Salvatore Spoto
La leggenda di Colapesce
Forte e resistente come la roccia, Cola, pescatore siciliano, forse è esistito
solo nella fantasia popolare.
Ne hanno parlato come di un pescatore dalle qualità fisiche eccezionali forse
vissuto a Messina, figlio di un pescatore di Punta Faro.
Secondo
alcuni Cola
era di Siracusa, ma questo eroe "nazionale" siciliano, perché come tale è
passato alla storia, noto come Pescecola nelle città della Sicilia occidentale, è
forse nato a Catania. Questa origine è avvalorata anche dalla ricostruzione di
Tommaso Falzello, che scriveva nel XVI secolo.
Chi era questo Cola?
Il mitico
personaggio è descritto dai significativi versi del poeta Giuseppe
Borrello:
'Ntra lu famusu faru dì Missina,
giustu 'ntra la vuràggini di Cariddi
c'è unfunnu tantu prufunnu,
ca sulu Cola Pisci catanisiù
capibri 'ntra li cosi di Sicilia,
potti osservari, pirchì pigghiava sciatu
sutta mari
--
Tra il famoso faro di Messina,
proprio nella voragine di Cariddi,
c'è un abisso
profondo, tanto profondo,
che solo Cola Pesce catanese
poteva osservare le cose di Sicilia
perché poteva
respirare sotto il mare.
Vuole, dunque, la tradizione che il mitico personaggio sia stato, per così dire,
anfibio.
L'ipotesi che questo leggendario personaggio sia nato a Catania è frutto del
consueto campanilismo isolano?
Secondo
Santi Correnti, elementi storici
suffragano la tesi circa l'origine catanese del personaggio.
La collocazione
cronologica, infatti, è quella relativa ad un "re Federico" del quale si parla nella
leggenda.
Chi fu questo sovrano? La scelta, secondo il Correnti, è molto
ristretta: va da Federico III che regnò dal 1296 al 1337, a Federico IV che
restò sul trono dal 1355 al 1377.
Inutile, poi, obiettare che si possa trattare di
Federico lI dì Svevia perché mai nessuno ardì chiamarlo re
ma
solo imperatore.
E quasi a dirimere per sempre la questione, che a nostro giudizio resta soltanto
una questione di lana caprina, depone anche la circostanza che i re di quel
periodo facevano ancora capo alla città di Catania,
senza contare che il riferimento al fuoco sommerso fa capire che lo scenarjo
di questa leggenda è il bacino etneo, quindi quello catanese.
Il soggetto della leggenda è dunque lui, questo ragazzo di nome
Nicola da qui
l'abbreviativo siciliano
Cola - tanto appassionato del mare da dimenticare
persino la propria,casa e gli affetti domestici, a cominciare da quello della
propria madre. E' un innamorato della grande distesa azzurra dei mare e dei
suoi abitanti, i pesci.
A questi lui, figlio di un pescatore, l'affetto glielo
dimostra concretamente. Come? Gettandoli in mare, dopo essere stati pescati,
evitando così loro l'ignominiosa fine nella padella.
Suo padre, che si guadagna
da vivere con la pesca, è disperato. La madre, poi, non lo sopporta più.
Un
giorno, arrabbiata più del solito, lo maledice:
- Possa diventare anche tu un
pesce
Ed ecco spuntargli pinne, branchie, e squame.
Diventato pesce, finisce con l'essere ribattezzato con il nomignolo
Colapesce.
Il mare è ormai la sua vita. Ogni tanto torna a galla, fa una capatina in terra,
poi finisce per tornare nel suo elemento preferito: l'azzurro mare, quello che
sta, secondo la voce più
accreditata, davanti alla punta della Sicilia, dove c'è la
parte più turbinosa dello Stretto di Messina.
Si tuffa sprofondando giù e tirando, per divertimento, le code alle murene,
cavalca i delfini e quando torna in superficie racconta le meraviglie che ha
visto nell'abisso marino.
Molti marinai lo incontrano: Colapesce è sempre
pronto ad indicare la rotta migliore per una navigazione tranquilla. Si dà anche
da fare ed è sempre disponibile con chi gli chiede aiuto. Si fa tra l'altro
apprezzare come corriere. Gli affidano messaggi e lui è capace di nuotare
per oltre 100 chilometri.
Troppo bravo per non ottenere almeno un
riconoscimento: il governatore di Messina lo nomina palombaro.
Colapesce, insomma, diventa così famoso da suscitare l'interesse del re di
Sicilia.
-
Voglio conoscere questo giovane che contende ai pesci il primato di
nuotare
- il sovrano annuncia ai dignitari
- Portatemi, dunque, dove io possa
incontrarlo.
Il corteo reale raggiunge l'estrema punta della Sicilia, oltre la
quale c'è prima il tratto di mare, pericoloso per la presenza nefasta di Scilla e
Cariddi, e poi il verde profilo della penisola italica.
- Che questo giovane in
veste di pesce sia portato al mio cospetto!
- ordina il re con la voce roboante
ed autoritaria consona alla sua persona.
-
Eccomi, maestà, sono qui per
esaudire ogni vostra richiesta! - gli risponde Colapesce comparendo
improvvisamente sulla cresta di un'onda.
Ed il re:
- Finalmente ti Posso
conoscere! Voglio capire cosa sai veramente fare in mare!
E lancia
in
mare una coppa d'oro, chiedendo a Colapesce di andare a prenderla. Quando
questi risale descrive al re il paesaggio marino, i pesci e le piante che ha visto.
