«C'era una volta... una bella giornata: col cielo tutto azzurro,
il mare tutto calmo, l'aria luminosa e tiepida, e bianche vele lontano, come
gabbiani docili all'onda. (...) L'acqua era trasparente, si vedevano gli scogli
sommersi, le alghe, la sabbia ondulata del fondo, e i pesci che nuotavano snelli
tra le maglie di sole smaglianti».
Comincia così Colapesce, il nuovo
libro di Raffaele La Capria pubblicato in una veste grafica elegantissima
dall'Editore Drago di Bagheria (www.dragoedizioni.it) e illustrato da Giosetta
Fioroni. Una favola, dunque. Una favola antica e un po' anacronistica, oggi, in
un mondo in cui la menzogna troneggia, e la verità, invece, è diventata una
forma d'intrattenimento e di spettacolo.
Diciamolo subito: Raffaele La Capria è
uno scrittore straordinario capace di modellare la parola con una maestria
talmente rara che le sue frasi, pur nella semplicità della loro struttura,
riescono a evocare alla mente qualunque immagine, qualunque emozione. Anche in
questo libro ci riesce molto bene: e noi veniamo rapiti dalla storia di
Colapesce, un bambino talmente amante del mare che un giorno il suo corpo
cominciò ad assumere le sembianze dei pesci:
«A furia di nuotare, le mani e i
piedi gli erano diventati più larghi, quasi fossero delle pinne, e tra le dita
gli era spuntata una leggera membrana».
Nella Sicilia di un tempo, Colapesce
diviene talmente mitico che perfino il re di Messina, desiderando conoscerlo, va
in mare aperto, con la sua nave, e cerca di rintracciarlo. Il re è un uomo
autoritario e prepotente, circondato da cortigiani e opportunisti che non osano
mai contraddirlo:
«Il Re di Messina s'era svegliato male quella mattina. Quando
era di cattivo umore la corona che aveva in testa gli scivolava da un lato e lui
con un gesto nervoso se la rimetteva a posto. Era avvolto in un mantello di
velluto rosso con bellissimi ricami, ma siccome era molto trasandato, addosso a
lui pareva una vestaglia».
Anche quando Colapesce finalmente gli si manifesta,
apparendo dalle profondità marine con in bocca un pesciolino ancora vivo, il Re
di Messina non riesce a credere che egli sia per metà pesce e per metà essere
umano. Dunque lo sottopone a una prova.
Fa lanciare in mare aperto una palla di
cannone e, subito dopo, ordina al bambino di andare a ripescarla. È una prova
molto difficile, ma Colapesce non si lascia intimorire:
«Colapesce con una
capriola s'immerse sott'acqua e cominciò a nuotare verso il punto dov'era caduta
la palla di cannone. I suoi occhi erano abituati, come quelli dei pesci, a
guardare il mondo sottomarino, e così riusciva a guardare ogni cosa come
attraverso un vetro. Vedeva i contorni degli scogli, la sabbia ondulata, i
tappeti di alghe verdi e marrone, e gli piaceva questo paesaggio silenzioso che
si stendeva sotto di lui. Gli pareva di volare».
La palla di cannone viene
recuperata impeccabilmente con grande sorpresa da parte del re e del suo
equipaggio. Colapesce è veramente un portento, e tutti se ne compiacciono. A lui
viene affidata perfino una difficile missione di stato: capire su cosa la
Sicilia poggi e perché la città di Messina è spesso tormentata dai terremoti.
È
una missione difficilissima che portarà Colapesce a circumnavigare la sua isola
in un lungo e stancantissimo viaggio. Fortuna che gli altri pesci lo aiutano
sempre un po'.
Di pagina in pagina, con una maestria ormai perduta, fatta di
poche parole (ma sempre esatte, e belle) Raffaele La Capria ci aiuta a ritornare
bambini: a scrollarci di dosso il peso di una volgarità sempre più imperante ed
esasperata.
Ecco perché, alla fine, questo suo nuovo piccolo libro (conta solo
52 pagine) può essere donato con altrettanto successo sia da una madre al
proprio figlio, sia da un figlio alla propria madre. Perché, in fondo, questa
novella, con la sua dolcezza e con la sua delicatezza, parla proprio a tutti: e
tutti sa emozionare, allo stesso modo. È misterioso che esistano libri del
genere. Eppure, grazie a Dio, per fortuna è così.
NICOLA LECCA