Biblioteca I, 6
Gigantoachia
Guerra dei Giganti con gli Dei, e
strage dei primi
Guerra di Tifone, ed esito della medesima
1
Gea, intanto, sdegnata per la
faccenda dei Titani, insieme a Urano aveva generato i Giganti.
Nessuno era più enorme di loro, nessuno poteva vincere la loro
forza: a guardarli facevano davvero paura, coi loro lunghi
capelli irsuti e la barba ispida, e squamose code di serpente al
posto dei piedi. Essi nacquero, sostengono alcuni, a Flegra;
altri invece dicono a Pallene.
E subito bersagliarono il cielo
con pesanti massi e con querce infuocate. I loro capi erano Porfirione e Alcioneo:
quest'ultimo era immortale, finché avesse combattuto nella terra
dove era nato. È lui quello che portò via i buoi di Elios da Erizia.
Ma gli Dèi avevano avuto una profezia: nessuno
dei Giganti avrebbe potuto essere ucciso dagli Immortali, ameno
che un uomo non intervenisse nella battaglia come alleato degli
Dèi.
Avvertita di questo, subito Gea si mise in cerca di un
farmaco, perché i Giganti non potessero venire distrutti da un
uomo mortale.
Zeus allora proibì ad Eos, Selene ed Elios di far
brillare la loro luce, colse lui per primo l'erba magica, e
disse ad Atena di andare a chiamare Eracle come loro alleato.
Subito Eracle colpì Alcioneo con le sue frecce: il Gigante cadde
a terra, e all'istante riprese vita, più forte di prima. L'eroe
allora, su consiglio di Atena, lanciò Alcioneo fuori dalla terra
di Pallene, e quello morì.
2
Porfirione attaccò Eracle ed Era.
Ma Zeus gli gettò in cuore una smania amorosa per Era: il
Gigante strappò la tunica alla Dea e cercò di farle violenza, ma
lei gridò al soccorso, Zeus colpì Porfirione con la sua folgore,
ed Eracle lo finì con le sue frecce.
Quanto agli altri Giganti, Efialte fu
colpito all'occhio sinistro da una freccia di Apollo, e a quello
destro da una freccia di Eracle; Eurito fu ucciso da Dioniso con
il suo tirso, Clizio fu ucciso da Ecate con le sue torce, o
forse da Efesto con il ferro incandescente. Encelado tentò di
fuggire, ma Atena gli gettò sopra l'isola di Sicilia; a Pallante,
poi, Atena strappò via la pelle e la usò per proteggersi il corpo in
battaglia.
Polibote fu inseguito per mare da Poseidone,
e giunse a Coo; il Dio allora tagliò un pezzo dell'isola e
glielo scagliò addosso: adesso è l'isolotto che chiamiamo Nisiro.
Ermes,
con l'elmo magico di Ade sulla testa, uccise Ippolito, e Artemide uccise Gratione.
Le Moire uccisero Agrio e Toante, che combattevano con randelli
di bronzo. Tutti gli altri furono annientati dalle folgori
di Zeus: e a tutti Eracle dava il colpo di grazia con le sue
frecce.
3
Così gli Dèi riuscirono a
sconfiggere i Giganti.
Ma Gea, sempre più furibonda, si unì
a Tartaro, e partorì Tifone,
in terra di Cilicia,
una creatura metà uomo e metà bestia. La sua forza e la sua
imponenza superavano di gran lunga quelle di tutti i figli
di Gea.
Fino alle cosce aveva una forma umana, ma di spaventosa
enormità: era più grande di tutte le montagne, e la sua testa
spesso sfiorava le stelle. Le sue braccia aperte toccavano da
una parte il tramonto e dall'altra l'aurora, e terminavano con
cento teste di serpente. Dalle cosce in giù, invece, aveva
smisurate spire di vipera: se le stendeva, gli arrivavano fino
alla testa, e producevano orrendi sibili.
Tutto il suo corpo era
alato; un pelo irsuto gli ondeggiava sulla testa e sulle guance,
e gli occhi sprizzavano fiamme. Con tutta la sua mostruosa
grandezza, Tifone si mise a scagliare massi infuocati contro il
cielo stesso, fra urla e sibili: e dalla sua bocca sgorgavano
torrenti di fuoco.
Gli Dèi, come videro quel suo assalto al
cielo, fuggirono tutti in Egitto, e per non essere scoperti
assunsero l'aspetto di animali. Ma Zeus colpì Tifone da lontano
con la sua folgore, poi gli si avvicinò e lo colpì con il falcetto d'acciaio.
