Saggio di studii folkloristici Egizio-Sudanesi

I  Nilicoli

 

 

Dei Nilicoli di cui tratto, non so se altri n’abbia mai parlato, perché non mi pare ch’essi abbiano alcuna affinità cogli Ittiofagi di Erodoto; forse la Storia della vecchia pubblicata tanti anni fa nei Bolletlini dell’Istituto Egiziano da Arlin pascià fra altri racconti popolari si connette con questa credenza popolare dell'alto Egitto e del Sudan.
Il primo accenno dell'esistenza di anfibi semi-umani l'ebbi ad Assuan in una bella mattinata d'Aprile del 1897 mentre una barca navigando sul Nilo in compagnia d'amici osservava i vortici e volteggi delle acque che scendevano spumanti tra gli scogli che sorgono in quantità al sud dell’isola Elefantina.
Ad un tratto, nel sollevar gli occhi in cerca di qualche nuovo giuoco dell’onde, scorsi su un piccolo isolotto che s’ergeva alquanto sugli altri scogli ed aveva anche due piccole palme oltre qualche cespuglio, scorsi dico una canna da pesca attaccata ad una palma, dietro a quella una piccola capanna fatta a cono e fabbricata con canne, paglia e stuoie.
Chi mai poteva essere l’abitante di quel solitario e romantico asilo? Perché mai egli si era cosi appartato del mondo ed era andato a ficcarsi colà, circondato soltanto da scogli e da onde frementi?
Per trovare una risposta mi rivolsi ai barcaioli e un giovane berberino mi rispose:
- Egli è un sciek, uomo dabbene che sta sempre su quell’isola. Egli è tanto santo che sa parlare cogli abitanti del Nilo.

Tale notizia se soddisfaceva alla mia prima curiosità me ne mise in corpo una maggiore: chi potevano essere questi abitatori del Nilo, per confabulare coi quali bisognava avere una virtù non comune? Mi rivolsi subito al mio compiacente interlocutore domandandogli:
- Ma questi nilicoli sono degli uomini come noi? e che colore hanno?
- Essi sono proprio come noi, mi rispose, soltanto la loro pelle non è nè nera come la nostra nè bianca come la vostra, ma è rossa.

L’argomento diventava sempre più intéressante.
- Chi mai ha visto questa gente del fîume dalla pelle rossa?
- Nessuno gli può vedere, fu la risposta, salvo gli eremiti ed i grandi sciek.

Intanto che noi tenevamo questo discorso gli altri barcaioli ammiccavano al compagno e colle boccacce cercavano fargli capire che si doveva tacere, arrivati a questo punto proteslarono in coro
- Non è vero niente, egli è uno sciocco

I miei compagni di gita, che a stento avevano fin’allora frenate le risa, uscirono in tal omerica risata che sconcertò completamente il mio interlocutore e mi resero impossibile ogni ulteriore ricerca.
Giova qua notare che per poter conoscere la mentalità specialmente dei primitivi non bisogna mai dimostrare sorprese e tanto meno l’aria canzonatoria; bisogna sapersene star serii e sorbire tutto quel notiziario, di qualsiasi portata, che l’indigeno è disposto a palesare.

