di mare: esso dai climi più o meno
temperati ha emigrato in climi rigidi, e man mano che a questi si avvicinava è
andato sempre più negli strati inferiori del mare.
Un altro abitatore del mare del quale si esagerarono molto molto molto le
dimensioni è quel cefalopodo gigantesco, denominato Kraken dagli
Scandinavi.
Si giunse al punto di crederlo grande nè più nè meno che quanto... un’isola!
Si dice che alcuni viaggiatori, avendolo, alle volte, scorto addormentato alla
superficie del mare, lo scambiarono appunto per un isolotto, e vi approdarono;
ma, d’un tratto, il mostro dapprima si è scosso e poi si è inabissato nel mare,
lasciando ai poveri ospiti appena il tempo di rifugiarsi sulla nave.
Che cosa vi è di vero in fatti di tal genere?
Ecco... le cose, forse, andarono a questo modo: i naviganti sbarcarono su di un
banco di sabbia coperto di denso strato di alghe, e dopo pochissimo tempo,
sopraggiunta inaspettatamente l’alta marea, furono costretti ad abbandonarlo
perchè andava immergendosi nel mare. La massa ha prodotto l’illusione dapprima
di scuotersi alla superficie (per effetto dell’acqua che s’andava man mano
intromettendo negli strati inferiori delle alghe) e poi di inabissarsi.
Questa illusione fece ritenere che quella massa fosse animata e siccome la
fantasia era terrorizzata dall’apparizione di cefalopodi giganteschi, cosi,
senza gran fatica, potè farsi strada la credenza che il Kraken, grande quanto
un’isola, poteva essere scambiato per tale, quando era addormentato alla
superficie del mare.
Coloro che dipoi si prefissero di dissipare i pregiudizi popolari, senza dare il
giusto valore alla esagerazione dei naviganti, negarono senz’altro l’esistenza
del cefalopodo gigantesco, dichiarandolo un semplice parto della fantasia.
Com’è conformato il Kraken?
Qualche volta, in un libro di viaggi meravigliosi, avrete veduto raffigurato uno
di quei mostri terribili detti polipi. Un enorme sacco con due occhi
spaventevoli; da quel sacco escono numerosi tentacoli viscidi, provvisti di
infiniti tubetti o ventose, per rattenere la preda ed avvicinarla all’enorme
becco adunco, somigliantissimo a quello del pappagallo...
Quanti poveri naufraghi sono stati afferrati da quei tentacoli
Debbo far notare, però, che quell’animale non è propriamente un polipo, come
d’ordinario si crede, sibbene un calamaro gigantesco (scientificamente
denominato da Crosse e Fischer Loligo Bauyeri).
Abbiate presente uno di quegli squisitissimi e piccolissimi calamai che si
vendono in pescheria; ingranditelo, con la fantasia, migliaia di volte, fino a
dargli la lunghezza di 60 piedi ed un diametro di 5, e gli occhi della grandezza
di una scodella ordinaria, ed avrete una idea del terribile mostro, terrore dei
naviganti, protagonista di mille drammi, svoltisi nello spaventevole silenzio
del fondo del mare.
Finalmente, spendiamo qualche parola intorno a gli animali, abitatori reali del
mare, che si distinguono per pretese virtù speciali.
Qui ci limiteremo al delfino ed alla balena: l’uno perchè affezionato all’uomo,
l’altra perchè dotata della proprietà di serbare gli esseri vivi nello stomaco,
e poterli poi vomitare a suo piacimento.
Cominciamo dal delfino, premettendo un po’ di mitologia.
Arione, famoso suonatore di liuto, essendo sopra una nave, fu assalito dai
marinai, i quali, per rapire i suoi danari, volevano assassinarlo. Egli però
ottenne dai ribaldi di potere, prima di morire, suonare il suo liuto: al suono
di quell'istrumento, i delfini si radunarono attorno al vascello, ed Arione,
gettatosi in mare, fu da uno di essi portato sulla spiaggia. Giunto in sicurtà,
raccontò tutto a Periandro, il quale fatti perseguitare quei pirati, li punì
severamente.
I delfini — per effetto della devozione che sentono per l’uomo — salvarono pure
Icadio, figliuolo di Apollo, Tara, di Nettuno, e Talemaco, di Ulisse. La favola
è nata, come spiegano tutti, dal fatto che i delfini accompagnano la nave in
viaggio.
