La leggenda di Colapesce, mitico eroe metà uomo,
metà pesce che sostiene con la sua forza la Sicilia


Colapesce - Renato Guttuso - Teatro Vittorio Emanuele II

Nicola era un bambino vivace e curioso che viveva a Messina. Crescendo divenne un bel ragazzo, forte, robusto e muscoloso. Aveva una grande passione, quella di immergersi nelle acque dello stretto. E quando si trovava lì era felice e non sentiva mai il bisogno di ritornare in superficie.
Il giovane, poteva rimanere sott’acqua per ore e, quando tornava su, raccontava alla madre di dimore sottomarine, di città antichissime inghiottite dai flutti,  di grotte piene di meravigliose fosforescenze. Descriveva lotte feroci tra pesci giganti, foreste sconfinate di coralli e cosi via. I genitori, a sentire questi racconti lo prendevano per visionario.
Cola, come lo chiamavano i suoi, amava i pesci e si disperava nel vedere il pescato abbondante che portavano a casa i fratelli.
Una volta, trovata in una cesta una murena ancora viva, corse a gettarla nel mare contro la volontà del padre che si disperava per il mancato guadagno.
Anche la madre, accortasi della cosa, lo rimproverò severamente perché mandava all’aria i sacrifici del padre e dei suoi fratelli che faticavano per prendere il pesce e lui lo ributtava nel mare! Era un peccato mortale, diceva a Nicola la mamma, quello di buttare via la roba del Signore. E, come fosse una maledizione, gli augurò di diventare pesce anche lui, se non avesse posto fine a quel suo modo di fare.

In Sicilia si dice che quando i genitori rivolgono una grave parola ai figli, Dio ascolta ed esaudisce i loro desideri. Così accadde a Nicola. Il ragazzo, soprannominato Colapesce per la sua abilità nel muoversi in acqua, metà uomo e metà pesce, seguitò a frequentare il mare e spesso restava lontano giorni e giorni, perché aveva trovato un modo assai comodo per fare lunghi viaggi senza fatica: si faceva ingoiare da certi grossi pesci ch’egli trovava nel mare profondo e, quando voleva, apriva loro il ventre  e si ritrovava fuori, pronto a seguitare le sue esplorazioni.
La sua fama crebbe tanto, al punto che, l’imperatore Federico II, volle conoscerlo immediatamente.

La genti lu chiamava Colapisci
pirchì stava ‘nto mari comu ‘npisci
dunni vinìa non lu sapìa nissunu
fors’ era figghiu di lu Diu Nittunu

“Voglio sapere com’è fatto il fondo del mare e come vi poggia sopra la Sicilia” – disse l’imperatore.
Cola s’immerse, stette via parecchio e quando tornò, informò l’Imperatore di ciò che aveva visto. Raccontò che la bella Sicilia poggiava su tre colonne, due delle quali forti e intatte, la terza un po’ traballante perché consumata dal fuoco che c’era tra Catania e Messina.

Il sovrano volle sapere com’era questo fuoco e chiese a Cola di portargliene un po’ per poterlo vedere. Il ragazzo rispose che non avrebbe potuto prenderlo con le mani perché era troppo pericoloso. A quelle parole l’imperatore l’accusò di essere un pauroso e, molto arrabbiato con lui, minacciò di castigarlo.

Cola di fronte alle parole del sovrano,  punto nell’orgoglio, si impegnò a portargli il fuoco consapevole che sarebbe morto nel tentativo di prenderlo. 
“Se vedrete salire alla superficie delle acque una macchia di sangue, vuol dire che non tornerò più su”.
Cola si gettò a capofitto nel mare. Dopo una lunghissima attesa,  si vide apparire in superficie una macchia di sangue. Il ragazzo era sceso fino al fondo, dove l’acqua ribolliva, e non riapparve mai più.

Qualcuno sostiene che non sia morto e che sia rimasto in fondo al mare, metà uomo e metà pesce, a sostenere la terza colonna traballante, prossima a crollare, su cui poggia la Sicilia, e che ancora oggi si trovi lì a sorreggerla.

Su passati tanti anni 
Colapisci è sempri ddà
Maestà! Maestà!
Colapisci è sempri ddà



La leggenda, ha avuto grande fortuna, ha subito numerose rielaborazioni per mano di numerosi scrittori e presenta anche varie versioni locali, ben 17 versioni popolari della storia di Cola Pesce raccolte nella sola area del messinese. Questa è una delle tante!

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