Salvino Greco
Colapesce
Narrano le storie che verso l'anno 1230 viveva nella città di Messina un prodigioso pescatore
bello e forte, di nome Cola, il quale aveva la capacità di nuotare come un delfino e di
rimanere sott'acqua per molto tempo, quasi che in quell'elemento anch'egli divenisse
pesce e con essi si fermasse a ragionare. Ed erano talmente grandi la
sua
abilità e la sua dimestichezza con il mare, che la gente gli aggiunse il nomignolo di Pesce.
Colapesce, quindi, divenne il simbolo stesso delle profondità marine e le sue
immersioni in acqua si protraevano per un tempo così lungo che aveva dell'incredibile.
Era insomma una specie di sub d'apnea ante lítteram.
A lungo andare questa sua confidenza e dimestichezza con il mare, divenne così morbosa e
frequente da togliergli dal cuore ogni altro sentimento, e Cola finì per dimenticare
persino gli amici e la stessa famiglia dove si recava solo per dormire, con grande
disappunto e sofferenza del padre e della madre che, esasperata da quel suo comportamento,
una volta che non ne poté più, gli gridò dietro la seguente maledizione:
- Che tu, o Cola, possa davvero diventare un pesce!
Ma Cola, ormai, considerava il mare come la sua vera famiglia e in esso passava tutte le ore
della giornata, nuotando e pescando, dimentico della terra e persino della voglia di amare
e sposare una bella fanciulla del luogo, di nome Graziella, che di lui si era follemente
innamorata. La sua barca, sulle onde, correva veloce come nessun'altra.
Ma quando il desiderio lo
assaliva, egli era anche capace di nuotare per giorni interi, e raggiungere tutti i porti
della Sicilia e dell'Italia meridionale. Quando poi era stanco, si distendeva sulle onde e
riposava come e meglio che fosse su un morbido tappeto di Persia.
Nel corso delle sue lunghe scorribande sopra e sotto il mare, ebbe modo di conoscere le belle ninfe oceanine
dagli occhi dolci e le sinuose sirene ammaliatrici che lo vezzeggiavano con il loro canto
armonioso, senza che gli riuscisse mai di afferrarne una. Ammaliato le inseguiva anche nel
più profondo del mare, ed esse lo guidavano invitanti nei loro giardini di coralli, dove
crescevano i più bei fiori di madreperla e persino dentro i loro palazzi iridescenti,
scintillanti di perle e ripieni delle meraviglie più belle del mondo. Spesso, quando le
onde del mare sospinte dallo scirocco, divenivano irruenti ed alte come montagne, mettendo
in pericolo le navi di passaggio, Cola si tuffava senza esitazione, correva loro incontro
e con voce certa ed amica rincuorava gli smarriti naviganti, guidandoli sino al porto più
vicino.
Ma la sua mente era sempre rivolta agli amici pesci, alle ammaliatrici oceanine e alle
vezzose sirene che gli toglievano la pace e il sonno con i loro inviti fuggenti. Dagli
abissi più profondi egli sentiva salire ai suoi sensi effluvi dolcissimi e meravigliosi,
canti misteriosi e soavi che lo ninnavano in mezzo a voci suadenti, che gli ripetevano
continuamente:
- Cola! Cola! Perché non vieni a trovarci?
E Cola si tuffava. Noncurante delle suppliche e delle minacce della madre, e dei caldi e
pressanti inviti dell'innamorata Graziella, Cola nuotava a pelo d'acqua come un delfino
ebbro d'aria e di luce, e poi s'immergeva fino a toccare il fondo del mare, per trovare la
fonte di quell'irresistibile richiamo. Così passava il tempo Cola da Messina che, un po'
per celia e un po' per vero, ormai tutti chiamavano Colapesce da Messina (per l'esattezza
di Torre Faro).
A quel tempo, era re di Sicilia Federico II, grande monarca della Casa sveva, cultore delle
arti e delle scienze, letterato umanista e poeta sensibilissimo. Nel giorno di San Bicola
dell'anno 1230, Federico, venuto a conoscenza delle straordinarie capacità di questo
nuotatore messinese dalle immersioni senza tempo, volle vederlo all'opera e perciò lo
convocò a bordo della sua nave, allora alla fonda nel mezzo dello Stretto.
