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La leggenda di Colapesce:
mito, storia,  alchimia e scienza  di un mito universale

Introduzione:

Poiché le serate culturali con il Circolo Culturale di Palermo vanno avanti, sono state scelte ancora una volta tematiche che riguardano la storia e i miti della Sicilia: dopo le serate dedicate a Dante Alighieri (1265- 1321), di Marzo/Aprile 2021, a Leonardo Sciascia (1921-1989), di Maggio/Giugno 2021, a Ludovico Ariosto (1474-1933), di Ottobre/Novembre, e a Giovanni Verga (1840-1922), di Gennaio/Febbraio 2022, le nuove giornate riguardano temi prettamente storici, ma con l’aggiunta di personaggi letterari legati alla Sicilia come lo scrittore Gesualdo Bufalino (1921-1989)  o il poeta Ignazio Buttitta (1899-1997).  Io ho scelto di parlare della leggenda e del mito di Colapesce (Dodicesimo secolo D. C.),  perché penso che sia un  argomento poco dibattuto e trattato per quanto riguarda i miti e le leggende della Sicilia. Questo mio studio non è particolarmente lungo : infatti non sappiamo tantissimo su questa leggenda. Tuttavia ho cercato di sviscerare alcuni legami che questo mito ha con la simbologia alchemica e  con altre leggende del Mediterraneo, legami che ho personalmente scoperto essere molto simili   in epoche  diverse, sia per quanto riguarda la mitologia che per quanto riguarda la simbologia alchemica.  Inoltre farò riferimento alle scienze naturali, come spesso nelle mie trattazioni,  in particolare all’ Evoluzione della vita e alla paleontologia degli esseri viventi.

 

 Mito e  leggenda di Colapesce

 

 

La leggenda di Colapesce affonda le sue radici nel mondo della preistoria: infatti le popolazioni preistoriche del Mediterraneo, osservando le abitudini e le abilità anfibie di alcuni mammiferi placentari pinnipedi come le foche,  in particolare le foche monache  Mediterranee (Monachus monachus, Hermann,  1779)  presenti in modo abbondante durante le epoche preistoriche nelle coste del Mediterraneo,  hanno tramandato la prima versione di questa creatura leggendaria.  
Successivamente tali racconti si consolidarono nelle leggende e nei miti delle Sirene e nel Dio Nettuno, il Dio dei mari e degli oceani.

Tuttavia,  le primissime testimonianze in forma scritta di  questo mito,  le troviamo nelle composizioni poetiche e musicali di alcuni poeti trovatori del periodo Medioevale: la prima testimonianza di una citazione di Colapescela possiamo trovare in un trovatore di origine Franco-Provenzale, Raimon Jordan (1178-1195), il quale narra la storia di Nichola de Barun essere umano che aveva l’abitudine di vivere sotto l’acqua, proprio come i pesci. Un'altra menzione di Colapesce la troviamo in uno scritto dello scrittore Inglese Walter Map (1135-1210), il quale narra la storia di un certo Nicolausmolto abile a stare sotto le acque senza respirare. La leggenda narra che Nicolaus coda di pesce, o Cola di pesce di Messina,  questo  il suo vero nome, con le sue abilità,  avrebbe impressionato  a tal punto la popolazione Siciliana,  che  il re Normanno Guglielmo  Secondo il buono di Sicilia, facente parte della dinastia Normanna  Francese degli Altavilla, volle conoscerlo e incontrarlo: a questa leggenda si ricollega direttamente quella di origine Messinese,  la quale dovrebbe essere la leggenda  originaria che narra le gesta del Colapesce della Sicilia: infatti Nicola coda di pesce,  stupiva tutti gli abitanti con le sue immersioni; inoltre si raccontava anche che nei fondali marini andava a recuperare dei tesori andati perduti da moltissimo tempo. 
Così la leggenda narra che il re Normanno Federico Secondo di Svevia volle mettere alla prova il misterioso essere umano anfibio,  e con la sua corte lo richiamò per interrogarlo: si racconta che Federico Secondo di Svevia gettò sui fondali marini una coppa d’oro, e che Colapesce fu subito in grado di recuperare, gettandosi negli abissi marini.
Ma Federico Secondo di Svevia, sempre secondo il racconto popolare, avrebbe messo alla prova Colapesce ancora più duramente,  gettando la sua Corona in una zona molto più profonda della precedente,  e Colapesce la recupera ancora una volta.
Infine Federico Secondo di Svevia, volle preparare una terza prova a Colapesce: gettò il suo anello nei fondali marini, ancora più in profondità delle zone precedenti,  ma questa volta la leggenda popolare ci narra che Colapesce non tornò più in riva. Ed è a questa la versione della  leggenda che Italo Calvino rimaneggiò e pubblicò nella sua raccolta Fiabe italiane, uscita per la prima volta nel 1956, presso la collana editoriale dell’ Einaudi I millenni. Tale raccolta di Calvino è una sorta di omaggio alle tradizioni favolistiche e fiabesche italiane, dalla Liguria alla Sicilia.

