Il Tuffatore

 

 

Al tempo in cui mi ero imbarcato sull'"Abraham Lincoln", la gente dell'isola era appena insorta contro la dominazione dei turchi e io ignoravo quale seguito avesse avuto l'insurrezione. Certo non sarebbe stato il capitano Nemo, che aveva troncato ogni rapporto col genere umano, ad aggiornarmi in merito. Perciò non feci nessuna allusione a quell'avvenimento quando, la sera, mi ritrovai solo con lui nel salone, tanto più che mi sembrava preoccupato e taciturno.
Dopo un po', contrariamente alle sue abitudini serali, egli ordinò di aprire i due pannelli del salone e, spostandosi dall'uno all'altro, osservò attentamente la massa d'acqua. Con quale scopo? Non riuscendo a capirlo, mi dedicai allo studio dei pesci che passavano davanti ai miei occhi. Un abitante di quei mari attrasse la mia attenzione. Si trattava di una remora, pesce che viaggia generalmente attaccato al ventre degli squali.

 


Seguivo con occhi incantati le meraviglie del mare, quando fui improvvisamente scosso da un'apparizione inattesa.
In mezzo all'acqua si scorgeva un uomo, un tuffatore, che portava alla cintura una borsa di cuoio. Non un cadavere abbandonato sott'acqua: era vivo e nuotava con bracciate vigorose. Spariva ogni tanto per risalire in superficie a respirare, per poi rituffarsi subito dopo.
Mi volsi verso il capitano Nemo esclamando, con voce rotta dall'emozione:
- C'è un uomo in mare! Bisogna cercare di salvarlo.

Senza rispondermi il comandante mi si portò accanto. L'uomo si era avvicinato e ora ci guardava con la faccia incollata ai vetri. Con mio stupore, il capitano Nemo gli fece un cenno amichevole e il tuffatore gli rispose agitando la mano, poi risalì verso la superficie e non riapparve più.
- Non state a lambiccarvi il cervello - mi disse il comandante - E' Nicola, di capo Matapàn, un ardito tuffatore e nuotatore soprannominato "Il Pesce". E' conosciutissimo in tutte le Cicladi. L'acqua è il suo vero elemento e ci vive più che sulla terra, andando senza sosta da un'isola all'altra e spingendosi fino a Creta.

- Lo conoscete personalmente?

- Perché no, signor Aronnax?

Ciò detto, il capitano Nemo si diresse verso una specie di grande cassaforte fissata alla paratia di sinistra del salone, vicino alla quale era posato un cofano cerchiato di ferro sul cui coperchio brillava una placca di rame con l'iniziale del Nautilus e il suo motto: "Mobilis in mobile". Senza preoccuparsi per la mia presenza, egli aprì la cassaforte che, come potei vedere, conteneva un gran numero di lingotti d'oro.
Da dove poteva provenire quel prezioso metallo, che rappresentava una somma enorme? Dove e quando il capitano Nemo aveva potuto raccogliere tutto quell'oro e che cosa stava per farne? Non dicevo una parola, limitandomi a guardare.
Il capitano Nemo prese a uno a uno i lingotti e li sistemò metodicamente nel cofano che riempì completamente. A occhio e croce, dovevano esserci là dentro più di mille chilogrammi d'oro, a trasformarne il valore in franchi si sarebbe ottenuta una somma da capogiro.
Quando il cofano fu solidamente chiuso, il capitano Nemo scrisse sul coperchio un indirizzo in caratteri che, a distanza, sembravano appartenere al greco moderno, quindi premette un bottone. Subito apparvero quattro uomini che, in silenzio e non senza fatica, spinsero il cofano fuori del salone. Sentii poi che lo issavano per mezzo di un paranco sulla scalinata centrale Solo allora, il capitano Nemo si volse verso di me.
- Stavate dicendo qualcosa, professore?- mi chiese.

- Io? Niente.

- Allora, signore, se permettete, vi auguro la buona notte. E con ciò lasciò il salone.

Rientrai nella mia stanza molto incuriosito, lo confesso. Invano tentai di dormire. Cercavo una relazione fra l'apparizione di quel tuffatore e il cofano riempito d'oro.
Dopo non molto, compresi da alcuni movimenti di rollio e beccheggio che stavamo abbandonando gli strati inferiori per tornare in superficie. Infine sentii un rumore di passi sulla piattaforma e compresi che stavano staccando il canotto e lanciandolo in mare. Urtò per un attimo contro la murata del Nautilus, poi ogni rumore cessò.
Circa due ore dopo, l'andirivieni riprese; il canotto, issato a bordo, era stato rimesso nel suo alloggiamento e il Nautilus sprofondò sotto i flutti.
E così tutti quei miliardi erano stati portati al loro indirizzo. In quale punto dell'arcipelago? Chi era il corrispondente del capitano Nemo?

Il giorno dopo raccontai a Conseil e al canadese gli avvenimenti di quella notte, che avevano eccitato la mia curiosità al massimo grado, e i miei compagni non furono meno stupefatti di me.
- Ma dove può prendere tutti quei miliardi? continuava a chiedere Ned Land.

A quella domanda non c'era risposta possibile. Andai nel salone appena ebbi finito di mangiare e mi misi al lavoro, redigendo le mie note fino alle cinque del pomeriggio, quando fui assalito da un tale senso di calore che dovetti togliermi i vestiti di bisso. Subito pensai a una mia indisposizione, dato che il fenomeno non era spiegabile altrimenti: ci trovavamo in una zona temperata e inoltre, essendo il battello in immersione, non avrei dovuto risentire di alcun eventuale aumento di temperatura. Guardai il manometro. Segnava una profondità di venti metri: il calore atmosferico non poteva raggiungerci. Ripresi a lavorare, ma la temperatura si alzò al punto da diventare intollerabile. Che sia scoppiato un incendio a bordo? mi domandai.
Stavo per abbandonare il salone, quando entrò il capitano Nemo, si avvicinò al termometro e lo consultò.
- Quarantadue gradi disse, volgendosi verso di me.

- Me ne accorgo, comandante - risposi.- Per poco che questo calore aumenti, non potremo sopportarlo.

- Oh, non aumenterà, se non lo vogliamo noi, professore.

- Potete regolarlo a vostro piacere?

- No, ma posso allontanarmi dalla fonte che lo produce.

- E' una causa esterna?

- Certo. Stiamo navigando nell'acqua bollente.

- Possibile?

- Guardate. I pannelli si aprirono e vidi il mare attorno al Nautilus completamente bianco: una fumata di vapori solforosi si snodava in mezzo all'acqua che bolliva come in una caldaia. Appoggiai la mano su un vetro, ma il calore era tale che dovetti ritirarla.

- Dove siamo?

- Vicino all'isola di Santorini, professore. Ho voluto offrirvi questo spettacolo di eruzione sottomarina.

- Credevo che la formazione di queste nuove isole fosse terminata.

- Niente è mai terminato nelle zone vulcaniche - replicò il capitano Nemo.

- La terra vi è sempre tormentata da fuochi sotterranei.

Ritornai davanti al vetro. Il Nautilus era immobile, il calore diveniva intollerabile. Da bianco che era, il mare si andava facendo rosso, colorazione dovuta alla presenza di sale di ferro. Nonostante la chiusura stagna, nella sala si spandeva un odore solforoso insopportabile ed io vedevo balenare fiamme scarlatte la cui vivacità oscurava il chiarore del fanale elettrico. Ero in un bagno di sudore, soffocavo, mi pareva che mi stessero arrostendo.

 

 

Jules Verne

1871

 

 

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