Egli, a quel tempo, viaggiava per cercare uno sposo degno della propria figlia che, alla bellezza della
persona, unisse anche la gentilezza del costume e il coraggio dei prodi. Ma sino ad
allora, nonostante avesse ricevuto prìncipi e nobili da molte parti del regno, nessuno
aveva soddisfatto e accontentato le esigenti pretese della principessina.
- lo mi darò - diceva lei - solo a chi mai niente potrà negarmi, solo a chi per me oserà
affrontare i pericoli più terribili e, se occorre, anche la morte, per farmi felice!...
Quando Cola fu davanti al Re e alla sua Corte e s'inchinò ossequioso e timido, un mormorio di
sorpresa si alzò dagli astanti che rimasero meravigliati della sua bellezza e della sua
prestanza. Il viso di Cola, chiaro e ancora imberbe, non recava traccia alcuna della
salsedine e, anzi, pareva che l'acqua del mare, lungi dal solcargli la pelle, gliel'avesse
levigata e resa ancora più liscia e morbida.
- Mi hanno detto
- disse il re Federico -
che nuoti come un pesce, che parli con le ninfe
oceanine e che passeggi con le sirene del mare. E' vero?
- Oh Re! - rispose Cola - lo sto in mare come tu stai nel tuo letto... lo passeggio sul fondo
del mare, come tu e la tua Corte passeggiate nei giardini dei tuoi palazzi... Io parlo con
le oceanine come fa la Principessa con le sue dame... Ti hanno detto il vero!
Un mormorio di lieta impressione si alzò dalla Corte, tutta schierata alle spalle del Re.
Solo la Principessina se ne restava muta e pensierosa a contemplare quel volto dolce ed
ispirato che le dava sensazioni nuove e misteriose.
- Orbene!
- disse alfine il Re -
Voglio metterti alla prova... Ora io getterò in mare
questa coppa d'oro massiccio tempestata di pietre preziose, in cui ho bevuto... Se tu la
troverai e me la riconsegnerai... Se farai questo, io allora ti farò ricco! E la Principessina, aggiunse:
- Oh Cola! Anch'io voglio metterti alla prova... Getterò in mare questa cintura e se me la
riporterai... io ti darò la mia mano da baciare!
E detto ciò il Re buttò in mare la coppa e la Principessina la cintura. Cola non rispose.
Con lo sguardo seguì il volo dei due oggetti, e com'essi scomparvero in mare, egli si
tuffò. Sulla spiaggia non molto lontana si era intanto adunata una gran folla e tutti
stavano in ansia e in silenzio, aspettando il suo riemergere. Poco dopo, nel punto in cui
Cola era sparito, l'acqua tornò ad incresparsi e Cola riapparve con nella destra la coppa
del Re e nella sinistra la cintura della Principessina.
Un urlo si levò allora dalla folla ed anche la Corte ne fu contagiata ed applaudì. La
Principessina, pallida e tremante, raccolse la coppa dalle mani di Cola e la porse al Re,
suo padre. Poi dalle mani di Cola prese la cintura e la rimise attorno al suo corpo. Per
un attimo i due giovani rimasero a fissarsi negli occhi, in silenzio, e la folla tornò ad
applaudire di gioia. Ma Federico non si appagò. Egli voleva vedere fino a che punto il
prodigioso nuotatore potesse immergersi. Ordinò perciò al nocchiero di condurre la nave
più a largo, dove le acque erano più profonde.
Giunti colà, il Re tornò a dire:
- O Cola! Mi hanno detto che il giorno gareggi con i delfini e che quando giochi con i tritoni
ti nascondi tra i coralli. lo ora getterò qui la mia coppa e se tu me la riporterai, io
ti farò cavaliere...
E il Re gettò in mare la sua coppa. E la Principessina aggiunse:
- O Cola! Dal mio collo io sciolgo questa collana che è fatta d'oro e di diamanti, e la
getterò in mare. Se tu me la riporterai, io mi farò da te abbracciare...
