La leggenda di Colapesce

Tra le leggende che hanno la propria collocazione nello Stretto di Messina quella di Colapesce è una delle più conosciute.
I motivi che, attraverso i secoli, hanno concorso ad arricchirla di intenzioni e di richiami appartengono alla "dinamica culturale"' che, nel nostro caso, prende l'avvio dai miti preesistenti e fa confluire nell'impianto narrativo atteggiamenti e costumi che sono del popolo siciliano e di quello messinese in particolare. Proprio in ragione di ciò non ci imbatteremo in un solo Colapesce.
Ogni età ne ha uno proprio in concomitanza con le qualità peculiari che caratterizzano il singolo panorama ideologico e culturale: c'è quello che si colloca in un mondo la cui conoscenza si fonda ancora su una speculazione di tipo astratto (Salimbene de Adam); c'è quello animato dalla nuova conoscenza dell'uomo curioso verso tutto ciò che appartiene al mondo degli uomini (Pontano); c'è quello proiettato verso la conoscenza di ciò che la natura nasconde (Kircher); c'è quello teso a dominare le forze di una storia vista come un sistema di forze estranee alla sensibilità e alla generosità dell'eroe (Schiller, Bisazza). C'è infine il Colapesce del nostro tempo: quello che, deluso per una società in cui continuano a dominare loschi poteri trasversali, preferisce appartarsi piuttosto che assoggettarsi alle imposture della storia (Sciascia); quello che dolorosamente s'interroga sui misteri inestricabili della realtà, siciliana in particolare, e a qualsiasi altra condizione preferisce la vita nel mare, dove non c'è "codice penale / che condanna gli innocenti / e ai ricchi dà sciali" (Buttitta), e quello che proietta gli scompensi al di là della realtà fenomenica, in un mondo dove l'uomo può sperimentare che "ogni goccia di mare / è oceano, rugiada, / lacrima d'infinito" (Bellezza).

Colapesce è un'entità complessa.
Gli antecedenti che con la sua leggenda si possono più facilmente saldare sono i miti che gli antichi collocavano nell'ampio scenario dello Stretto. Solo che il mare in cui il nuotatore agisce non è chiamato a caratterizzare l'eroe nell'atto di compiere la grande missione. La via che il personaggio si apre verso il fiabesco, più che scatto evasivo, è volontà di recuperare la totalità del reale senza ricorrere a strumenti magici che mettano in fuga potenze maligne o abbattano barriere che precludono la vista del dio. Qui la drammaticità raggiunge il suo acme non quando l'eroe si libera del mostro col trucco escogitato nel pericolo, ma nel momento in cui il nuotatore rivela che la colonna sulla quale poggia Messina è corrosa dall'acqua e dal fuoco. Motivo sufficiente per fare della "storia" di Colapesce una proiezione della nostra esperienza in una lontananza dove la lotta per l'esistenza s'impregna ancora di sentimenti umani: una concrezione che amalgama i molteplici elementi in una vasta allegoria dell'ordine universale frantumato. L'ordine turbato può ricomporsi solo in un distacco che pone il protagonista in una condizione in cui tempo e spazio sono mediati in forme e immagini che dei fatti reali mantengono un ricordo certo e definito.

Così come s'è formata nel tempo, la leggenda è un esempio delle modifiche, anche organiche, che un documento folklorico può subire in una società orale. Ciò spiega la varietà di atteggiamenti che si possono assumere di fronte ad essa. Anche per questo non è stato difficile farne un mito cosmogonico o ridurre il tutto ad una storia d'avventura, d'intrigo e d'ingegnosità. Non è raro che nella tradizione orale contemporanea Colapesce venga identificato con l'aspirazione ad attingere una realtà che i sensi non possono cogliere.
L'uomo che viene fuori dal racconto spesso porta i segni della tensione dell'anima dilacerata dal conflitto tra ciò che viene imposto dalla natura e ciò che proviene dalla volontà. Da una parte c'è chi vuole certezze sulla consistenza della realtà; dall'altra parte c'è chi non ha più l'alternativa di un'esistenza condotta sotto il controllo della razionalità e quindi non può rendersi conto che il suo è un agire e un soccombere insieme.