Qualche mese dopo trovandomi a parlare confidenzialmente con uno sciek d’Assuan, nativo del paese (altra dote richiesta per poter conoscere gli usi e mentalità locali), gli domandai dimostrando la mia simpatia per l’argomento:
- Vorrei sapere da lei cosa sono questi uomini del fiume, perchè ho sentito che ci sono dei nilicoli colla pelle rossa che vivono nell’acqua, che hanno elefanti, cavalli, cani, iene ed altre bestie.
- Sicuro, mi rispose è proprio cosi.
- Ma sono gente come noi oppure?...
- No, no, non sono come noi. Perché del resto come potrebbero vivere nell’acqua? Se un di noi cade in acqua subito questa gli penetra nel corpo da tutte parti e poi muore
- Ma io ho sentito che sono uomini come noi, soltanto si differenziano perché hanno la pelle rossa.
- No essi non sono uomini
- Che cosa sono allora?
- Essi sono gin (piccoli diavoli) vengono dall’inferno e le loro opere sono diavolerie
- Allora sono certamente degli esseri cattivi?
- Sicuro, essi sono gin
- Ho sentito dire ch’essi possono anche far del male alle persone, farle annegare quando s’avvicinano al fiume o vi scendono a nuotare; altre volte sommergono o capovolgono le barche.
- Sicuro, ma questo solo col permesso di Dio, perché se Dio non lo permette nessun gin o scilan può farci del male. Cosi è anche scritto nei nostri libri.
- Senta, signor Sciek, ho visto una volta un eremita, là in mezzo al fiume, che se ne sta lutto solo in una capanna su uno scoglio e mi fu detto ch’egli se la intenda molto bene cogli uomini del fiume e che come lui ce ne sono molti altri, tra la gente istruita, che san parlare con loro.
- Senta non è vero che ce ne siano molti fra la gente per bene, perché queste sono diavolerie. Io lo so molto bene, ci sono dei grossi libri che insegnano queste cose, ma i più bravi in quest’arte, anzi gli unici bravi, sono i sudanesi. Ma queste sono diavolerie. Costoro quando vogliono mettersi in relazione coi gin digiunano per un dato spazio di tempo, poi si mettono a studiare con dei maestri ed alla fine riescono a mettersi in relazione coi gin; di costoro in Assuan ve ne sono molti, molti più di quello che lei creda. Costoro possono fare delle cose straordinarie, sapere tutto quel che vogliono. Essi non hanno che a versarsi un po' d’inchiostro sulla palma della mano e poi vi vedono sopra ogni sorta di cose, per lo più sono grandi stanze con sedie, divani, ecc., con gente che va e viene, e poi vedon uno che va a sedersi in mezzo. Se qualcuno domanda loro che cosa vedono, essi dicono: vedo una bella stanza, con tante sedie, ecco un uomo che prende una sedia, là ce n’è un’altro che esce, un terzo che entra e cosi di seguito. Se qualcuno ha perso qualche cosa o vuol sapere che cosa c’è in un luogo anche molto lontano, non ha che a domandarlo ad uno di costoro, egli rivolge la domanda a quello che sta sulla sedia e ne ha subito la risposta ch’egli desidera. Coll’istesso mezzo si possono sapere quali rimedii occorrono per le più diverse malattie. Ma queste cose non vanno bene, sono cattive perché vi entrano i gin.
- Ma questi tali che si fanno intermediarii fra noi ed i gin si fanno pagare?
- Alle volte si, alle volte no, perché essi non hanno bisogno dei nostri denari, anzi se alcuno ne ha bisogno può andare da qualcuno di loro; essi disegnano sulla sabbia un quadrato, che poi suddividono in quattro minori, vi sovrappongono una carta e poi domandan quanto voi?   Poi alzano la carta e si trova sotto quanto quell’altro ha domandato uno ghinea, due, tre, ecc.
- Ma tra i gin e questi uomini non corrono altre relazioni?
- Questi eremiti cattivi che sono in relazione coi gin, alle volte vanno con loro sott’acqua e ci stanno colà due, tre, quattro giorni, perché i gin li proteggono. Anzi ci sono di quelli e di quelle che si sposano coi gin. Io n’ho conosciuto uno, il quale cavalcava sempre sul suo asinello in riva al Nilo e so d’aver domandato a chi lo conosceva, perché mai se ne stesse sempre cosi solitario e mi fu risposto: Perché la sua moglie è un gin. N’ho conosciuto un’altro ch’era nella stessa condizione; egli se ne stava sempre solo nella sua capanna, il suo volto era sempre triste e cupo, gli occhi stralunati da metter orrore a guardarlo. Alle volte i gin s’impossessano d’un uomo o di una donna ed allora questi parlano, dicono e fanno cose al tutto straordinarie. Nei tempi passati anch’io mosso da curiosità di conoscere, mi posi a studiare i libri che trattano di queste materie, e ce ne sono molti e grossi specialmente nel Sudan, e quando capitava in Assuan qualcuno di tali maestri io andavo da lui per imparare l'arte di mettermi in communicazione coi gin. Provai molti libri e molti maestri, ma poi essendomi convinto ch’erano tutte diavolerie e cose cattive, lasciai tutto e non ne volli più sapere.