E la Principessina gettò in mare la sua collana. Cola non rispose. Salì sul bordo della
murata e spiccò un gran salto, entrando a capofitto nel mare. La folla, dopo un urlo
d'incoraggiamento, ristette in silenzio, in attesa ansiosa e pregando per la riuscita di
quella prova quasi impossibile. I secondi trascorrevano lunghi, interminabili. Finalmente,
in quel punto, le acque tornarono ad agitarsi e Cola riapparve tra il bianco spumeggiare
delle crestine d'onda, tenendo in una mano la coppa del Re e nell'altra la collana della
Principessina.
La folla, a quella vista, esplose in un hurrà di gioia, e tutti gli occhi si volsero al Re e
alla pallida Principessina che, secondo loro, si divertivano a far rischiare la vita al
giovane Cola. Ma il re Federico non si appagò e ordinò che la nave si spostasse ancora
verso il centro dello Stretto, dove c'è una fossa profonda, quasi una valle, che giunge
fino a Capo Peloro.
- O Cola!
- tornò a dire solenne e imperioso per la terza volta -
Va'!... Corri nell'abisso
che ti è più familiare d'ogni cosa... Ora io getterò qui la mia coppa, e se tu me la
riporterai io ti farò barone e ti innalzerò al mio fianco!... E la Principessina aggiunse:
- O Cola! Anch'io getterò qui il mio anello di zaffiri e brillanti, e se tu me lo riporterai
- e la sua faccia divenne rossa di pudore - io sarò tua sposa!...
Un urlo di terrore si levò dalla folla. - O temerario!
- si udì gridare ad una sola voce -
Non cercare la morte!... Tu non puoi
superare le forti correnti dello Stretto! Non puoi superare questa prova che è al di
sopra di ogni possibilità umana ... Rinuncia, rinuncia! La Principessina è perfida, e
crudele è il Re...
Ma la coppa e l'anello, intanto, erano già volati via, verso il profondo mare. Cola guardò
intensamente il luogo in cui affondarono. Poi, con un gran salto, si tuffò risoluto e in
men che non si dica disparve tra le onde andando in fondo dritto come piombo. Il silenzio
sulla nave e sulla vicina spiaggia si fece fitto. Anche il Re e la Principessina divennero
muti ed ansiosi, scrutando la superficie del mare appena increspata dal tuffo di Cola.
Tutta la Corte venne ad affacciarsi alla murata della nave. L'acqua, nel punto in cui era
sparito Cola, già da qualche tempo era tornata liscia come prima e trasparente come vetro
azzurrino. L'ansia e il timore, allora, cominciarono a dipingersi sul volto di tutti gli
astanti. Il tempo passò in fretta e subito si fece sera. Cola, detto Colapesce, non tornò più a
galla:
- Questa volta il mare volle tenerlo per sé, per non dividerlo mai più
- dissero -
con l'esigente re Federico e la superba principessina sua figlia.
E la leggenda volle colorire la sua scomparsa in modo fantasioso, tramandandoci che
Colapesce, giunto in fondo al mare, vide la colonna Peloro, quella sulla quale poggia la
cuspide settentrionale della Sicilia, quasi in punto d'infrangersi.
Allora, temendo che la
sua Messina potesse sprofondare da un momento all'altro, volle sostituirsi ad essa e corse
a sorreggerla, per non farla spezzare del tutto. Qualche fonte dice, invece, che Cola vaga
ancora disperato sul fondo del mare dello Stretto in cerca dell'anello della Principessa.
Ma l'anello è troppo piccolo e il mare tanto grande...
Ma questa è solo una delle tante versioni della leggenda di Colapesce.
Fra tutte vi è anche quella del musicista di San Giorgio Monforte (ME) Giovanni Fronte che, su libretto di
Giacomo Vaccaro, musicò in un'opera lirica in due atti, eseguita al teatro Mastroeni di
Messina il 18 dicembre 1919.
www.colapisci.it
|