 

La leggenda di Colapesce
 

Ma la leggenda di Colapesce  ha anche una variante Napoletana:  questa variante parla di un certo Pesce Nicolail quale viene addirittura maledetto dalla madre perché si tuffa in continuazione nei fondali marini fino a trasformarsi lui stesso in un pesce completo,  con le pinne, la coda e le squame.
Altre testimonianze di questa leggenda si possono trovare in un racconto di un monaco inglese  scrittore e giurista,  che visse anche in Italia alla corte dei re Normanno Guglielmo il buono: Gervasio di Tilbury (1155-1220),  il quale racconta la storia di un Nicolaus coda di pesce di origine Pugliese; che si tuffava negli abissi sotto costrizione del Re Ruggero: e sotto il mare Colapesce avrebbe scoperto una nuova terra nascosta, con praterie, boschi, foreste e montagne.
Un’altra testimonianza ancora la dobbiamo a Salimbene de Adam  da  Parma (1228- 1288), un frate e uno scrittore italiano che nella sua Cronica,  scritta latino volgare,  una monumentale raccolta di aneddoti, notizie e avvenimenti, narra la leggenda di Colapesce,  il quale viene presentato nella storia della leggenda Siciliana, dove Federico Secondo di Svevia getta una coppa d’oro nei fondali marini e ordina a Colapesce di recuperarla, così da mettere alla prova le sue abilità. E secondo la leggenda  Colapesce  si sarebbe spinto talmente in profondità da toccare le fondamenta rocciose della stessa Sicilia.
In alcune raffigurazioni Colapesce infatti compare mentre regge la Sicilia con le sue mani. Fin qui sono state analizzate le varie leggende che narrano del mito di Colapesce.

 

Gli umani pesce Babilonesi,
il dio del popolo Dogon  e Anassimandro di Mileto


 

Tuttavia, ben prima della diffusione del mito di Colapesce e del mito degli  esseri viventi metà esseri umani e metà pesci, come le Sirene, le Oceanine e le Naiadi,  subito dopo la preistoria, nelle zone comprese tra i due fiumi della Mesopotamia, il Tigri e l’Eufrate, presso il popolo dei Sumeri e dei Babilonesi, sorse il mito e la leggenda degli Apkallu,  ovvero i sette  Sapienti o sette  consiglieri o sette  Saggi, che avevano l’aspetto per metà umano e per metà di pesce,  e che sono all’ origine di tutte le future mitologie legate al dio  Nettuno, al dio Tritone e alle  Sirene, e quindi anche dello stesso Colapesce.
La mia ipotesi sull’origine di questi miti, segue la via evolutiva degli esseri viventi: un antenato comune è all’origine di molte ramificazioni successive,  così come un racconto originario da origine successivamente in  epoche storiche diverse, a delle continue varianti e variazioni. 

