Sulle spalle di
Colapesce
di Roberto Sammito | 06/10/2010 |
Stasera on air una nuova puntata di Radio Luxembourg. Si
parlerà di Soda Geyser e Simpathy for the Devil ma il
pezzo forte è la
nota leggenda del ragazzo che sorregge il peso della Sicilia.
Lo sapevate
che a Catania ci sono una statua e un’effigie a lui dedicate?
Una delle leggende più note della Sicilia è
quella di “Colapesce”, novella del 1300 giunta a noi in tante versioni
differenti ma sempre con lo stesso epilogo. Secondo Giuseppe Pitrè,
esperto di folclore siciliano, ne esistono oltre quaranta versioni che
l’hanno resa una delle storie «più conosciute, raccontata da secoli e
secoli, e citata da scienziati e letterati, teologi e filosofi, storici e
novellieri, prosatori e poeti…».
Tra i filosofi che si sono
interessati a Colapesce c’è Benedetto Croce, tra gli scrittori Italo
Calvino e Stendhal. Renato Guttuso l’ha rappresentata sulla volta del
Teatro Vittorio Emanuele II di Messina e il cantautore siciliano Otello
Profazio ne ha fatto una canzone.
La storia è quella di Nicola,
detto Cola, un giovane messinese, vera forza della natura, che viveva a
Capo Peloro. Nicola, era un strepitoso nuotatore e riusciva ad immergersi
per lungo tempo come fosse un pesce, tanto da guadagnarsi il nomignolo di
Colapisci. Il giovane amava il mare e i pesci e per questo rigettava in
acqua i pesci che il padre e i fratelli portavano a casa. Un giorno,
Colapesce vide nel cesto che il padre aveva portato a casa una murena viva
e la riportò in acqua facendo infuriare la madre che gli lanciò una
maledizione:
«Tuo padre e i tuoi fratelli faticano per prendere il
pesce e tu lo ributti nel mare! Peccato mortale è questo, buttare via la
roba del Signore. Se tu non ti ravvedi, possa anche tu diventare
pesce».
Da quel momento il ragazzo cominciò a cambiare, trascorreva
sempre più tempo in mare ed era d’aiuto ai naviganti. La maledizione fu
completa quando gli comparvero le squame e le sue mani divennero
palmate.
Colapesce esplorò tutti i fondali marini viaggiando nello
stomaco di pesci più grandi di lui. Quando tornava in superficie
raccontava storie di strani pesci, di città sommerse e di tesori. Un
giorno riportò a galla un carico di monete d’oro trovate in un vascello
affondato.
Cola divenne famoso, tanto da incuriosire l’imperatore Federico II che lo volle conoscere. Il re lo mise subito alla prova: prima buttò in
mare una coppa d’oro che il giovane riportò a galla dopo pochi istanti,
poi lanciò la sua preziosa corona e anche questa fu recuperata. Il sovrano
era curioso di sapere quanto fosse profondo il mare di Messina e gli
chiese di arrivare fino al fondale.
Colapesce ubbidì e quando tornò in
superficie raccontò cosa aveva visto. «Maestà, – disse – tre
sono le colonne su cui poggia la nostra isola: due sono intatte e forti,
l'altra è vacillante, perché il fuoco la consuma, tra Catania e
Messina».
Il re chiese allora che gli fosse portato un po’ di quel
fuoco che ardeva sotto il mare e Colapesce, seppur titubante, decise di
accontentarlo.
«Se voi così volete, Maestà, – disse Cola -
scenderò. Ma il cuore mi dice che non tornerò più su. Datemi una
manciata di lenticchie. Se scampo, tornerò su io; ma se vedete venire a
galla le lenticchie, è segno che io non torno più».
Qualche giorno
dopo videro affiorare le lenticchie, ma di Colapesce nemmeno l’ombra. In
molti sostengono che non sia morto ma che abbia scelto di restare negli
abissi per salvare la Sicilia. Colapesce, prima della sua ultima
immersione, aveva raccontato che una delle tre colonne su cui poggia la
isola a tre punte stava per crollare a causa del fuoco e della lava
dell’Etna.
Colapesce scelse di restare in fondo al mare per sostenere la
Sicilia. Ogni tanto si stanca e sposta il peso da una spalla all’altra
facendo tremare la terra.
«Non si evocherà più ufficialmente il nome
di Colapesce. Ma tutti i siciliani sanno e si trasmettono di generazione
in generazione la loro verità. La Sicilia non è mai sprofondata perché un
piccolo pescatore di Messina l'ha salvata, andando a sostituire il
pilastro difettoso, da qualche parte sotto l’Etna».
Questa
storia riprende e unisce elementi di diverse versioni, ma ce ne sono altre
che differiscono da questa. Nella versione francese Re Ruggero prende il
posto di Federico II inserendo la storia in un contesto più antico. Italo
Calvino trascrive la leggenda raccontando di tre colonne che sorreggono
Messina e non l’intera Sicilia. Ne esiste anche una versione in napoletano
e una che vuole Colapesce nato a Catania.
Una variante poco nota e forse
legata ad una storia del settecento che racconta di un bravo tuffatore catanese, soprannominato Pipiridduni, che si vantava di essere diretto
discendente di Colapesce. La città etnea ha voluto ricordare la storia del
giovane che ha sacrificato la sua vita per la sopravvivenza dell’Isola con
una statua in piazza della Repubblica e con una raffigurazione su uno dei
lampioni di piazza Università. Infine, non manca una versione che ne
presagisce il ritorno. Secondo questa Cola tornerà sulla terra quando
nessun uomo soffrirà più per dolore o per castighi. Visti i tempi è
improbabile che lo rivedremo presto.
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