Il mio dotto interlocutore m'avea portato su un campo diverso dal cercato, nel quale tutti m'avevano detto ch'era un buon intenditore.
Mi occorrevano altre notizie sui miei Nilicoli, pensando che il nostro vecchio portinaio berberino, doveva saperne quanto i suoi compaesani barcaioli, un bel giorno gli domandai di botto:
- Abd-el-Karim, ho sentito dire che nel Nilo vi sono degli uomini dalla pelle rossa, lo sai tu?
- Sicuro - fu la pronta risposta
- Ma costoro - continuai - hanno moglie, figliuoli, nascono,muoiono, e fanno tutti i loro affari nell’acqua?
- Precisamente come facciamo noi sulla terra.
- Ma questa gente del fiume, sono buona o cattiva gente?
- Gente molto cattiva; sai di quel Mohammed figlio di sciek Hassan che si è annegato pochi giorni fa? (un giovanotto che si era gettato nell’acqua poco dopo aver mangiato e sul mezzogiorno) quello tutti hanno detto che sono stati gli uomini del fiume che l’hanno tirato giù pei piedi. Cosi l’altra sera una ragazza ch’era andata al fiume ad attinger acqua, ad un tratto si è sentita tirar giù nell’acqua, gettò un urlo e nessuno non l’ha più vista né sentita, gli uomini del fiume l’avevano rubata.
- Ma chi gli ha visti questi uomini del fiume, gli hai visti te?
- Io no, ma molti gli hanno visti. Io conosco un uomo il quale aveva la casa proprio in riva al fiume: una notte poco dopo che la sua moglie era uscita fuori di casa per non si sa qual motivo, la sentì gridare e chiamar aiuto; ebbe appena il tempo d’uscir all’aperto che vide uno di quei nilicoli che, portando in braccio la moglie si gettò sott’acqua e scomparvero. Per quante ricerche egli abbia fatte non potè più trovar tracce della sua moglie.
- Ma questi uomini del fiume possono parlare ed intendersela cogli uomini della terra?
- Non con tutti, ma soltanto con delle persone che abbiano studiato sui libri grossi. Ma se ne vuoi sapere di più sull’argomento, devi rivolgerli a qualcuno di costoro, essi parlano coi nilicoli e conoscono tutti i loro usi.