Il nome Apkallu, deriva dal vocabolo Accadico Apkallu/Abgul, con il quale termine si indicano presso i Sumeri e i Babilonesi i Sette Sapienti: tali figure si troveranno anche nella primissima fase della filosofia Presocratica, con le famose figure dei Sette Sapienti della filosofia.  Nella mitologia Babilonese e Sumera, che poggia le sue radici nei racconti che si tramandavano le popolazioni della Mesopotamia che stavano uscendo dal periodo Neolitico,  i sette Saggi o i Sette Apkallu, emersero dalle acque: il nome delle acque primordiali per la mitologia Sumera è Apsu o Absu, termine che sta a significare la profondità degli abissi marini,  il mare stesso e tutte le acque degli abissi profondi.
Nel racconto mitologico Sumero e Babilonese,  Apsu è il compagno della Dea Tiamat, la dea serpente della distruzione e degli oceani,  in perenne  lotta con il dio Marduk. 
Tale mitologia è raccontata nel poema Enuma Elis, un poema  Cosmogonico scritto con i caratteri della lingua Accadica che fa parte della tradizione religiosa Babilonese e successivamente anche Sumera.
Come tutti i miti religiosi anche Enuma Elis inizia con una  Cosmogonia che narra una lotta:  il poema inizia con la lotta tra gli dei: abbiamo quindi una Teomachia, cioè la lotta tra due divinità, che nel poema Enuma Elis riguarda il dio Marduk e la dea Tiamat.

La datazione di questo poema è stata stabilita circa tra il Tredicesimo secolo e il Dodicesimo secolo A.C., e rappresenta forse la primissima testimonianza scritta dove il mare abissale e gli abissi marini sono all’origine della vita sulla terra.  Quindi è molto in linea con le scoperte scientifiche della teoria dell’evoluzione che ha stabilito  anche attraverso anche le scoperte paleontologiche,  che tutta la vita sulla terra si è originata nelle acque primordiali, e da li si è diffusa successivamente si tutta la terra.

L’astrologo di corte Babilonese Berosso (350–270 A.C.) il quale è stato anche uno storico e uno scrittore, nella sua opera più importante sua storia dei Babilonesi, i Babuloniaka, la quale opera viene dedicata al sovrano successore di Alessandro Magno, Antioco Primo (323 A.C. ….). Berosso, che fu quindi un sacerdote del dio Babilonese Marduk, è stato colui che meglio di chiunque altro ha diffuso l’astrologia nel mondo Greco.  Tuttavia la sua opera, I Babuloniaka,  non si sono conservati per intero, ma soltanto per frammenti, raccolti per la prima volta in una edizione,  dal filologo classico di origine Tedesca Johann Richter,  pubblicata a Lipsia nel 1825.

 


I frammenti che hanno permesso di ricostruire l’opera integrale provengono da svariati autori classici che li hanno conservati perché conoscendo l’opera originale li hanno trascritti nelle opere: tra questi ci sono lo storico Greco Abideno (Primo secolo A.C.), e il grammatico Greco Alessandro Cornelio detto Poliistore (Primo secolo A.C.).
Per quanto riguarda invece le informazioni biografiche di Berosso le troviamo nelle opere di alcuni pensatori Cristiani come Taziano il Siro (120–180 D.C.), che da qualche informazione nella sua opera Discorso ai Greci,  e presso Eusebio di Cesarea (265-340 D.C.), che ne parla nella sua monumentale
Preparazione Evangelica. 

