Appunti ruminati e digeriti in maniera multimediale
La leggenda di Colapesce è una delle storie di questa puntata
di
Radio Luxembourg
di Roberto - 5 ottobre 2010
Cola, mezzo uomo e mezzo pesce
Una delle leggende più note della Sicilia è quella di “Colapesce”,
novella del 1300 giunta a noi in tante versioni differenti ma sempre
con lo stesso epilogo. Secondo Giuseppe Pitrè, esperto di folclore
siciliano, ne esistono oltre quaranta versioni che l’hanno resa una
delle storie «più conosciute, raccontata da secoli e secoli, e
citata da scienziati e letterati, teologi e filosofi, storici e
novellieri, prosatori e poeti…
Tra i filosofi che si sono interessati a Colapesce c’è Benedetto
Croce, tra gli scrittori Italo Calvino e Stendhal.
Renato Guttuso l’ha rappresentata sulla volta del Teatro Vittorio
Emanuele II di Messina e il cantautore siciliano Otello Profazio ne
ha fatto una canzone.
La
storia è quella di Nicola, detto Cola, un giovane messinese, vera
forza della natura, che viveva a Capo Peloro. Nicola, era un
strepitoso nuotatore e riusciva ad immergersi per lungo tempo come
fosse un pesce, tanto da guadagnarsi il nomignolo di Colapisci.
Il giovane amava il mare e i pesci e per questo rigettava in acqua i
pesci che il padre e i fratelli portavano a casa.
Un giorno, Colapesce vide nel cesto che il padre aveva portato a
casa una murena viva e la riportò in acqua facendo infuriare la
madre che gli lanciò una maledizione: «Tuo
padre e i tuoi fratelli faticano per prendere il pesce e tu lo
ributti nel mare! Peccato mortale è questo, buttare via la roba del
Signore. Se tu non ti ravvedi, possa anche tu diventare pesce».
Da quel momento il ragazzo cominciò a cambiare, trascorreva sempre
più tempo in mare ed era d’aiuto ai naviganti. La maledizione fu
completa quando gli comparvero le squame e le sue mani divennero
palmate.
Colapesce esplorò tutti i fondali marini viaggiando nello stomaco di
pesci più grandi di lui. Quando tornava in superficie raccontava
storie di strani pesci, di città sommerse e di tesori.
Un giorno riportò a galla un carico di monete d’oro trovate in un
vascello affondato. Cola divenne famoso, tanto da incuriosire
l’imperatore Federico II che lo volle conoscere.
Il re lo mise subito alla prova: prima buttò in mare una coppa d’oro
che il giovane riportò a galla dopo pochi istanti, poi lanciò la sua
preziosa corona e anche questa fu recuperata.
Il sovrano era curioso di sapere quanto fosse profondo il mare di
Messina e gli chiese di arrivare fino al fondale.
Colapesce ubbidì e quando tornò in superficie raccontò cosa aveva
visto.
«Maestà, – disse – tre sono le colonne su cui
poggia la nostra isola: due sono intatte e forti, l’altra è
vacillante, perché il fuoco la consuma, tra Catania e Messina».
Il re chiese allora che gli fosse portato un po’ di quel fuoco che
ardeva sotto il mare e Colapesce, seppur titubante, decise di
accontentarlo.
«Se voi così volete, Maestà, – disse Cola –
scenderò. Ma il cuore mi dice che non tornerò più su. Datemi una
manciata di lenticchie. Se scampo, tornerò su io; ma se vedete
venire a galla le lenticchie, è segno che io non torno più».
Qualche giorno dopo videro affiorare le lenticchie ma di Colapesce
nemmeno l’ombra. In molti sostengono che non sia morto ma che abbia
scelto di restare negli abissi per salvare la Sicilia.
Colapesce, prima della sua ultima immersione, aveva raccontato che
una delle tre colonne su cui poggia la isola a tre punte stava per
crollare a causa del fuoco e della lava dell’Etna. Colapesce scelse
di restare in fondo al mare per sostenere la Sicilia. Ogni tanto si
stanca e sposta il peso da una spalla all’altra facendo tremare la
terra. «Non si evocherà più ufficialmente il
nome di Colapesce. Ma tutti i siciliani sanno e si trasmettono di
generazione in generazione la loro verità. La Sicilia non è mai
sprofondata perché un piccolo pescatore di Messina l’ha salvata,
andando sostituire il pilastro difettoso, da qualche parte sotto
l’Etna»
Questa storia riprende e unisce elementi di diverse versioni, ma ce
ne sono altre che differiscono da questa.
Nella versione francese Re Ruggero prende il posto di Federico II
inserendo la storia in un contesto più antico. Italo Calvino
trascrive la leggenda raccontando di tre colonne che sorreggono
Messina e non l’intera Sicilia.
Ne esiste anche una versione in napoletano e una che vuole Colapesce
nato a Catania. Una variante poco nota e forse legata ad una storia
del settecento che racconta di un bravo tuffatore catanese,
soprannominato Pipiridduni, che si vantava di essere diretto
discendente di Colapesce.
La città etnea ha voluto ricordare la storia del giovane che ha
sacrificato la sua vita per la sopravvivenza dell’Isola con una
statua in piazza della Repubblica e con una raffigurazione su uno
dei lampioni di piazza Università. Infine, non manca una versione
che ne presagisce il ritorno. Secondo questa Cola tornerà sulla
terra quando nessun uomo soffrirà più per dolore o per castighi.
Visti i tempi è improbabile che lo rivedremo presto.
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