Pescecola e
altre curiosità: la fortuna delle fiabe
e leggende italiane nella letteratura tedesca
(relazione tenuta al convegno della
A.I. G. il 4.6.2004
a Bari)
La narrazione orale tende a perdere le tracce delle
origini delle sue storie: motivi centrali delle leggende
e fiabe non sono patrimonio di una tradizione popolare soltanto, ma di almeno una vasta
area geografica-culturale
se non addirittura del mondo intero. E questo riguarda anche
l’intera struttura del racconto.
Non per caso fu proprio il libro di Propp
sulla “Morfologia della fiaba”
che – con la benedizione dell’antropologia di Lévi-Strauss -
negli anni Sessanta
riuscì a convincere anche i più scettici della validità
metodologica del strutturalismo.
Cancellando la
storia come elemento esiguo che riguarda le variabili diacronicche, nel campo della fiaba sin
da i tempi dei fratelli Grimm
si è preferito non indagare troppo sulle fonti, visto che motivi
e struttura sono – e
non solo dal punto di vista
dell’analisi strutturalista - generalizzabili.
Per gli stessi fratelli Grimm il terzo
volume che raccoglie la parte filologica con l’indicazione delle fonti, risultò per lo più invendibile, mentre solo con la
2ª edizione delle
fiabe senza commento
cominciò il loro irrefrenabile successo.1
La prima
stesura dei “Kinder- und Hausmaerchen” del
18102
è
innanzitutto risultato dei resoconti che i fratelli avevano steso dopo i colloqui con varie donne dell’Assia
che – come si sa – non erano
affatto persone umili bensì
appartenevano all’alta borghesia e ricordavano sopratutto le fiabe di fate francesi di Perrault. Per quanto la
redazione ultima degli “Hausmaerchen”
abbia ritoccato i testi con l’uso dei libri di Perrault stesso,
è difficile dire
perché le copie in loro possesso si sono persi. Ma per quanto
riguarda le loro fonti italiane (che in parte sono anche quelle di Perrault stesso3)
si è più fortunati: la biblioteca della
Humboldt-Universitaet
di Berlino non solo conserva varie edizioni delle
“Piacevoli notti” dello Straparola usate dai Grimm, ma anche
un’edizione del “Pentamerone”
del 1788 che Jacob Grimm consultò intensamente già dal 1812.
Allora, la posizione privilegiata
assegnata a Basile nella breve storia della fiaba
nel terzo volume dei
“Hausmaerchen” è più che meritata, e il cenno nell’introduzione
che altrimenti – cioè
se non ci fosse quella parte storica – di Basile “sarebbe al
massimo citato il
titolo”, si deve prendere come un’ammissione4
indiretta che
il napoletano “Cunto de li Cunti” è
la vera fonte p.e. per l’”Aschenputtel” e tante altre.
Brentano avrà
raccomandato con insistenza ai Grimm
il primo grande narratore di
fiabe che stava al centro del suo lavoro per una nuova
forma di fiaba con ambizione artistica che prende spunto dalla
tradizione per elaborare
un’opera romantica molto più complessa sia per quanto riguarda
la trama che per il
mescolamento delle forme
(come l’introduzione di poesie in versi nel racconto in prosa). Resta il fatto che,
anche per suoi lavori con gli “Italienische Maerchen” che lo occuparono dal ca. 1805 al 1815, era Basile la fonte
principale, ma si potrebbe
dire che Brentano, per la libera fantasia impegnata nelle sue
variazioni dei motivi di Basile5,
si vede come un narratore moderno in concorrenza con l’antico
maestro di Napoli.
Nello stesso
modo anche le fiabe taetrali di Tieck
non nascondono affatto che sono scritte sul modello di
quelle di Gozzi, ma ne prendono
spunto per una variazione moderna che deve anche fare i conti
con la tradizione differente del palcoscenico tedesco. Come sottolinea lo stesso Tieck:
“Ohne Gozzi
nachahmen zu wollen, hatte mich die Freude an seinen Fabeln
veranlaßt, auf andere
Weise und in deutscher Art ein phantastisches Mährchen für die
Bühne zu bearbeiten.“6
Nel viaggio
della poesia popolare dall’Italia alla Germania, la fiaba passava la dogana linguistica e
culturale per lo più senza problemi e
senza pagare il dazio dell’incomprensione o di una
insuperabile estraneità:
il meraviglioso fiabesco è
dotato di una larghissima capacità d’adattamento sia
durante il percorso della tradizione orale che nella
trascrizione dotta dei Grimm
e altri.
