Sott'acqua con gli occhi aperti

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Profondità


Ma il mare non è solo vasto, è anche profondo. Gli antichi erano spaventati dalla sua smisuratezza, ed in particolare dall’incapacità di misurarne appunto la profondità[7].
Occorrerà attendere la metà del Novecento, per conoscere davvero tutti gli abissi degli oceani del globo. Così, Platone immagina il fondo del mare in comunicazione permanente con le profondità della terra, dove buchi di diametro diverso consentono la circolazione delle acque (calde e fredde), del fuoco, della stessa lava vulcanica.
Proprio grazie a queste vie di comunicazione, all’origine del mondo, si è potuto costituire il mare, a partire dall’acqua che occupa il centro della Terra. Ma è impossibile conoscere l’altezza – dice Platone - di questo oceano senza fondo. Anche quando, con Aristotele e poi con Strabone, ci si azzarderà a stimare la profondità di mari come quelli di Creta o di Sicilia, lo si farà solo perché si tratta pur sempre di thalassa, di mare amico, di quel Mediterraneo di cui si conoscevano estensione e superficie. Resta incognita, invece, la terza dimensione di mari più vasti, dei quali ancora non si conoscono neppure le altre dimensioni e la natura.
L’ansia non riusciva però a spegnere la curiosità ed è così che fin dall’antichità omerica l’uomo si sporge sull’abisso, lasciandosi trascinare verso il fondo. Agli inizi, per capire quanto fondo c’era sotto la chiglia, per evitare quindi l’incagliamento; poi, per raccogliere le perle, le spugne, per procurarsi i murici dai quali trarre la porpora. Diviene possibile così delineare una storia della vocazione abissale, nonostante le tecniche ancora approssimative ed il limite costituito comunque dalla pressione dell’acqua. Perfino nel Corano sta scritto che l’uomo non può immergersi oltre i trenta metri, per i propri limiti fisici.
Solo nelle carte catalane di Soleri (1385) cominciano ad esser segnate le profondità, almeno sottocosta, grazie all’uso della sonda. Bisogna arrivare all’Histoire physique de la mer di Marsigli (1725) per trovare una prima anatomia dei mari, alle prime rappresentazioni delle curve di profondità, anche se limitate a pochi golfi noti, come quello di Lione e fino ad un’altezza di quaranta braccia. Poi, era pressoché impossibile misurare la profondità. La prima carta batimetrica degli oceani viene edita a Parigi nel 1905.
I primi reperti archeologici in cui sono raffigurati uomini che nuotano sott'acqua risalgono invece agli Assiri (885 a.C.). In un bassorilievo sono chiaramente visibili soldati subacquei che eludono i nemici attraversando un fiume, respirando grazie ad un otre appeso al petto e attraverso un tubo tenuto fra le labbra. Riferimenti diretti ad una immersione umana nel mare si trovano nell'Iliade, al canto XVI, a proposito di Cebrione, l’auriga di Ettore che nel mentre viene ucciso da Patroclo, viene paragonato ad un tuffatore. Come tante scene del sedicesimo libro, anche questa è atroce e sanguinosa. E tuttavia il richiamo al mare ne stempera in parte la ferocia. Patroclo è sceso dal suo cocchio e, preso un sasso acuminato, lo lancia con forza e precisione verso il cocchio di Ettore colpendo a morte sulla fronte l’auriga:

“[…]; simile a un tuffatore [arneuteri]
piombò giù dal bel carro, lasciò l’ossa la vita.
E tu, deridendolo, questo dicesti, Patroclo cavaliere:

“Oh l’agile uomo, come facilmente volteggia!
Ma se venisse anche sul mare pescoso,
questi cercando ostriche, sazierebbe parecchi,
gettandosi dalla nave, pur col mare cattivo,
come ora nel piano volteggia facilmente dal cocchio:
anche fra i Teucri, dunque, ci son tuffatori” [kubisteteres] [8]
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Come a dire: oltre che tra noi Greci, tra i quali numerosi sono i tuffatori, anche tra i Troiani vi è chi è capace d’immergersi.
Secoli dopo, Aristotele descrive l'impiego di cannelli con un'estremità emergente dalla superficie del mare per respirare sott'acqua. E nei Problemi tratta degli inconvenienti più comuni che capitavano ai sub (guai alle orecchie, sangue dal naso), nonché di certi tubi per respirare e di una “marmitta rovesciata, piena d'aria, che vi resta rinchiusa e nella quale l'uomo mantiene la testa”. Fu forse Aristotele a progettarne il primo modello usato da Alessandro Magno, intorno al 300 a.C., nel suo viaggio verso l’India: una campana di vetro con la quale si fece calare in mare per conoscere da vicino le meraviglie del mondo marino.
L’episodio di Alessandro è centrale per questa veloce storia dei rapporti dell’uomo con gli abissi. Perché Alessandro non si fa calare nella campana per un motivo pratico: non deve pescare nulla, non ha ragioni belliche che lo motivano. Alessandro – dicono i cronisti orientali medioevali, che infatti non lo capiscono – è solo curioso: vuole vedere cosa c’è sul fondo del mare, vuole vedere cosa si nasconde sotto la superficie, desidera conoscerne gli abitanti. L’immersione sarebbe accaduta in occasione del soggiorno del discepolo di Aristotele sulle rive dell’Indo ed è documentata appunto dalla tradizione orientale della vita di Alessandro. Tre manoscritti sono conservati nella Biblioteca nazionale francese. Ma i cronisti non comprendono il fine dell’immersione. Ed allora mettono in bocca all’Imperatore riemerso alcune ingenue osservazioni: sott’acqua sparirebbero i colori ed il sole e gli abitanti, tra cui una sirena [un’altra!] si sarebbero avvicinati alla campana nella quale Alessandro si era fatto calare. Infine, una banale favola politica: il sovrano, sul fondo, avrebbe visto che i pesci grandi mangiano quelli piccoli e che vi regna la stessa cupidità che affetta la terra.
Una morale consolatoria: sott’acqua si ripropone lo stesso mondo, con gli stessi vizi che conosciamo in terra.

Dopo di che, si torna alla pratica. Sul fondo del mare, per così dire, ci si va soltanto per provate necessità. E così i primi scontri subacquei risalgono, secondo Tucidide, all'assedio di Siracusa, nel 414 a.C., da parte degli Ateniesi che, proprio grazie a dei sub, erano riusciti a segare le palizzate sommerse, facendo probabilmente ricorso a riserve d'aria.
Le prime attività connesse con i lavori di recupero dei carichi delle navi naufragate, o di quelli deliberatamente gettati in mare per alleggerire il carico durante le tempeste, sono documentate in epoca romana da Plinio il Vecchio e Tito Livio. Ma a Roma esisteva addirittura un corpo di palombari specializzati, gli urinatores, nuotatori subacquei presenti presso gli scali fluviali del Tevere e nel porto di Ostia. Si dice che persino Cleopatra assoldò quattro urinatores per combinare uno scherzo a Marc'Antonio, patito di pesca alla canna. Dietro ordine dell'imperatrice, di nascosto, i subacquei, muniti di otre per la respirazione, gli appesero all'amo sott'acqua un enorme baccalà salato.
Nel IV sec. d.C. Vegezio, nel De Re Militari, descrisse apparecchi respiratori e scafandri di cuoio riforniti d'aria mediante tubi. Ma questi apparecchi presentavano ancora imperfezioni ed inconvenienti, dovuti all'imperfetta impermeabilità e alla cattiva erogazione d'aria.
Nel Mundus subterraneus (1665), Athanasius Kircher riporta le prodezze del siciliano Pescecola che ai tempi di re Federico II, nel 1200, portava messaggi attraversando sott'acqua lo stretto di Messina.
Nel 1191, durante l'assedio di San Giovanni d'Acri in Palestina, per opera dei Crociati, per rompere l'assedio il Saladino affidò al marinaio Ah San al Ghawasin il compito di portare messaggi e denaro nuotando sott'acqua grazie a un apparecchio respiratore.
Nel Rinascimento si affaccia ogni tanto l'interesse per il mondo subacqueo, favorendo la ricerca di nuovi mezzi e di macchinari per esplorare il fondo del mare. Lo stesso Leonardo da Vinci progettò particolari scafandri di cuoio, autorespiratori con sacche d'aria da portare sulle spalle e pinne da applicare ai piedi, oltre a speciali apparecchi nei quali la respirazione era assicurata da una presa galleggiante e affiorante dall'acqua.
Leon Battista Alberti, a metà del ’400, tentò invano il recupero di due navi da diporto dell'Imperatore Caligola affondate nel lago di Nemi. Fra il 1600 e il 1700 apparvero numerosi progetti che illustravano palombari muniti di scafandri di cuoio, ma solo verso la fine del 1700 la scienza e la tecnica cominciarono a essere in grado di fornire materiali e mezzi atti alla realizzazione di apparecchi più efficienti per le immersioni, tra cui la campana batiscopica messa a punto dall'astronomo inglese Edmund Halley. Un notevole impulso all'attività subacquea derivò dall'invenzione della prima tuta da palombaro realizzata nel 1798 da K.H. Kleingert, che consentiva maggiore autonomia e manovrabilità in immersione, e determinò un grande incremento nelle ricerche e nel recupero di beni sommersi.
E ancora ad opera di palombari venne effettuata nella prima metà del Novecento la scoperta del relitto di Anticitera, vicino all'isola di Creta, mentre già nel recupero del prezioso carico della nave affondata a Mahdia, davanti alle coste della Tunisia, veniva sperimentato l'autorespiratore ad aria, di recente invenzione, che avrebbe provocato una vera rivoluzione nel campo delle immersioni e delle attività subacquee, mettendo in disuso l’ingombrante tuta da palombaro ottocentesca.
L'invenzione, che consente al sommozzatore l'indipendenza dalla superficie e una pressoché totale libertà di movimento, era stata messa a punto nel 1943 dal giovane ufficiale della marina francese Jacques Yves Cousteau e dall'ingegner Emile Gagnan.