Compresi che la scienza di Abdel-Karim sui pellirossi acquatici era esaurita, non mi restava altro che attendere la possibilità di parlare con degli autentici sudanesi e nel Sudan.
Nel marzo del 1901 trovandomi sui nostro vaporino il Redemptor in navigazione sui Nilo Bianco, venni a sapere che lo stesso Rais (un incartapecorito dongolano di età leggendaria) ed un fuochista avevano avuto a che fare con dei veri nilicoli, visti, palpati, toccati, e non solo da loro in segreto, ma persino con testimonii; una sera me li feci venire nella saletta del battello, coi due venne quasi tutto l’equipaggio.
I miei uomini dopo le prime interrogazioni m’apparvero divisi di parère in due schiere: l’una capitanala dal rais credeva all’esistenza dei nilicoli, ma negava che si potessero vedere dai profani. Mentre gli altri capitanati da un nubano e da un denka, non solo credeva all’esistenza dei nilicoli, ma pretendeva d’averli visti ed anche palpati.
Questi ultimi erano gli uomini che mi bisognavano.
Giaber, il nubano, grande, grosso e nero luccicante come ogni buon rappresentante della sua razza, ci raccontò che nel 1895, o giù di lì, un bel giorno alcuni pescatori di Omdurman, eransi accorti che nella loro rete dovevaci essere un enorme pesce, perché non riescivano a tirarla fuor sulla riva, ed in conseguenza chiamarono altri in aiuto. Riesciti finalmente a ritirare la rete, con meraviglia vi trovarono dentro un essere straordinario: dalla cintola in sù aveva tutta l’apparenza d’un essere umano, propriamente d’una donna, aveva i capelli lunghi, faccia, braccia, torace, come abbiamo noi; dai lombi in giù era un perfetto pesce.
Passato il primo stupore, il mostro venne afferrato e due coraggiosi sollevandolo colle loro robuste braccia sotto le ascelle, e venendo gli altri in coda, lo portarono dal Califfa Abduilahi. Il Califfa provò di parlarle, e la nilicola parve capire e voler rispondere con dei cenni del capo; poi le domandò s’era contenta di restare con loro ed essa fece cenno di no; le domandò se voleva ritornare nell'acqua, e rispose con segni di allegrezza di si. Allora il Califfo Abduilahi comandò che si riportasse la nilicola nell’acqua, come si fece difatti da quelli stessi che ve l’avevano tolta.
L’essere misterioso arrivato in riva al fiume, agitando poco per volta le pinne caudali e trascinandosi indietro riescì in breve ad arrivare all’acqua ed a tuffarsi nel fiume e nessuno l’ebbe più a vedere.
Due dongolani m’asserivano ch’essi erano stati presenti al fatto, con innumeri altri testimonii, ed attestavano l’autenticità di tutte e singole le circostanze del fatto.

Il nero denka, compagno del nubano alla caldaia del battello, tanto più alto di statura quanto più pronto a raccontarle grosse, non solo attestava la verità dell’esistenza dei nilicoli, ma asseriva che se trovavamo strana l’esistenza di tali esseri, egli ci poteva dar delle prove convincenti sull’esistenza di esseri più strani ancora, ch’egli asseriva d’aver visti e toccati i Ciacatola, che sono mezzo uomini con un sol braccio, una sola gamba, mezzo busto; aspettava che continuasse col mezzo collo, mezza testa, ecc. ma il testimone si fermò nella descrizione.

Un barcaiolo dongolano, di nome Abdalla Buluk attestava per suo conto che proprio al 9 gennaio di quello stesso anno 1901, trovandosi di guardia nella notte sul battello, a due o tre chilometri dalla foce del Sobat, aveva visto apparire due volte a fior d’acqua a poca distanza del battello la testa d’un nilicolo, che l’aveva fissato per qualche istante e poi erasi nuovamente tuffato nell’onde.

Visto che i miei uomini erano tutti d’accordo sull’argomento, per quella sera chiusi la discussione; ma la mia opinione era bella e formata su un punto che cioè i neri sono dei meravigliosi conta storie, e che i dongolani come tutti i berberini sono dei grandi credenzoni.

Lasciai passare del tempo parecchio e poi ritornai sull’argomento prendendo a parlarne coi singoli individui, e cosi finii a sapere che la famosa nilicola di Omdurman sfumate tutte le apparenze umane, diminuita di statura, in realtà era un piccolo anfibio, grande come un cane, con un piccolo muso e delle orecchie piccole e dritte, con piccole zampe e coda; che fu realmente presentata, cioè portata da un uomo al Califfo Abdullahi, che avendo rifiutato il dono, l’anfibio fu portato al mercato e venduto.
Così pure il nilicola del Sobat finì coll’aver mostrato a fior d’acqua un musetto da gatto, con due orecchiette idem.
Finii cosi per persuadermi che si trattasse di qualche raro esemplare di lontra, e che precisamente per la sua rarità e sveltezza di moti abbia dato origine alla storiella dei «Nilicoli» e relative credenze superstiziose.

 

 

 

Tappi Carlo
1925

  Bulletin de l'Institut d'Egypte, tome 7, 1924. pp. 121- 126;
 
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