Secondo molti studiosi l’importanza dell’opera di Berosso è paragonabile a quella di Manetone (Terzo secolo A.C.), un altro storico e sacerdote di lingua Greca, ma che scrisse l’opera dedicata alla storia dell’Egitto: la Storia dell’ Egitto o gli Egiziaca.
Berosso infatti ha attinto in maniera sistematica alle opere originali Babilonesi, ormai andate perdute (molto probabilmente durante la distruzione della biblioteca di Alessandria di Egitto), dai quali documenti ha tratto notizie altrimenti sconosciute. L’opera inizia con la Teomachia di Marduk e Tiamat: con la vittoria ovviamente di Marduk. E successivamente inserisce il racconto degli uomini/pesce: gli Oannes.
Essi,  cioè i Sette Sapienti  gli Apkallu,  uscirono dalle acque e insegnarono agli esseri umani tutta la sapienza che ha permesso la civiltà: agricoltura, scienza e tecnica.
Dalla testimonianza di Abideno,  contenuta in Der  Fragmenter der Griechischen Historiker di Felix Jacobi,  apprendiamo che:
“Nel libro di Berosso si riferisce che a Babilonia esistevano documenti che narravano di epoche remote,  di circa 150.000. In questi documenti si racconta che all’epoca i popoli della Caldea vivevano senza leggi e senza regole fisse.  Fino a quando un giorno dal mare di Babilonia spunta un essere umano col un corpo e testa di pesce. Di nome Oannes. Questo essere dotato di ragione ha portato la civiltà ai popoli Mesopotamici (da Abideno).
Da questo passo conservato da Abideno, si apprende che i  sette Saggi, cioè gli Oannes,  hanno permesso la civiltà degli esseri umani della Mesopotamia.
Abbiamo quindi le creature acquatiche che civilizzano gli abitanti della terra. Ma un racconto mitologico molto simile lo troviamo in un territorio distante dalla Mesopotamia: lo stato Africano del Mali,  dove il  popolo endemico Dogon,  nella sua mitologia e cosmogonia narra che in tempi immemorabili e primordiali, quando nulla esisteva, due esseri per metà umani e per metà serpenti marini, un essere maschile e un essere femminile, iniziarono a creare il mondo: essi erano formati di acqua e furono creati dalla divinità Amma, che fecondando le acque primordiali con il suo sperma, diede origine ai due esseri. Il nome di queste creature è Nomno,  e come gli Oannes Babilonesi e Fenici, portarono la civiltà al popolo dei Dogon, insegnando loro l’arte della tecnica, dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame. La mitologia dei Dogon è immortalata in una bellissima opera etnografica dell’antropologo Francese Marcel Griaule (1898–1956), Il dio di acqua, nella quale, attraverso un lungo dialogo con l’anziano saggio Ogotemmeli,  riporta la loro Cosmogonia e Antropogonia.

 

Colapesce leggenda siciliana

Il filosofo presocratico Anassimandro (610–546 A.C.), nella sua opera andata perduta Sulla natura,  la quale è pervenuta a noi anche questa opera attraverso frammenti di citazioni conservati da altri autori come il filosofo Alessandro di Afrodisia, Censorino, affermava che tutto il mondo si era originato dall’acqua; come del resto affermava Talete.  Inoltre l’antropogenesi del mondo secondo Anassimandro di Mileto,  iniziava dalle acque, dove gli embrioni degli esseri umani all’ inizio della loro vita primordiale,  hanno la forma di pesci o di girini incapsulati in delle membrane protettive dalle quali dopo la dovuta maturazione,  rompono ed escono sulla terraferma per vivere  la vita adulta: Anassimandro quindi descrive il processo del liquido amniotico e del parto placentare.
Un frammento del suo pensiero conservato da Censorino,  nella sua opera De die Natali 4, 7, è molto significativo a riguardo:

Dall’acqua e dalla terra riscaldate nacquero pesci o animali simili, dentro di loro si generarono feti umani che crebbero fino alla pubertà: poi spezzate le loro membrane uscirono uomini e donne che erano ormai in grado di nutrirsi autonomamente “.
Dal frammento conservato da Censorino possiamo affermare che Anassimandro aveva già intuito che è nell’acqua che si originò per la prima volta la vita. In particolare i primi  vertebrati dotati di colonna vertebrale come le prime creature simili a pesci e i pesci veri e propri iniziarono la loro evoluzione nell’acqua per poi alcuni loro rami dirigersi sulla terraferma e dare origine ai vertebrati terrestri, cioè i tetrapodi.
Io penso che  Anassimandro di Mileto sia stato il primo pensatore occidentale ad avere intuito la teoria dell’evoluzione, anche se in maniera ovviamente rudimentale; ed è per questo che il suo pensiero  lo si trova menzionato  nel libro Storia del pensiero biologico di Ernst Mayer.
Inoltre la visione scientifica dell’origine dei viventi di Anassimandro di Mileto è anche anticipatrice della teoria della ricapitolazione dell’ontogenesi e della filogenesi, inaugurata per la prima volta da Aristotele (384-322 D.C.)  nelle sue opera di biologia e zoologia,  e in maniera sistematica da Lorenz  Oken (1779-1851)   da Charles Bonnet e soprattutto da Ernst Haeckel (1834–1919).
La teoria dell’ ontogenesi che ricapitola la filogenesi è oggi obsoleta e rigettata dalla comunità scientifica. Tale teoria prevede che l’embrione e il feto umano durante le fasi del suo sviluppo (ontogenesi) ricapitoli l’Intera storia della vita sulla terra (filogenesi).  Secondo la tesi di Ernst Haeckel  (1834-1919) il feto umano quindi attraversa tutte le fasi della filogenesi della vita sulla terra: primi artropodi, primi pesci,  i pesci dotati di spina dorsale, i primi anfibi, i rettili, gli uccelli e i mammiferi. 
Anche se la teoria della ricapitolazione è in parte errata, tuttavia essa rappresenta una testimonianza del pensiero umano che considera tutti gli organismi viventi legati tra di loro in maniera indissolubile: questa considerazione è infatti innegabile.  Le fasi del feto (non solo quello umano, ma anche quello dei mammiferi placentari, degli uccelli e dei rettili), cioè l’embriogenesi, che comprende la fecondazione, la gastrulazione e  la morfogenesi dell’organismo,  ripercorrono in sintesi le fasi della storia della vita sulla terra; però non è tanto un  ripercorrere le specie  viventi adulte,  ma la discendenza  dei viventi.
Non è un  caso che  le fessure branchiali o solchi faringei,  appaiono nel feto  della specie  umana durante la  quinta  e la nona settimana  della sua  gestazione: le fessure branchiali o solchi faringei,  sono infatti la prova che gli organismi Deuterostomi (Deuterostomia, Grobben, 1908) cioè gli  esseri viventi nei quali  durante  l’embriogenesi la bocca si forma dopo  il foro anale, come gli anfibi, i rettili, gli uccelli e  i mammiferi (specie umana compresa), discendono da un progenitore acquatico dotato di branchie utilizzate per la respirazione.  Quindi tale testimonianza embriologica non è tanto una ricapitolazione dello stadio del pesce adulto, ma piuttosto si tratta di vestigia ancestrali,  che nel linguaggio scientifico prende il nome di Amorfia, Plesiomorfia,  cioè un carattere ancestrale di un organismo primitivo  che si è tramandato nelle future generazioni attraverso modifiche.
Le fessure branchiali furono scoperte e studiate per la prima volta dal medico, embriologo e anatomista Tedesco Karl Ernst Von Baer (1792 – 1876), il quale li scopri analizzando le prime fasi  degli embrioni. Ma anche un altro medico Tedesco, Martin Heinrich Rathke  (1793-1860), ha dato il suo grande contributo alla scoperta delle fessure branchiali negli embrioni.  Infatti fu lui che scoprì negli embrioni degli Amnioti (Amniota, Haeckel, 1866),  cioè tutti i vertebrati terrestri, la cosiddetta Tasca di Rathke, una parte anatomica che riguarda il tratto faringeo. Le  fessure branchiali hanno origine durante lo sviluppo dell’ ectoderma, il primo stadio dei tre foglietti embrionali: gli altri due foglietti embrionali sono l’endoderma e il mesoderma.  Questi tre foglietti embrionali determinano la formazione degli organi e dei tessuti dell'embrione e del  futuro feto. Dall'ectoderma si forma il tubo neurale e l’epidermide del feto. Questo stadio dell’embrione è stato scoperto anche durante la fase della formazione degli embrioni dei pesci e degli anfibi. Durante l’evoluzione dei primi pesci, le fessure branchiali diedero origine agli archi branchiali, i quali si sono trasformati nelle mascelle e negli ossicini del timpano dei primi vertebrati terrestri.
Per quanto riguarda la teoria della ricapitolazione dell’ontogenesi e della filogenesi,  essa ha influenzato molti ambiti della cultura e del pensiero umano: psicoanalisti come Whilhelm Fliss (1858-1928), un medico chirurgo che divenne un sostenitore di Freud; lo stesso Sigmund Freud (1856-1939), il quale in molte sue opere dimostra di credere alla ricapitolazione, il psichiatra Ungherese Sandor Ferenczi (1873-1933), che nel suo scritto dal titolo Thalassa: saggio sulla teoria della genitalità,  interpreta la storia umana attraverso la ricapitolazione dell’ontogenesi e della filogenesi, soffermandosi in particolare sullo stadio evolutivo del pesce e del liquido amniotico; nella narrativa e nel cinema abbiamo gli esempi di 2001: Odissea nello spazio, dello scrittore Americano Arthur Clarke (1917–2008), il leggendario racconto che deve il suo successo anche alla versione cinematografica del regista Stanley Kubrick (1928-1999), dal titolo omonimo 2001: Odissea nello spazio (1968). Sia nel racconto di Clarcke che nel film di Kubrick, ricapitalazione viene citata nella parte finale,  dove Mike Bowman nella stanza dell'astronave attraversa a ritroso tutta la sua vita, fino a tornare un neonato e un feto.
Nell’ambito dei fumetti ho scoperto di recente che il manga di Osamu Tezuka (1928–1989) I bon bon magici di Lilly (1970-1972), è tutto incentrato sulla ricapitolazione dell’ontogenesi e della filogenesi.  La storia narra di una bambina che riceve in dono delle caramelle magiche di colore rosso e di colore blu. A seconda di quale mangia può crescere e diventare adulta, oppure regredire e tornare bambina o addirittura neonata.
E questo vale anche per gli altri protagonisti e per tutti gli animali e vegetali della storia. Nella versione animata, molto più ricca di episodi, Lilly grazie alle caramelle magiche può regredire nello sviluppo e assumere forme animali come cani, gatti e conigli. 