Tifone fuggì sul monte Casio, che sovrasta
la Siria, e Zeus lo inseguì e, vedendolo così ferito, lo
attaccò.
Ma Tifone lo avvolse con le sue spire, lo immobilizzò,
gli strappò il falcetto, e con quello gli tagliò i tendini delle
braccia e delle gambe. Poi se lo mise in spalla, attraversò il
mare, lo portò in Cilicia, e lo scaricò nell'antro Coricio.
Anche i tendini li nascose lì, in una pelle d'orso, e vi pose a
guardia la dragonessa Delfine, che era una fanciulla metà donna
e metà animale.
Ma Ermes ed Egipane rubarono i tendini e li
riadattarono di nascosto al corpo di Zeus.
Ritrovata la sua
forza, subito Zeus tornò in cielo, salì su un carro tramato da
cavalli alati, e, scagliando fulmini, inseguì Tifone sul monte
chiamato Nisa, dove le Moire ingannarono il fuggiasco e lo
convinsero a mangiare i frutti di Thanatos, facendogli invece
credere che così avrebbe ritrovato tutta la sua forza.
E di
nuovo Zeus lo inseguì fino in Tracia, dove Tifone nella lotta
presso il monte Emo gli scagliò addosso intere montagne.
Ma i
fulmini di Zeus le fecero rimbalzare indietro contro di lui, e
fiumi di sangue inondarono il monte, che proprio da quell'episodio
prese il suo nome.
Tifone cercò di fuggire attraverso il mare
di Sicilia, ma Zeus gli gettò addosso l'altissimo monte Etna, e
lo schiacciò: è da quel giorno, dicono, che l'Etna erutta fuoco,
per tutti quei fulmini scagliati.
Ma di questi avvenimenti si è
già parlato abbastanza.
Pseudo-Apollodoro
Biblioteca I,6
I sec. a.c.
Altra traduzione del Cav.
Compagnoni
Guerra de’ Giganti cogli Dei, e
strage de’ primi.
Guerra di Tifone , ed esito della medesima
I
Tellure indispettita a cagione dei Titani, congiuntasi con Urano partorì i
Giganti, non tanto per enorme corporatura, quanto per robustezza
di forze invincibili: i quali aveano tcrribil faccia, ampia capcllatiira, e
lunghissima barba} ed oltre ciò estremità di serpente.
V'ha chi dice avere essi abitato ne’ campi Fiegrei nella Pallene. Costoro
lanciavano contro Urano sassi ed alberi accesi ; e leggiamo che tra essi
erano principalissimi Porfirione ed Àlcioneo, il quale combattendo sul
suolo, su cui nacque , era immortale. Di lui dicesi ancora, che dalla Erizia
avea condotti via i buoi del Sole.
Ora fra gli Dei era voce che nissuno di que’ Giganti si potesse uccidere; ma
bensì che sarebbero morti, se si fosse a quella impresa tolto a compagno
alcun mortale. Il che da Tcllure uditosi, andò essa cercando una certa
pianta, per la cui virtù impedire, che forza di alcun mortale trar potesse a
morte i Giganti.
Allora Giove proibì ad Aurora, alla Luna, e al Sole di farsi vedere; e così
avvolgendo in piena oscurità le cose fece che Tellure non trovasse la pianta
ch’essa cercava ; anzi per maggior sicurezza quella pianta tagliò; e
per consiglio di Minerva chiamò a compagno della impresa Ercole, che primo
di tutti ammazzò Àlcioneo, trafitto avendolo con una saetta.
Uopo è dire però che Àlcioneo nella lotta ripigliava dal suolo più forza di
quanto né avesse prima: se non che a suggerimento di Minerva Ercole lo
trasse fuori di Pallene; e così quel Gigante rimase morto per sempre.
II
Porfirione dall'altra
parte si scagliò con grande impeto contro Ercole e contro Giunone.
A lui Giove ispirò desiderio di lei, la quale veggendosi stracciar di dosso
il peplo, e minacciar prossima violenza, gridò aiuto; e il Gigante fulminato
da Giove, e trafitto dalle saette d? Ercole, morì.