Per la “Sage”,
la leggenda non religiosa, l’estensione
in spazi culturali estranei alle sue origini è più complicata.
Perché è – come sottolineano
i Grimm – meno poetica e più storica, soprattutto più radicata
nelle caratteristiche
di un territorio: “la leggenda ha maggiore particolarità, è
legata a qualcosa di noto e conosciuto, ad un luogo o ad un nome provato dalla
storia”. Così, mentre la fiaba
è senza dubbio internazionale, il repertorio delle Sagen – ed
anche quelle della più
bella e grande raccolta
tedesca delle “Volkssagen” sempre dei frattelli Grimm – è
tendenzialmente
limitato a testi originari delle regioni di un territorio
nazionale, di unità linguistica-culturale.
La fortuna in
Germania di una leggenda popolare strettamente
legata al mare, al Mediterraneo, deve apparire ancora più
sorprendente ed
interessante di quella delle fiabe del
Basile. Subisce, comunque, già in
partenza la
restrizione di non poter mai entrare a far parte della
tradizione orale delle Volkssagen, ma diventare “solo” un elemento importante del
patrimonio narrativo della
letteratura tedesca scritta (e per lo più colta).
Parlo
del racconto di “Cola Pesce”.
Sicuramente
molti hanno già sentito o letto una delle tante varianti
popolari di questa celebre
leggenda, che ha attraversato la divisione alpina nonostante le
sue chiare caratteristiche
mediterranee.7
Dico
mediterranee, perché già dal medioevo la storia
dell'uomo pesce è entrata a pieno diritto nelle letterature
popolari dalla Spagna alla
Grecia, anche se, a ragione, quella siciliana può vantarne il
primato, conteso magari solo
a quella napoletana.
Il più antico documento scritto però, che
nomina Cola Pesce e
che risale al 12° secolo, è di un trovatore francese (ma a lui vorrei tornare alla
fine del mio discorso...).
I libri hanno
la loro storia e il debutto della leggenda
dell’uomo pesce nei libri tedeschi è piuttosto singolare.
Dopo
aver trattato i
fondali del mare e la loro asperità, nel
XV capitolo del secondo libro di
“Mundus subterraneus”
del 1665, Athanasius Kircher
dice che vuole aggiungere una storia che provi
la sua tesi:
”Ad dam hoc loco
Historiam, quae tempore Frederici Regis in Sicilia
contigit, qua, quae hucusque de fundi maris inaequalitate
dicta sunt, comprobantur.”
Segue il
racconto del “celebrissimo
sommozzatore Nicolaus,
“vulgo Pescecola”, il più lungo e meglio strutturato con una
concentrata narrazione stringente e lineare, paragonabile alla precedente
versione dell’umanista
Giovanni Pontano, della fine del
‘400, in 115 esametri e che si perde, però, in tanti allusioni erudite al mito antico, che Kircher evita
completamente.
Quando pubblica il “Mundus
subterraneus”, Kircher è da tempo una celebre autorità
praticamente in tutti
i campi del sapere, un erudito universale, venerato e
letto in tutta Europa.
Che
cosa l’ha incuriosito nella storia
del sommozzatore siciliano? Chiaramente, come annuncia lui stesso, in primo piano il racconto degli abissi, delle
grotte e delle forti correnti
di profondità (nel 1638 Kircher
aveva
fatto un viaggio in Sicilia ed era ovviamente
– anche come conoscitore dell’”Odissea” - rimasto molto
impressionato dallo stretto tra Scilla e Cariddi e i suoi vortici).
Poi si sofferma
a lungo sulla varietà e mostruosità
della fauna. E non in ultimo insiste sulle impressionanti
capacità di
Nicolao nuotatore,
capacità attribuita alla sua natura ormai abnorme. Perché
restava quasi sempre in acqua,
Nicolao sarebbe diventato più simile ad un anfibio che ad un
uomo, gli sarebbero cresciute delle membrane tra le dita e i suoi polmoni si
sarebbero estesi tanto per
contenere aria sufficiente per una intera giornata
sott’acqua.