Ma ora basta con la storia. Torniamo ai nostri tuffi. Si dice: tuffarsi nella lettura. Si dice anche: tuffarsi nel passato. Infatti, “profondo è il pozzo del passato, non dovrebbe dirsi insondabile” – come nell’attacco famoso di Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann.
Tuffarsi nel tempo, per ritrovare tracce di sé, le origini, i significati dei miti: come per il Giuseppe di Mann, appunto. Ma non sempre.
Il 17 dicembre 1967, Harold Holt – premier australiano conservatore in carica - si recò a Cheviot Beach, a sud di Melbourne. Fino a pochi giorni prima aveva dovuto accompagnare Lyndon B. Johnson, primo Presidente degli Stati Uniti a visitare il paese aussie. Forse era stanco, forse voleva recuperare. Era un giorno di mare mosso. Si è detto: voleva impressionare i suoi amici. Di fatto Holt, che aveva 59 anni ed era un ottimo nuotatore, si tuffò nell'oceano, sparendo dalla vista di chi era rimasto a terra. Non fu mai trovato, a dispetto delle estese ricerche e il 19 dicembre di quell'anno fu dichiara la sua morte presunta. C’è chi sospettò che Holt fosse una spia sovietica, o cinese, e che un sommergibile lo avesse atteso a largo di Cheviot Beach. Prevalse però il rimpianto, tanto che gli australiani gli hanno dedicato numerosi monumenti e centri, il principale dei quali è lo Harold Holt Memorial Swimming Centre, vicino Melbourne. Certo, Holt era un appassionato nuotatore, ma dedicare un complesso di piscine a chi è morto annegato, per gli australiani è ancor oggi motivo d’ironia. Gli americani invece gli dedicarono una fregata, in navigazione fino al 1992. Una nave da guerra, una nave che non affonda.

[7] La profondità media del mare, ormai da tempo appurata, è di circa 3800 metri.
[8] Omero,
Iliade, libro XVI, 745-750.

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luciano de fiore
Corso 2006/2007, I semestre,
insegnamento "Filosofie e problemi dell'intersoggettività"
 

     

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