Evoluzione  degli organismi dalle acque alla terraferma

 

 

La più antica testimonianza di un organismo Deuterostomo, secondo le più recenti scoperte, è un fossile denominato Saccorythus coronarius (Han han, Thomas harvey, 2017), un organismo acquatico che forse possedeva delle branchie rudimentali per respirare, vissuto nel Cambriano circa 540 milioni di anni fa.
I primi  organismi dotati  di colonna vertebrale sono  Haikouella lanceolata (Cheng, Huang and Li, 1999), e il Pikaia gracilens, i quali vissero entrambi durante il Cambriano, circa 500 milioni di anni fa.  Essi sono considerati i primi organismi dotati di spina dorsale, seppur  rudimentale, dai quali discendono tutte le successive ramificazioni che portarono ai primi  pesci, a quelli successivi e più evoluti come i teleostei e i placodermi, il primo gruppo di pesci dotati di mascelle. 
Da un gruppo di pesci come i sarcopterygii,  cioè i pesci dalle pinne carnose e ad ampio raggio,  durante il Devoniano si evolsero i primi anfibi e i quindi i primi vertebrati terrestri come gli Amnioti, che diedero origine alla classe dei rettili e dei mammiferi.
Durante il Triassico alcuni gruppi di rettili tornarono nelle acque marine trasformandosi in pliosauri, plesiosauri, mosasauri, elasmosauri e Ittiosauri.  Dopo l’estinzione dei dinosauri, un gruppo di mammiferi placentari affini agli artiodattili come i cervi e gli ippopotami,  si diresse nei mari dove diede origine ai primi cetacei e alle prime balene.


