Cunta ca ti cuntu
Ultimo appuntamento con le fiabe siciliane
a Catania
Terzo e conclusivo appuntamento con
”Cunta ca ti cuntu”, la trilogia di
fiabe popolari siciliane promossa dalla Biblioteca regionale con la
collaborazione del Teatro Stabile di Catania e il contributo della Facoltà di
Lettere e Filosofia.
La rassegna s’inserisce nell’ambito dei “Lunedì in
biblioteca” e vuole approfondire leggende e racconti della tradizione isolana,
racconti e favole che stigmatizzano, e al contempo esorcizzano, le conseguenze
di atti e pulsioni che spesso attengono alla zona oscura e inconfessabile
dell’animo umano.
Dopo il cunto di Bettapilusa, incentrato sul tema
dell’incesto, e La pinna di hu, che narra di un fratello
assassinio per gelosia e avidità, è ora la volta di un antichissimo e
celeberrimo mito isolano, Colapesce, l’eroe
anfibio che dagli abissi regge la Trinacria e che andrà in scema lunedì 22
febbraio alle ore 18 nel salone di lettura della Biblioteca regionale che ha
sede in Piazza Università a Catania.
Come nei precedenti appuntamenti Ezio Donato mette a frutto la sua ricerca
dedicata alla letteratura favolistica e spesso sfociata in efficaci riduzioni
teatrali. Suoi il testo e la regia mentre le musiche sono di Carlo Insolia,
all’organetto Valerio Cairone.
In scena un'attrice di chiara fama come Mariella
Lo Giudice; a farle corona gli allievi della Scuola d’arte drammatica del Teatro
Stabile di Catania intitolata al grande Umberto Spadaro.
“Colapisci era uno mezzu omu
e mezzu pisci”. Con queste semplici e scarne parole, che descrivono la
straordinaria qualità anfibia di un essere sorprendente, hanno inizio quasi
tutte le versioni popolari.
Agli inizi del ’9OO, Giuseppe Pitrè, negli Studi di
leggende popolari in Sicilia,ricostruisce la natura, l’origine e
l’evoluzione della leggenda collocandola fra le ultime forme di mitologia in
Sicilia.
Non v’è dubbio, infatti, che il mitico eroe discenda, attraverso la
tradizione popolare (più di 40 versioni) e letteraria (50 autori dal Medioevo a
oggi; fra i classici non italiani della letteratura, Cervantes e Schiller),
dalla mitologia di Poseidone, dei Tritoni e di tutti gli altri semidei abitanti
del mare fra lo Jonio e lo stretto di Messina.
Ma, soprattutto, Glauco,
innamorato non corrisposto di Scilla, è il suo antenato più diretto, e come
Colapesce condannato per disgrazia, da bambino, alla metamorfosi che lo manterrà
per sempre mezzo uomo e mezzo pesce.
In una città imprecisata sul
mare della costa orientale della Sicilia, Catania o Messina, un bambino di nome
Cola, mentre gioca sulla riva, subisce la
mutazione a causa dell’imprecazione
della madre, stanca di richiamarlo fuori dall’acqua come ogni giorno.
“Chi
putissi addivintari un pisci!”: giusto in quel momento passa l’angelo e le
parole della madre si traducono in realtà. Il bambino, con la parte inferiore
del corpo trasformata in pesce, si tuffa in acqua e scompare.
Rinato come Colapesce, diviene il re del
mare, padrone di tutti i tesori sottomarini, amico e protettore dei naviganti
fino a quando un giorno viene sfidato a calarsi negli abissi dello stretto di
Messina dal re Federico II, o più probabilmente Ruggero d’Altavilla, geloso del
potere e della fama che Cola si era conquistati fra la gente del mare.
A questo punto la tradizione
popolare, come quella letteraria, forniscono diverse versioni.
In Sicilia, come
si sa, Colapesce, per rispettare l’autorità del re, soccombe negli abissi marini
bruciato dal fuoco sotterraneo dell’Etna oppure non muore ma si sacrifica per
reggere periodicamente, ma in eterno, una delle tre colonne, quella più
malferma, sulle quali poggia la Trinacria.
Colapesce diventa così l’eroe
popolare della Sicilia e il suo racconto corre in tutta l’isola.