Anna M. Crisafulli Sartori
La
leggenda di Colapesce
e il suo fascino inalterato
Per
la particolare conformazione dei suoi polmoni poteva trascorrere senza
danno giorni interi immerso nelle acque del mare, esplorarne le
profondità, penetrare nelle caverne sotterranee e negli anfratti,
nuotando a lungo nei fondali algosi, pesce tra i pesci.
Questo
era Nicola detto «Colapesce» che, immersosi nello Stretto di
Messina per ordine dell'imperatore Federico II (o del re Alfonso o del re
Ferrando) non più riemerse, rimanendo vittima della sete dell'oro oppure
(versione che piace di più, soprattutto ai messinesi) del suo slancio
eroico nel voler sorreggere la colonna pericolante di Trinacria, quella
posta sotto Capo Peloro.
Sulla
vicenda assai nota (particolarmente sulle sponde dello Stretto) del mitico
giovane, sono molte le versioni popolari (il Pitrè nei suoi «Studi di
leggende popolari in Sicilia» ne riporta ben diciassette), molte le
rappresentazioni artistiche e le trasfigurazioni poetiche nel corso dei
secoli e non solo in Sicilia.
E poiché uno dei due grandi protagonisti è, nella maggior parte delle
versioni, l'imperatore svevo Federico II degli Hoenstaufen, non sorprende
che scrittori tedeschi quali Wolfgang Goethe, Friderich Schiller e ancor
prima (1665) un fisico, il gesuita Athanasius Kircher di Geysen, e il
poeta Franz von Kleist (1792) si siano interessati alla leggenda e che gli
ultimi tre abbiano consegnato ai posteri il frutto della loro creatività.
Ma
già a partire dal sec. XII la leggenda appare, ora in versi ora in
poesia, nelle pagine di scrittori provenzali, inglesi, spagnoli (fra cui
il Cervantes), italiani e anche in quelle di viaggiatori italiani e
stranieri.
Vanno citati in particolare: Gioviano Pontano, Benedetto Croce, Leonardo
Sciascia, Ignazio Buttitta, Dario Bellezza e i messinesi: Francesco
Maurolico, Giuseppe La Farina, Felice Bisazza, insieme alle due
contemporanee poetesse in vernacolo Maria Costa e Paola Fedele Germanà.
Che
il fascino del personaggio («Colapisci, lupu i mari» o «Colapisci
nfatatu», come lo definiscono rispettivamente la Costa e la Fedele)
è tuttora rimasto inalterato lo provano due volumi usciti a due mesi
l'uno dall'altro: «La leggenda di Colapesce» di Giuseppe Cavarra
(Ed. Intilla - pagg. 156) e «Punti d'incontro - Fiabe nella
letteratura italiana e tedesca» di Nino Campagna, presentato in
occasione della quarta edizione della Biennale della fiaba ospitata dal
Comune di Lucca e ideata dall'associazione culturale italo-tedesca di
Pescia, di cui Campagna è presidente.
Muovendo
da motivazioni diverse ed essendo strutturati in modo diverso, i due libri
si integrano e costituiscono motivo di interesse per gli appassionati di
cultura popolare e di letteratura.
Quello
del prof. Cavarra è il lavoro tipico dello studioso avvezzo all'esame
comparato delle fonti, e che si muove con destrezza anche nelle questioni
controverse puntando a presentare al lettore, in un discorso chiaro e
misurato i risultati definitivi della propria ricerca.
Nelle pagine non figurano digressioni: la sua lettura critica appare
nitida e obiettiva sostenuta dalla profonda conoscenza di miti, leggende,
tradizioni, usi e costumi della sua terra e, particolare di non minore
importanza, dei dialetti.
Tra le quattro sezioni di cui si compone il volume, di notevole interesse
le due antologiche comprendenti testi originali (con traduzione) relativi
rispettivamente alla leggenda nella tradizione letteraria e nella
tradizione scritta messinese.
Non è stata trascurata la tradizione orale: l'autore ha raccolto, dal
1974 al 1996, ben ventidue racconti della vicenda che, al pari delle
trenta brevissime interviste (a persone dell'hinterland messinese)
anch'esse in vernacolo, con traduzione, conservano tutta la freschezza del
parlato.
Il
libro del prof. Campagna si presenta, invece, esclusivamente nella forma
del saggio, ma con numerosissime citazioni. Dei tre ampi capitoli, i primi
due soltanto riguardano il nostro personaggio: «Colapesce nella leggenda
siciliana» e «Der Taucher nella letteratura tedesca», nel quale ultimo
è condotto l'esame del poemetto di Franz von Kleist: «Nicolaus de
Taucher» e della ballata di Schiller «Der Taucher».
Il discorso,
fondato su modalità di ricerca non meno rigorose rispetto al testo di Cavarra, si snoda lungo una linea emotiva per la presenza di elementi
autobiografici, che lo rende altrettanto gradevole e interessante. Si
innestano nel corpo del racconto ricordi d'infanzia affioranti dalla
descrizione dei luoghi, digressioni su paesaggi della terra natìa,
sull'«indimenticabile zibibbo del Faro», sull'«atmosfera di incanto di
Dinnammare».
Ricordando della leggenda di Colapesce il lieto fine, «che tanto piaceva
a mia madre» quando «mi teneva incantato nelle lunghe serate degli
inverni messinesi» (e cioè che Cola sta a sostenere la colonna incrinata
su cui si regge Messina), l'autore esprime amarezza e condanna per
l'attuale degrado della città.
Notevole l'analisi dei testi, soprattutto di quelli tedeschi. La
traduzione che l'autore fa di larghi passi della Ballata di Schiller,
validissima e più fedele all'originale, ci sembra, tuttavia, meno poetica
dell'altra in endecasillabi di Gilberto Finzi riportata integralmente nel
testo di Cavarra.
Ma ciò che più preme a Campagna è sottolineare lo stretto rapporto di
affinità fra le due culture, l'italiana e la tedesca, patrimonio comune
da tenere vivo.
E riesce perfettamente nell'intento anche attraverso
l'altra fiaba, «Massaro Vertà», che occupa il terzo capitolo. Fa parte
delle novantadue fiabe del volume «Sicilianische Marchen», «raccolte
dalla voce del popolo» da Laura Gonzenbach, una signora svizzera
residente a Messina, pubblicate nel 1870 a Lipsia e mai tradotte e
pubblicate in Italia.
Anna M. Crisafulli Sartori
Gazzetta
del Sud
www.colapisci.it
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