 


Particolari della leggenda di Colapesce rimandano ad alcuni fatti miracolosi operati da S. Nicola di Bari, il "Nettuno dei Cristiani" che, durante le tempeste, lascia il porto, "cammina sulle onde con iscarpe d'erbe di mare, e col braccio invisibile conduce a luogo di sicurezza i piloti che l'hanno invocato".
Non è un caso che Colapesce faccia la sua prima apparizione nella tradizione scritta come "Nichola" e che col nome di Nicola (o Cola) sia indicato poi nella tradizione scritta e orale.
A S. Nicola i pescatori siciliani si rivolgono nelle loro necessità; i pescatori messinesi lo venerano nella chiesa di Ganzirri a lui dedicata; le comunità sparse sulla Riviera Paradiso gli chiedono protezione, riconoscendolo come divinità locale".
In Grecia i "panini di S. Nicola" erano ritenuti efficaci contro i temporali e i marinai greci se li portavano dietro, convinti che, durante la navigazione, li avrebbero assistiti nelle difficoltà".
Qualcosa di simile ritroviamo sulla riviera ionica messinese, precisamente a Forza D'Agrò, dove il giorno di S. Nicola (6 dicembre) venivano benedetti i panuzzi di Santu Nicola (panini di San Nicola) che i forzesi custodivano devotamente in casa per porli sui davanzali durante i temporali".
Sono state rintracciate corrispondenze, anche se non sempre facilmente circoscrivibili, tra la leggenda di Colapesce e la canzone nota col titolo La pesca dell'anello, nata probabilmente in area veneta e diffusa, con poche varianti rispetto allo schema definito dal Nigra in tutta la penisola, soprattutto nell'area nord-orientale .
Alla fine del 1984, durante una ricerca sul campo nel villaggio di Larderia mi sono imbattuto in un documento che l'informatrice indicava, indifferentemente, col titolo Storia dell'anello o La bella dell'anello. Dopo un breve prologo narrativo, la canzonetta - il metro è il settenario; la terminazione, piana nei versi dispari, tronca nei versi pari - sviluppa, tra ripetizioni e riprese frequenti in questo genere di narrazioni, un dialogo il cui tema è quello della maggior parte delle versioni italiane de La pesca dell'anello: la ragazza perde in mare il suo anello e invita un giovane a pescarglielo, promettendo una ricompensa in denaro; in cambio il giovane chiede invece un "bacio d'amore" che la ragazza finisce per dargli. Nella versione di Larderia c'è una singolare appendice: mentre i due si baciano, sopraggiunge il padre della ragazza e il giovane non esita a dirsi "buon figliuolo", disposto a riparare il danno con le nozze.

Ricollegabile con la leggenda di Colapesce è anche la canzone diffusa in area francese col titolo Le plongeur noyé, dove la pesca dell'anello si conclude con l'annegamento del giovane al suo terzo tuffo.

Echi della leggenda sono stati riscontrati anche in alcuni canti popolari della Grecia moderna e il Pitrè ricorda un'antica pittura giapponese della scuola di Yamato (secc. XI - XIV) in cui una donna va sott'acqua a prendere una perla che darà al marito.

Nella tradizione messinese la leggenda del mitico nuotatore è collocata in uno schema fisso che il singolo informatore riempie con ingredienti desunti dal patrimonio culturale personale e collettivo: Colapesce è un "marinaio con i fiocchi, un marinaio messinese che non aveva bisogno di barche.

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Un oggetto culturale ha un suo significato se si alimenta di vita vissuta, se "funziona" in termini di memoria nella collettività che in quell'oggetto scopre le radici della propria identità.
Le credenze e le aspirazioni trasfuse nella leggenda di Colapesce sono elementi connotativi di una messinesità che ha il suo fulcro nella scoperta della colonna che traballa sotto Messina.
Per un informatore il terremoto del 1908 è dovuto ad un semplice cambio di spalla: non un venir meno al proprio compito, ma un momento di stanchezza che sorprende Colapesce come può sorprendere un uomo qualsiasi.
Il particolare è un segno di quell'umanità che accompagna il personaggio nell'evoluzione della sua leggenda.
Per i pescatori della Riviera Colapesce è il simbolo della simpatia, del "soffrire insieme".
Ciò basta per fare della sua storia l'espressione di un inconscio collettivo che, anteriore ad ogni razionalità, impone all'inconscio individuale simboli carichi di forza emotiva. Le esigenze che legittimano psicologicamente la leggenda sono convalidate dall'adesione di fede che negli informatori non manca e nasce, più che dall'esigenza di spiegarsi il soprannaturale, dal bisogno di umanizzare l'immaginario e di renderlo concreto.
Così Colapesce cessa di essere l'eroe che soccombe sotto l'impulso della passione e diviene l'uomo proiettato alla difesa di un ideale di vita da cui sono escluse l'angoscia e la paura. Ciò evita al personaggio di ridursi ad incarnazione di una sopravvivenza inerte per assurgere a segno di una messinesità che ha il suo perno nel labirinto dello Stretto dove si cova il destino della città.

Giuseppe Cavarra
La leggenda di Colapesce
Intilla Editore

     

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