Il
pesce Nicolò 'e figlie e Nittuno
Sempre
legata al mare è la <<leggenda>> del <<pesce Nicolò>> nota da
sempre ai napoletani fino ai primi anni di questo secolo.
Oggi, anch'essa, rischia di
cadere in quell'oblio che ha già fagocitato gran parte delle antiche leggende
metropolitane (che sempre nascondono una realtà di grosso interesse celata
sotto una
narrazione edulcorata per darne contezza ma custodirne il segreto).
La leggenda , citata
anche da Benedetto Croce (Storie e leggende napoletane) si riferisce ad un bassorilievo di
epoca classica, rappresentante Orione, venuto alla luce durante gli scavi per le
fondazioni del <Sedile di Porto> e murato nel Settecento, con una lapide
esplicativa, sulla facciata di una casa all'inizio di via Mezzocannone, lato corso
Umberto. Il bassorilievo rappresenta un uomo coperto da quello che sembra un <vello>
con un coltello in mano.
Detto <Cola Pesce> o <pesce Nicolò>, nome del
protagonista di una leggenda seceliota che parla di un ragazzo maledetto dalla madre.
A
furia di rifugiarsi nel mare il ragazzo finì per prendere caratteristiche di vero e
proprio pesce usando, per lunghi spostamenti, il corpo di grossi pesci, dai quali si
faceva inghiottire, per uscirne all'arrivo, <tagliando> il ventre del malcapitato
<trasportatore>.
Fin qui la leggenda. Ma una ben più interessante verità si è
celata per secoli nella memoria del <pesce Nicolò>, l'incredibile
<confraternita> di sommozzatori che venivano <iniziati> ad un culto marino
<sotterraneo> del dio delle acque Poseidone:
<<'e figlie 'e Nittuno>>.
Di
origine tardo-pagana, questo culto esclusivamente neapolitano, che aveva come scopo il
possesso delle <ricchezze> marine esistenti nelle grotte più profonde del golfo,
conosceva il segreto per resistere in apnea per tempi giudicati impossibili dalla scienza
ufficiale. Alcune alghe, particolarmente trattate, <rallentavano> il ritmo
respiratorio (come gli esercizi di <volontà> di alcuni gruppi indiani, volgarizzati
dai <fachiri> in esibizioni spettacolari, come la chiusura ermetica in bare
interrate per alcuni giorni) fino ad un tempo impossibile da ottenersi anche con le
bombole.
Lo stato di rallentata respirazione non incideva comunque sulla <coscienza>
di questi uomini-pesce, che potevano operare tranquillamente i recuperi e i più segreti
rituali dedicati alla sirena trinigenia Partenope, che prevedevano anche l'accoppiamento
con rarissimi sirenoidi, poi scomparsi dal golfo di Napoli (forse una varietà della
<foca monaca> - fascino intrigante di un nome! - che ancora, sebbene ridotta a
pochissimi esemplari, si può a volte scorgere nei pressi dell'isola di Capri).
A questi
<iniziati marini> era dato il nome <in codice> di <pesci Nicolò> e con
quel nome, e in assoluto segreto, pare che l'ultimo di questa <ricreata> specie sia
stato usato dai servizi segreti alleati per ricerche sul fondo del golfo di Napoli nel
corso dell'ultima guerra e dell'immediato dopoguerra.
Le notturne <sparizioni> di
alcuni natanti del porto di Napoli, in quel periodo, ed il possesso da parte di alcuni
collezionisti stranieri, presenti a Napoli nello sciagurato dopoguerra, di gioielli
greco-romani (ancora in parte racchiusi in concrezioni dal profondo fondale marino) fece
raffiorare la memoria dei <pesci Nicolò>, perchè ad alcuni di loro fu sentito dire
- e documentato in una corrispondenza del tempo - con aria complice e segreta che
bisognava rivolgersi in una precisa grotta marina del litorale, verso Miseno, all'<uomo
col colapesce>!
Divertente confusione tra Cola Pesce, derivato dal Nicola Pesce, e
l'attrezzo della cucina napoletana, in origine in terracotta bucherellata, detto
<scolapesce> o <colapesce> perchè usato per quella necessaria esigenza.
Voglio qui ricordare i ragazzini che in quegli anni si tuffavano nudi a raccogliere con la
bocca la moneta gettata a mare da forestieri ammirati, ma altrettanto preoccupati per la
lunga immersione di quei guizzanti corpicini, sempre abbronzati d'estate e d'inverno,
<testimoniati> da Vincenzo Gemito.
Forse proprio tra quei ragazzini, già adusi ad
una realtà più marina che terragna, venivano scelti gli adepti del culto segreto dei
<<figlie 'e Nittuno>>, i futuri <<pesce Nicolò>>.
A me piace
pensarlo. E voglio terminare questo capitolo ancora con alcuni versi che Viviani nel 1963
dedicò a questo <<personaggio>> della mitologia marinara:
....'Sta scorza ca
ll'acqua nun spogna
ch'è pelle squamata?
Si'figlio a nu pesce?
'
Sta forza ca 'o friddo
nn'arrogna,
chi mago t'ha data?
'Stu sciato 'a dò t'esce?...
E non è assurdo pensare,
leggendo attentamente questi versi, che il giovane Rafèle, cresciuto tra i vicoli
e gli scogli, abbia saputo da qualche vecchio pescatore, ammirato dal suo amore per il
mare, qualche <segreto>. Qualche narrazione <rivalente>.
Chi sa!? ...
Guaglione
d''a pelle abbrunzata, pur'io me menavo...
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