Nè furono senza guai gli altri Giganti; poiché Apollo cavò ad Efialte
l’occhio sinistro, ed Ercole il destro. Bacco ammazzò Eurito con un colpo
del tirso. Clizio fu con ferro rovente ammazzato da Ecate, o piuttosto da
Vulcano, secondo che viene scritto. Minerva cacciò addosso ad Encelado,
mentre fuggiva, l’isola di Sicilia, che ne coprì il corpo; ed avendo
nel combattimento tratta la pelle a Pallante, se ne copri essa il proprio
corpo. Polibote inseguito in mezzo ai flutti del mare da Nettuno, finalmente
potè giungere in Cò, della quale isola distaccata una porzione, quel Dio
gliela slanciò contro come se fosse stata un dardo. Quella porzione
d’isola chiamossi Nisiro.
Mercurio avendo in testa l’elmo di Plutone trasse a morte Ippolito: Diana
fece lo stesso di Grazione; e le Parche combattendo con una mazza di bronzo
uccisero Toone ed Agrio; e gli altri a colpi di fulmini oppressi da
Giove Ercole andava finendo saettandoli.
III
Così dagli Dei debellati i Giganti, Tellure assai più di prima
atrocemente sdegnata si unì al Tartaro, ed in Sicilia partorì
Tifone
composto di due nature, della umana, cioè, e della ferina.
Era Tifone fra
quanti Tellure avesse generati il più notabile e per la smisurata grandezza, e per la forza. Costui infino alle cosce era
di forma umana, e di si
immensa altezza, che superava le vette de’ monti, e colla testa spesso
toccava le stelle, mentre con una mano giungeva sino all’occidente, e coll’altra all’oriente;
e da quelle mani davano fuori cento teste di
draghi. Nelle cosce poi avea grandissime spire di vipere, i volumi delle
quali stendevansi fino alla sua testa, facendo intanto quelle vipere un
orrendo sibilo.
Tutto il corpo di Tifone era coperto di penne, e dalla testa
venivano giù squallidi i crini, come fitta e lunga la barba dal mento; e gittava fiamme dagli occhi.
Mostro siffatto scagliava al Cielo pietre
infuocate, ed empiva tutto di fischi, e di ruggiti: procella di vampe erano
le fiamme, che spirava dalla bocca.
Tosto che gli Dei lo videro assaltare
il Cielo, postisi in fuga si avviarono verso l’Egitto, e vedendosi da
esso lui inseguiti, si trasmutarono in varie forme di animali.
Ma
Giove, veduto Tifone da lungi, il percosse col fulmine; e quando gli fu
vicino, lo spaventò orrendamente apparendogli innanzi armato di una falce
adamantina. E poiché il mostro fuggiva, egli lo inseguì fino al monte Casio, posto alla estremità ultima della Siria; ed ivi veduto com’era già
ferito; si azzuffò con esso lui.
Se non che Tifone abbrancatolo colle
voluminose sue spire il serrò stretto; e toltagli la falce gli tagliò i
tendini delle mani e de' piedi, e postolosi sulle spalle il portò fino in
Cilicia, dove giunto lo depose nell'antro Corieio, ivi deponendo ancora
entro una pelle d’orso i tendini tagliatigli; e mise alla custodia del
luogo Delfine, mezzo donna e mezzo serpente.
Però Mercurio ed Egipane que’
tendini riattaccarono occultamente a Giove; e questi ricuperate le forze di
prima, e subitamente attaccati ad un carro cavalli che aveano le ale,
salito sopra esso, fino al monte Nisa inseguì Tifone fulminandolo.
Al qual
monte quegli arrivato, le Parche lo ingannarono dandogli ad intendere che
avrebbe potuto prevalere a Giove, se mangiato avesse certe frutta da esse
offertegli.
Infatti egli le mangiò. E reggendosi poi di bel nuovo da Giove
inseguito, corse in Tracia; e venuto presso l'Emo a battaglia, gli lanciò
contro montagne intere.
Ma queste per la forza de’ fulmini cadendo rotte,
Tifone pe’ rottami veniva ferito, e dal suo sangue tinto l’Emo, che dicesi
da ciò aver preso il nome.
In fine essendosi Tifone posto a fuggire pel mare
Siculo, Giove gli rovesciò addosso il monte Etna, il quale è di
meravigliosa ampiezza; e vien narrato, che fino ai presenti tempi pel fuoco
da que’ fulmini acceso s’aprono i grandi spiragli di fiamme, che vi si veggono.
Ma di queste còse basti fin qui.
Pseudo-Apollodoro
Biblioteca I,6
I sec. a.c.
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