Tale perseveranza dei delfini, non è effetto però della loro simpatia per
l’uomo: essi seguono il bastimento all’unico scopo di nutrirsi degli avanzi di
vivande che continuamente vengono buttati in mare.
La balena.
Tutti voi avete certamente vista, rappresentata, s’intende, una balena, e ne
avete intesa qualche descrizione.
Questo enorme cetaceo, ha una bocca enorme, che forma una camera vasta, che si
può quasi ermeticamente chiudere verso la gola.
La mascella superiore è guarnita sui lati, in luogo di denti, da due ordini di
bargigli, che consistono in lamine cornee, nere, fibrose, della forma di una
falce, suscettibili a ridursi in sottili bande che vanno, in commercio, sotto il
nome di ossa o stecche di balena. Sono quelle che voi, signore e signorine,
avete nei busti.
La mascella inferiore non ha nè denti nè lamine. Essa porta un largo labbro
mobilissimo che ricopre le lamine sospese. Quando la bocca si apre, l’acqua
entra, passa attraverso le lamine, e vi lascia tutti i pesciolini e molluschi
che sono stati trascinati nel vortice. Allora la balena alza il labbro inferiore
per chiudere la bocca, gonfia la sua lingua, che occupa, a poco a poco, tutta la
capacità della bocca, e in tal modo l'acqua vien rigettata fuori, con spinta,
dagli sfiatatoi, ed i piccoli animali che sono rimasti tra i barbigli vengono,
poi, inghiottiti. Ho detto «i piccoli animali». E come! gli animali grandi la
balena non li ingoia?
Sentite: la balena ha la cavità della bocca enorme; ma il canale che dalla bocca
va allo stomaco è tanto stretto, relativamente, s’intende, che un pesce un po'
grosso non vi potrebbe passare intero.
Ora, se un uomo fosse abboccato dalla balena, non potrebbe essere affatto
ingoiato interamente, perchè non passerebbe pel canale che conduce allo stomaco,
e, prescindendo da ciò, l'uomo non potrebbe scender giù vivo, poiché la balena ,
prima di ingoiare, preme con la lingua verso il palato la preda che è avvolta
tra i fanoni e certamente un uomo morrebbe stritolato.
Com'è possibile, dunque, che il profeta Giona abbia potuto scendere, incolume,
nello stomaco di una balena?
Se poi mi si obbietterà: Ma gli antichi non volevano, forse, alludere
precisamente alla balena: si può intendere che il cetaceo che ingoiò Giona sia
stato un Capidoglio, il quale ha tutta la testa più grande di quella della
balena.
E i denti che ha questo cetaceo? e il succo gastrico nel suo stomaco ? e il
profeta da dove riceveva Paria per respirare?
Zitto ! zitto ! griderete voi: si trattava di miracolo!
Allora, se fu un miracolo, ogni dimostrazione scientifica non ha motivo di
sussistere, e l’argomento non è più di mia competenza, nè deve essere discusso.
Dai fatti esposti, credo si possa dedurre che le cause, l'origine,
lo svolgimento delle principalissime tra le importanti favole, furono create
mentre l'uomo solcava il mare, sotto P incubo del terrore
e del periglio che offre quello stesso Oceano, il quale, quando voi siete a
terra, sulla riva, coi suoi vezzi vi ammalia, vi seduce, v’incanta, come le
Sirene incantavano i marinai, e v’invita ad affidarvi ad esso; ma quando l’uomo
ha ceduto all’incantesimo, e troppo ad esso si affida, si innalza, accavalla
spaventosamente le sue onde, e trama alla perdizione dei naviganti.
E dai fatti esposti credo pure si possa dedurre, che la favola degli abitatori
del mare tendeva, appunto, a personificare il mare stesso , non solamente coi
suoi grandi perigli e col suo terrore, ma anche col suo fascino e con le sue
bellezze: bellezze, che non si descrivono, ma che sulla Costiera Ligure fino a
Nizza, nel golfo di Napoli, sulla costiera del Gargano, nel golfo di Palermo, ed
in molti altri punti della nostra bella Penisola, vi entusiasmano, vi accendono
l'estro, come, in Italia, accendono l'estro
il cielo, i monti, le valli, le mine, ogni zolla, ogni sentiero.
Raffaele Greco
Archivio per le tradizioni popolari
Vol. XIV. 230
1895
www.colapisci.it
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