Il re, stupefatto ma anche incuriosito, si toglie la corona dalla testa e la getta in
mare quanto più lontano possibile. Colapesce accetta la sfida.
Si tuffa e cerca
per due giorni e due notti, fino a quando non scorge la corona. A questo punto
torna in superficie e raggiunge il sovrano. Questi gli chiede cosa abbia visto.
- Lo devi proprio sapere!
- risponde l'uomo-pesce - ho
scoperto che la Sicilia poggia su tre colonne: una è lesionata ma sembra
resistente, la seconda è solida come pietra, la terza, invece, è corrosa e
scricchiolante.
Ed aggiunge:
- Ho visto anche un'altra cosa: sul fondo del
mare c'è un fuoco che non si spegne, certamente è magico
-
Cosa dici! -
esclama il re, poco convinto della veridicità di quella visione.
-
Credetemi,
maestà, quel fuoco c'è davvero! -
è la pronta risposta di Colapesce.
-
Vai a
riprendere questo e riferiscimi tutto ciò che vedi!
- gli ordina il re, mentre getta
in mare l'anello preziosissimo che porta al dito.
Il giovane è molto stanco ma non se la sente di deludere il sovrano, reduce da
un lungo viaggio per conoscerlo.
- Maestà, volete proprio che tomi in fondo al
mare? - gli chiede e quello:
- Te lo ordino!
Colapesce, davanti alla regale insistenza, non se la sente di opporre un rifiuto.
- Obbedisco, mio re, ma se vedrai affiorare non solo l'anello che hai gettato ma
anche un pugno di lenticchie, vuol dire che io sono rimasto laggiù, in fondo al
mare
Si tuffa, dunque, lasciando tutti con il fiato sospeso. L'ansia aumenta
con il trascorrere del tempo perché Colapesce sembra sparito per sempre nel
mare blu.
Alla fine il corteo regale decide di ripartire.
- Guardate laggiù!
-,
esclama un ciambellano del re puntando il dito verso un punto del mare.
Adesso tutti possono vedere l'anello tornato a galla.
- E' bruciato!
-, esclama chi
va a ripescarlo.
- Guardate, ci sono anche le lenticchie!
- fa notare un altro
dignitario - Sembrano bruciate, come se fossero state sul fuoco!
Il sovrano comprende che il fuoco c'è veramente nell'abisso del mare e si
rende conto che Colapesce non ritornerà mai più in superficie.
E' rimasto laggiù
a sostenere la colonna pericolante. La Sicilia vivrà in eterno per il suo
sacrificio.
Le varianti a questa leggenda, tuttavia, sono molte. Talvolta, per esempio, il re
non getta l'anello ma un pezzo di legno. Ed è questo che torna a galla,
bruciacchiato, offrendo così la prova che ci sono le fiamme sul fondale marino
della Sicilia.
Questa di Colapesce è solo la leggenda "nazionale" siciliana?
Forse è troppo
riduttivo definirla tale, visto che la vicenda del giovane innamorato del mare e
della sua terra ha finito con il diffondersi non solo nel Mediterraneo ma anche
nel resto del mondo, generando una serie di varianti con un unico denominatore
comune: quello dell'uomo-pesce.
Questa fantastica storia, infatti, finì con l'essere fatta propria dagli olandesi,
come testimoniato dal Sebillot.
Colapesce ispirò anche Miguel Cervantes
quando scrisse il suo celebre Don Chisciotte.
Il ragazzo siciliano, tanto
appassionato del mare che circonda la sua terra, finì anche con il colpire
l'immaginazione del poeta tedesco Friedrich Schiller che, in Der Taucher, una
delle sue ballate più affascinanti, crea il personaggio di un re crudele
che, sordo alle suppliche della figlia, sottopone ad una serie di prove un giovane
marinaio fino a provocarne la morte.
Colapesce non fu solo un personaggio leggendario.
Finì, infatti, per diventare
espressione, e non poteva essere altrimenti, di grande attaccamento alla sua
terra ma anche simbolo di lotta contro gli abusi che il potere commetteva nei
confronti dei più deboli.
Così il
Meli, in un'opera di denunzia degli abusi legali ai danni di pescatori.
Ma
vi è di più.
Domenico Tempio, grande poeta catanese del Settecento,
conosciuto per le composizioni dalla forte connotazione erotica ma meritevole
di apprezzamento per la sua raffinata arte poetica, fa di Colapesce un
personaggio chiave per comprendere lo sviluppo del suo poema
Carestia,
conferendo le caratteristiche del giovane trasformato in pesce a Pipiridduni,
grande ed esperto nuotatore. Ne riportiamo un brano:
Tumma chist'omu anfibbiu
sutt' acqua, e non pacchiana arriva,
e pari smàfara a starci 'na simana.
Ddà mancia, dormi, ed ópera
lifatti soi, ritorna
a respirari l'aria di poi a lì setti jorna.
Già pritinnia
discìnniri,
e tali comparisci,
da lufamusu e celebri
anticu Cola Pisci.
--
Si tuffa quest'uomo anfibio
sott'acqua e non risale a riva,
e sembra una
balla a starci una settimana
Lì mangia, dorme e compie
le sue imprese, e torna
a respirare l'aria
dopo ben sette giorni
già pretendeva di
discendere,
e tale sembra in effetti
dal famoso celebre
antico Colapesce.
Salvatore Spoto
Miti,
riti, magia e misteri della Sicilia
Newton Compton Editori
www.colapisci.it
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