L’ingresso di Colapesce nella cultura tedesca era, dunque, piuttosto “nobile”: non
attraverso “facezie” o racconti
fiabeschi, bensì nel contesto di un
trattato serio (ed allo stesso tempo molto intraprendente)
di un grande erudito gesuita.8
Kircher era
stato professore di matematica, fisica
e lingue orientali al Collegio
Romano, ma poi si poté dedicare esclusivamente
ai suoi studi ed all’allestimento del famoso Museo Kircherianum,
una straordinaria
Wunderkammer del sapere universale con antichità, oggetti naturali
e materiale etnologico, che gli procuravano
i missionari dal oriente. Ogni camera
delle meraviglie
cercava di mostrare anche esempi della natura deforme o abnorme (ed in questo non è così
lontano del gusto popolare...): feti con due teste,
animali mostruosi ecc.
Attraverso il racconto, anche
l’uomo pesce è entrato così in quella collezione che intendeva essere uno specchio del mondo, del
sapere sul mondo e sulla
sua storia naturale e culturale.
L’autorità di Kircher ha aperto
le porte alla leggenda
napoletana-siciliana nella letteratura tedesca. O come fonte
diretta - visto che nei secoli successivi fino alla metà del
‘900 i tedeschi colti conservavano una certa
padronanza del latino – o attraverso il riassunto (con
indicazione della fonte,
però) nell’enciclopedia dello Zedler, che
uscì come “Grosses vollstaendiges Universallexikon
aller Wissenschaften und Kuenste” in prima edizione nel 1723,
restando il libro di
maggior consultazione fino ai tempi di Goethe9
e usato
ancora dagli autori romantici10.
Impossibile nominare tutti i successori di Kircher, che iniziano
già qualche anno dopo il “Mundus subterraneus” con il “Ost-und West-Indischer wie auch
Sinesischer Lust-und Statsgarten” del 1668 (di
Erasmus Francisci di Norimberga)11
e altri libri
più o meno curiosi del barocco tedesco.
Con il “Taucher” di
Schiller,
però, ritorna nelle alte sfere della poesia, ed in questo senso
Croce ha ragione
quando
paragona Schiller e Pontano
(ha torto, però, nel preferire l’ultimo..).
Quasi
sicuramente le fonti
della ballata erano Kircher e Francisci. Il suo
adattamento consiste in
una radicale modernizzazione della storia che ha fatto
tanto arrabbiare Benedetto
Croce, secondo il quale Schiller perde i motivi
di ingenua e semplice curiosità della
legenda popolare “immeschinendola in avventura erotica, e svolgendola
in forma, più che artificiosa, meccanica.”
Sembra sentire i Grimm in polemica con
Arnim e Brentano. Schiller ha di
fatto intrapreso quello che Arnim più tardi cercherà
p.e. nella sua “Isabella d’Egitto”:
trattare le leggende come
una tradizione viva e perciò trasformabile, non
come un tesoro di cultura nazionale che può essere solo conservato ma non più sviluppato.
“In Eurem Geist – si rivolge nella “Zueignung” ai
fratelli Grimm – hat
sich die
Sagenwelt
Als ein geschloss’nes Ganzes schon gesellt, Mein Buch dagegen
glaubt, dass viele Sagen In unsren Zeiten erst recht wieder
tagen.”
Schiller
realizza la trasformazione della storia popolare
in forma artistica non solo trascrivendola in versi (che sono -
seguendo la semplicità
della ballata - poco articolati, ma non per questo già
meccanici), ma concentrando
la tradizione su due elementi principali ed aggiungendo un
terzo, completamente
nuovo.
-
Come attento lettore di Kant, Schiller insiste sulla
forza sublime della natura. I versi, ripetuti due volte nella
ballata: “Und es wallet
und siedet und braused und zischt,/
Wie wenn Wasser mit Feuer sich mengt,/ Bis
zum Himmel sprüzet die dampfende Gischt”/ che descrivono
il vortice di Cariddi erano il punto d’orgoglio dell’autore (lodato per questi
versi anche da Goethe).