Simbologia del pesce e dell’acqua nell’ alchimia

 

 

Le leggende e i miti che riguardano esseri marini metà umani e metà pesci come Colapesce, Tritone, le Sirene e le Oceanine,  ci narrano anche altre storie con altri significati pieni di simboli. Per la psicologia del profondo che si occupa dei simboli legati alle acque,  il mare e le profondità marine rappresentano la profondità dell’ inconscio e di tutto il suo contenuto, come le immagini, i sogni e le fantasie più nascoste.
Il mare è apparentemente tranquillo e cristallino; ma sotto la superficie, nelle profondità più nascoste si trova una verità di vita che può essere anche aggressiva. Il mare è anche il simbolo del liquido amniotico, infatti non è un caso che le acque sono spesso un elemento femminile. Tutto ciò che riguarda le acque come mari ,oceani, fiumi e sorgenti, è legato alla femminilità,  e quindi alla luna.
Ma le profondità marine possono anche molto spesso rappresentare l’inferno, gli inferi, dai quali l’eroe deve rinascere ad una nuova vita. Il poeta Tedesco Friedrich Schiller (1759–1809), famoso per il suo Inno alla gioia musicato da Ludwig van Beethoven nella sua Sinfonia numero 9, scrisse una bellissima ballata dedicata alla fiaba Messinese di Colapesce: Il tuffatore.
In questa ballata il mare e le profondità marine vengono presentate come una sorta di Nigredo,  il primo stadio alchemico dove dimora l’oscurità, la tenebra e l’abisso, e dal quale si deve rinascere uscendo e risalendo in superficie. Infatti il Colapesce di  Schiller è rappresentato  come un eroe che risorge dagli abissi tenebrosi dei mari

 

Colapesce  come simbolo alchemico

 

 

Colapesce quindi, secondo la mia interpretazione, rappresenta sia il legame indissolubile tra gli  animali e gli esseri umani, che un simbolo alchemico; in particolare l’uomo/pesce nelle  raffigurazioni alchemiche degli alchimisti, rappresenta l’unione degli opposti, cioè il Mysterium Coniunctionis; acqua e terra, maschile e femminile, umido e secco.
Per gli alchimisti il Mercurio era un metallo che contiene tutti gli aspetti della materia, con i suoi diversi elementi. Il significato del termine Mercurio vuole dire acqua e argento, e il suo ideogramma è formato dall’ unione del sole e della luna.
Poiché l’acqua  è l’elemento primordiale da dove hanno origine tutte le creature viventi, si può affermare che Colapesce  nell’alchimia rappresenta una sorta di Adam Kadmon primigenio,  che unisce le creature dell’acqua con quelle terrestri.


Conclusione. 

In conclusione di questo mio piccolo studio sul mito di Colapesce, dobbiamo ricordare che il fascino di questa  fiaba fu riscoperto  e rielaborato  da molti narratori e poeti e filosofi: Miguel De Cervantes,  Friedrich Schiller,  Jules Verne, Benedetto Croce, Ignazio Buttitta, Leonardo Sciascia,  Italo Calvino, Jose Luis  Borges, il pittore Renato Guttuso e Giuseppe Pitré.
È stato proprio il medico e antropologo Palermitano Giuseppe Pitré (1841-1916), a decifrare l’origine del mito di Colapesce,  il quale secondo  le ricerche di Pitré, approdò in Sicilia proprio con l’arrivo dei Normanni guidati da Re Guglielmo,  ma il mito e la sua origine  si colloca agli inizi del secondo millennio A.C., molto probabilmente diffuso inizialmente dai Popoli del mare, dai Fenici e dai Babilonesi.
Non è assurdo ipotizzare l’origine del mito di Colapesce in Oriente,  perché la Sicilia è stata per  secoli un crocevia di popoli e di culture diverse, provenienti soprattutto dall’ Oriente.
La Sicilia si dimostra  ancora una volta un  vero serbatoio di miti e leggende che hanno ancora molto da insegnarci.

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