Molti
scrittori dell'antichità parlano di un pescatore dalle qualità
fisiche eccezionali, un tal Cola o Nicola nato e vissuto a Messina e
figlio di un pescatore di Punta Faro. Cola era un ragazzo simile
agli altri, solo che aveva moltissima passione per il mare: infatti
stava giornate intere a contemplarlo.
Egli
aveva un infinito rispetto per i pesci e tutti quelli che il padre
riusciva a prendere lui li ributtava in acqua in modo che vivessero.
Sua madre era disperata, così un giorno, per rabbia, gli lanciò una
maledizione. "Possa diventare anche tu un pesce"; così fu, gli
spuntarono le pinne, le branchie, e le squame.
Divenne
un pesce anche di nome, fu chiamato Colapesce e cominciò a
vivere sempre più in mare e sempre meno in terra. Si gettava in mare
dalla punta di Messina sprofondando giù e tirando, per divertimento,
le code alle murene, cavalcava i delfini e quando, dopo alcuni
giorni, tornava in superficie, raccontava tutte le meraviglie che
aveva visto nelle profondità marine. Molti navigatori lo
incontravano lungo le loro rotte e lui indicava il percorso più
conveniente per evitare la rema e le burrasche.
Colapesce era bravo corriere, infatti gli affidavano messaggi
da portare in varie località; era capace di nuotare per oltre 100
chilometri e il capitano della città di Messina lo nominò palombaro.
Colapesce, che in realtà era un bel giovane, divenne così
famoso che lo volle conoscere persino il re di Sicilia, il quale
venne a Messina per sperimentare l'abilità di Colapesce. Fatto
venire il giovane, il re con la sua nave, si portò nello stretto e
lanciò in mare una coppa d'oro chiedendo a Colapesce di andare a
prenderla. Quando egli risalì descrisse al re il paesaggio marino, i
pesci e le piante che aveva visto.
Il re,
ancora più incuriosito, gettò la sua corona in mare in un punto più
lontano: Cola si tuffò e cercò per due giorni e due notti; per due
volte passò sotto la Sicilia fino a quando ritrovò la corona ed
emerse dal mare. Il re gli chiese cosa avesse visto e lui rispose
che aveva visto la Sicilia poggiare su tre colonne: una era rotta ma
resistente, la seconda era solida come granito, la terza era corrosa
e scricchiolante: gli disse anche che aveva visto un fuoco magico
che non si spegneva.
Il re
desiderava avere maggiori informazioni: buttò nell'acqua un anello e
invitò Colapesce ad andarlo a ripescare e riferirgli cosa avesse
visto. Il giovane era stanco e titubava ma il re insisteva e
Colapesce non se la sentiva di dire di no.
Decise
di obbedire e disse che se si fossero visti risalire a galla un
pugno di lenticchie e l' anello di certo non sarebbe più risalito.
Così si tuffò lasciando tutti in ansiosa attesa; dopo diversi
giorni, quando il re stava decidendo di andar via, si videro
galleggiare le lenticchie insieme all'anello che bruciava.
Il re
capì che il fuoco esisteva veramente nel mare e si rese conto che
Colapesce non sarebbe risalito mai più: era rimasto a sostenere la
colonna corrosa.
Rete
Sicilia