Lui non aveva mai visto il mare, il vortice lo aveva studiato
solo dalle acque del mulino
e – naturalmente – dalla descrizione di Cariddi in Omero. Così
tutti i mostri marini: piovra, squali e tutti gli altri mostri marini che
servono a spaventare il lettore
e aumentare la sua sensibilità per l’eroismo dell’azione.
-
Schiller
conserva dalla tradizione il motivo del
re responsabile della morte dell’eroe
per la sua superba curiosità. Il re con
suoi seguaci da un
lato, “der herrliche Jüngling” dall’altro, davanti a loro il
mare agitato della
storia. La situazione del dramma è simile al conflitto di Wallenstein e Max
Piccolomini.12
Il
magnifico ragazzo riesce finché si tratta di un’avventura disinteressata
– quando cerca di entrare nella storia e conquistare la mano
della figlia del re, si perde nel “grausamen Spiel” del potere, nel vortice
pericoloso ed inaffidabile
della storia.
-
Eliminando
completamente le caratteristiche tradizionali
di Colapesce e tutta la sua storia prima dell’incontro col re,
Schiller non solo
elimina tutte le curiosità popolari,
ma apre la strada per una modernizzazione radicale che regala alla storia - e alla triste fine dell’eroe - una
nuova motivazione psicologica.
Attraverso quel motivo erotico che irritava
tanto Croce, Schiller evita la tradizionale
morale delle leggende di Colapesce, che, sì, spesso si
rivolgevano contro il re o imperatore tiranno (soprattutto nell’uso antifredericiano
della storia) – ma finivano
quasi sempre con un monito contro la cupidìgia per l’oro che
avrebbe causato l’esito
tragico dell’avventura di Cola. Nella ballata invece, è la
“Himmelsgewalt” delle
espressioni sul viso della
“schönen
Gestalt” “der lieblichen Tochter” che pone
l’anima dell’eroe davanti alla decisione tra l’unica vita
ancora desiderabile o la
morte: “Und stürzt hinunter auf Leben und Sterben.”
Pare che dopo
Schiller i poeti tedeschi esitassero
a misurarsi con la celebre ballata. Naturalmente l’uomo
pesce non è sfuggito alla curiosità di Heinrich von Kleist per il meraviglioso, ma lo nomina
soltanto alla fine di un
articolo nei “Berliner Abendblätter” su “Wassermänner und
Sirenen”, confermando, però, la ancora diffusa conoscenza della leggenda.
“Hierher gehört auch noch
der sogenannte neapolitanische Fischnikkel, von welchem man in
Gehlers physikalischem Lexion
(sic!S.N.) eine authentische Beschreibung findet.“
13
Quando
Tieck nel 1834 rimette mano alla leggenda,
risolve il problema
del precursore troppo illustre citando all’inizio del
suo racconto proprio
il testo di Schiller. La cornice della Geselligkeit gli permette,
poi, una presentazione della leggenda da vari punti di vista,
tornando e citando le
fonti senza dover prendere una posizione decisa che
privilegia magari l’una all’altra.
Tieck fa soprattutto raccontare due nuove ed originali versioni
della storia.
La prima,
fortemente ironica, presenta
Colapesce come patriota nell’epoca dei moti rivoluzionari:
alla fine il popolo in rivolta butta in mare il tiranno al posto
di Cola.
La seconda
invece, offre una nuova variante del motivo erotico introdotto
da Schiller, ma qui
con lieto fine, perché tutta la
storia viene raccontata come una corteggiamento
scarsamente velato del narratore ad una donna del suo
pubblico.
La leggenda viene
presentata
da Tieck come
narrazione nel contesto sociale della conversazione
colta borghese: la curiosità non ha più niente della
funzione eziologica della leggenda
(o del mito) popolare, fa semplicemente parte del
materiale di conversazione,
come intrattenimento colto e intelligente che accetta e
tollera tutti gli stili
e i modi d’espressioni tranne quelli fanatici e
intolleranti.
Sulla base delle fonti latine
dell’umanesimo italiano – esplicitamente nominati sono Pontano e
il Napoletano Alessandro d’Alessandro
(erede del primo alla corte aragonese di Napoli, 1461-1523),
mentre Kircher viene taciuto –
Tieck lascia parlare a suoi
personaggi delle
strane vicende di Nicola Pesce, ma quello che conta non è la
storia, ma è la stessa
realtà del raccontare e commentare il narrato, cioè il
dilettarsi con la parola: la società
ideale come un grande salotto.
La più bella
versione moderna di Colapesce risale
al Realismo.
Conrad
Ferdinand Meyer in un
sonetto, pubblicato nel 1882, torna al
personaggio leggendario di
“Nicola Pesce”, incontrato probabilmente durante lo
studio attento della “Geschichte der Hohenstaufen”
dell’amico di Tieck, Friedrich von Raumer.
L’uomo pesce di Meyer – come ha evidenziato la recente
interpretazione di
Peter von Matt - si abbandona al piacere egocentrico del “kühlen
Gleiten” nelle onde
del mare, una esistenza solipsistica,
contenta di esserlo:
“Ich freue
mich.” In mare per libera scelta e per fuga dal mondo degli
uomini ad un mondo più colorato
ed avventuroso:
“Was machte mich zum Fisch? Ein Mißverständnis
Mit
meinem Weib.
Vermehrte
Menschenkenntnis,
Mein Wanderdrang und meine Farbenlust.“
Così, la
maledizione materna della leggenda popolare
si è trasformata in incomprensione tra coniugi.
Pescecola è
diventato una
risposta alla vita borghese, un
“alternativo”
orgoglioso, che rompe i ponti con la
società.
“Ich bleib ein Fisch, und meine Haare triefen!”
dice
l’ultimo caparbio verso del sonetto.
Per
concludere questo breve discorso
sulla fortuna di
Colapesce, vorrei – per ovvii motivi – tornare agli inizi della
tradizione scritta
della leggende: perché il primo che ha cantato la sua fama, il
trovatore provenzale Romain
Jordan ricordava ancora la provenienza di Nicola14:
Tals esterai
cum nichola debar
Quesi uisques
lonc temps sauis hom fora
Questet gran temps mest los peisos enmar
Esabia quei
morria cal que hora
Eges pertant non uolc uenir ensai
Esi ofetz
tost tornet morir lai
Enans gran mar don pois non poc issir
Enans i pres lamort senes mentir.
Sarò come
Nicola di Bari,
che se avesse vissuto a lungo,
sarebbe diventato un uomo saggio,
che lungo tempo è stato tra i pesci
e sapeva di dover morire lì,
ma
non voleva tornare a terra,
e,
se lo fece , tornò subito, per morire lì,
nel
grande mare, da dove non tornò più,
dove senza dubbio trovò la
morte.
Stefan Heinz Maria
NIENHAU
-
Ancora
più grande fu però il successo della così detta “Kleinen
Ausgabe” di Wilhelm Grimm del 1825 che non solo scelse delle
fiabe più semplici ed “innocui”,
ma, in più, sottomise i testi ad una generale redazioni
con fini armonizzanti e con un generale stile Biedermeieriano.
-
A
causa del disinteressamento di Brentano per il quale i fratelli avevano iniziato la loro raccolta e
che non l’aveva mai restituita, questi manoscritti si
sono conservati.
-
Sul
ruolo centrale di Basile per lo sviluppo della fiaba letteraria europea si è tenuto nel Giugno 2002 a Zurigo il
convegno “Giambatista Basile und das europaeische Maerchen” (con
un intervento di Harald Neeman su Basile come fonte per
Perrault: “Basile et Perrault”) di cui atti non sono ancora
pubblicati.
-
Un’ultimo
„inchino” davanti a Basile rappresenta la prefazione di
Jacob Grimm alla prima traduzione del “Pentamerone”
in 1846.
-
Per
quanto è vero che Brentano segue il principio della “Kunstpoesie”
rispetto a quello della “Naturpoesie” dei fratelli Grimm nei sui
adattamenti di Basile - cioè
non usa uno stile arcaizzante ma moderno -, tanto
è simile sua versione a quella dei “Hausmaerchen” nella
censura pudica delle immagini sessuali senza velo del testo
barocco. Specialmente nella fiaba della “Mortella” la
morale borghese di
Brentano si dimostra estremamente
restrittiva e complessata, negando il sesso (la mortella le
notti canta una
ninnananna al principe e gli insegna il
buon governo invece di fare l’amore con lui, le
prostitute abbandonate sono semplici “Fraeuleins” che speravano di diventare
principesse ecc.) ma non attenuando per niente la violenza (le
cattive donnine fanno la mortella letteralmente a pezzi
se ne portano via ciascuna un dito).
-
Ludwig
Tieck, Schriften, vol. 1: Kaiser Octavianus, Reimer: Berlin
1828, p. VII.
-
“Wassermenschen”,
cioè varianti maschili delle ninfe che abitavano i
fiumi e laghi si trovano, invece, di gran numero nelle Sagen
tedesche, e la più recente grande raccolta di Heinz Rölleke ne
conta non meno di otto (Das große deutsche Sagenbuch,
Artemis&Winkler: Düsseldorf und Zürich 1996, No. 338; 422;
423; 748; 892; 902; 10
08; 1083). Nella letteratura contemporanea si trova col
romanzo dell’autore svizzero Hansjörg Schneider “Das
Wasserzeichen”
(Ammann: Zürich) una bella variante delle leggende
sulle sirene e gli uomini pesce. Viene raccontata in veste moderna l’insieme di paura e attrazione erotica
suscitate dall’ambiente acquatico: a una parte degli esseri
umani, rimasta più vicina all’acqua come luogo d’origine di
tutta la vita, si è conservato un segno al collo, o una semplice
macchia bluastra, o una vera e propria ferita, simile a delle
branchie e che necessità di essere regolarmente
bagnata per non diventare pericolosa. Il protagonista, un
vero uomo pesce, fa
l’amore sempre nell’acqua e, raggiungendo il culmine dell’atto
sessuale rischia a tenere sott’acqua l’amante finché non muore
annegata.
-
Alla
fine del suo racconto Kircher insiste sulla sua fonte e su suoi scopi seri: L’ha trovato tra i documenti
dell’archivio reale e l’ha raccontata solo per fornire un
immagine più chiara dei vortici del mare (“Hanc historiam prout
in actris Regiis descripta fuit, à Secretario Archivii mihi
communicatam apponere hoc loco visum fuit,
ut marium vorticosi tractus luculentius paterent.”)
-
Solo
alla fine del ‘700 lo Zedler fu sostituito dal
“Conversationslexikon mit vorzüglicher Rücksicht
auf die
gegenwärtigen Zeiten”, che uscì in 6 volumi a Lipsia 1796-1808 e diventò,
poi, la base per la futura enciclopedia di
Brockhaus.
-
Kircher
è ancora l’unica fonte per il “Abriß einer Naturgeschichte des
Meeres.” (Berlin 1792, pp. 22-
24) di Friedrich
Wilhelm Otto, che da parte sua viene
indicato come fonte da Franz von Kleist per il suo lungo canto
“Nicolaus der
Taucher” (pubblicato nella “Deutsche
Monatschrift” Berlin 1792, pp. 53-72; in Heinisch,
op. cit., pp.
260-267,
probabilmente usato da Schiller.
-
Mentre
l’allievo di Kircher, Caspar Schott, che ha raccontato
da parte sua una breve versione di Colapesce, è stato a Palermo
e molto probabilmente aveva anche altre fonti che Kircher.
-
Questa
interpretazione in: Gert Ueding: Klassik und Romantik,
Dtv:München 1987, p. 670.
-
Berliner
Abendblätter, Nr. 31 del 6.2.1811, p. 12
4. Cfr.
Elena Agazzi, Lo sguardo curioso del
pubblicista. Wassermenschen e altre meraviglie nei
“Berliner Abendblätter“ di Kleist. In Dal
giornale al testo poetico.
I “Berliner
Abendblätter“, a cura di F. Cercignani, E. Agazzi, R. Reuß, P. Staengle, Cuem: Milano 2001, pp. 150sg.
-
Lo
uescoms de Saint Antonin, cit. da: Archiv für das Studium der
neueren Sprachen und Literaturen 18(1863), vol. 33, p. 466.
www.colapisci.it