ll
racconto di Cola Pesce è uno dei più antichi
miti della Sicilia, un ultramillenaria
legenda che avrebbe inizio alla caduta di Troia, e
che lo vorrebbe padre e marito delle terribili
Sirene.
Egli
vive nelle profonde e agitate acque dello stretto di
Messina tra Scilla e Cariddi, e lo
vorrebbe metà uomo e pesce, una mostruosa sirena di
sesso maschile con un’acuminata spada conficcata
sulla testa. Il canto magico e melodioso di
queste dee del mare attirava fuori rotta i marinai,
ammaliandoli e portandoli a schiantare le proprie
imbarcazioni e se stessi sugli scogli.
I corpi dei marinai catturati diventavano in
questo modo il pasto delle terribili e antropofaghe
sirene. Il mito di Cola Pesce avrebbe cosi
origine sicula o sicana, poi assimilato dalla
cultura superiore greca, tramutandosi in Acheloo
sposo di Tersicore oppure in Melpomene sposo di
Forco. Cola Pesce come Atlante, condannato da
Zeus a sostenere la volta celeste sulle spalle,
sarebbe uno dei tre giganti posti sotto l’isola a
sostegno dei suoi angoli. La Sicilia, per i
popoli antichi era una
terra galleggiante
trattenuta al centro del mondo allora conosciuto da
qualche Dio o da Giganti. La Trinacria cosi
assimilava in sé questi caratteri di grandezza e
centralità, alimentando il fiorire d’innumerevoli
miti e leggende, che ispirarono ogni antico cantore
che con fervida fantasia ne cantava le sue bellezze.
Pure il grande Omero fu sedotto da questa terra e
divenne uno dei principali divulgatori dei suoi miti
e leggende, tanto che L’Odissea rappresenterebbe la
descrizione della circumnavigazione dell’isola
stessa. Cola Pesce, rappresenta la sintesi delle
culture che per secoli si sono succedute sull’isola,
rappresenta, il padre delle sirene, reincarna il
mito d’Atlante e dei giganti essendo posto
a sostegno della Sicilia sotto Capo Peloro e le
scosse telluriche che di tanto in tanto scuotono
l’isola sono causate da Cola Pesce che stanco cambia
braccio per riposarsi un po’. Questa, che vi
vengo a raccontare, è la vera storia di Cola Pesce e
sono pronto a spergiurare che tutto quello che vi
narrerò è veramente accaduto.
La
storia di Cola Pesce
Tanti
anni fa nella città di Messina viveva una donna
sposata ad un pescatore, la loro unione nonostante i
tanti anni non aveva generato nessun figlio e questo
rattristava profondamente la povera donna, fino al
punto di portarla a prendere una decisione estrema e
definitiva, prese una grossa corda e s’incamminò
verso il mare, mentre camminava altre donne la
videro passare e chiamandola le dissero: “Agatina”,
cosi si chiamava, ”Unni
stai jennu?”
E lei rispose.
“Vaiu
a’mmazzari u distino”:
ma nessuna delle donne capì
cosa volesse realmente fare. Arrivata sulla
spiaggia prese un grosso masso lo legò alla corda e
si attaccò l’altra estremità
al collo, quando fu pronta per buttarsi tra le onde,
si sentì chiamare,
aguzzò lo sguardo e vide tra i flutti un pesce che
dimenando la sua spada diceva:
“Fermiti Agatina nullu fari. Chiddu ca sta facennu
iè piccatu, iu sacciu qual iè u to duluri iè sacciu
macari chiddu ca ha fari; a vidi dda conchigghia ndo
scogghiu, pigghiala e nangila ccu tuttu u gusciu,
tra nove misi t’annascirà un picciriddu”.
La donna, rimase per un po’ sconvolta ma poi prese
la conchiglia e fece come aveva detto il pescespada,
tutta un tratto si senti il grembo pieno come se
veramente stesse per svilupparsi una nuova vita
dentro di sé. La sera, quando il marito tornò, da
una intera e dura giornata di pesca, Agatina gli
raccontò quello che era successo ma nonostante il
pescatore era incredulo a ciò che sentiva non volle
deluderla e annui a quel racconto. Col passare
dei mesi Agatina mostrava sempre più il segno della
gravidanza e cosi anche il marito si dovette
ricredere. Al nono mese nacque un bambino con i
capelli neri come la notte e gli occhi verdi come il
mare della stretto di Messina, e fu chiamato, come
tradizione con il nome del nonno, Nicola. Il
piccolo Nicola, che tutti chiamavano Cola,
dimostrava una grande attrazione per il mare e
passava giornate intere tra le onde nuotando e
parlando con i delfini e i pescispada, preferendo la
compagnia dei pesci, che trovava più sincera e
disinteressata, a quella degli umani, tanto che
tutti cominciarono a chiamarlo col soprannome di
Cola
Pesce.
Questo suo attaccamento per il mare e i suoi
abitanti fini per condurre la famiglia in rovina,
poiché tutti i pesci che il padre pescava
puntualmente Cola li liberava in mare e per questo
motivo un giorno Agatina disperata per il suo
comportamento gli scagliò una terribile maledizione:
“Cola
su ti piaci tantu assai stu mari addivinta pisci e
vattinni”.
Le maledizioni dei genitori verso i figli e
soprattutto quelle delle madri, sono le peggiori
perché è proprio Satana che si fa carico di
eseguirle, cosi il re degli inferi immediatamente la
attuò. La donna appena smise di parlare guardò il
figlio e assistette alla sua orrenda trasformazione:
la pelle si cominciò ad ispessire fino a divenire
squamosa, le gambe si trasformarono in una poderosa
coda, il collo si accorciò fino a divenire tutt’uno
con il corpo, le orecchie si trasformarono in grosse
branchie e anche gli occhi persero il loro colore
smeraldo diventando grandi e scuri. E Agatina:
”Signuri ccaiu fattu! Vi prigu facitilu turnari omu!
O sinnò facitimi muriri”.
Cola
non capiva il perché della disperazione della madre,
fin quando non ebbe modo di specchiarsi e osservare
la sua trasformazione, allora rinvigorito da una
nuova forza e pieno di gioia corse e si
tuffò in mare felice di poter
finalmente vivere con i suoi sinceri amici.
L’amore di Cola per il mare e la grande felicità che
la trasformazione gli aveva provocato mandò su tutte
le furie Satana che tornò scornato negli inferi.
Col
tempo le mostruosità di Cola si manifestavano
soltanto quando il giovane si immergeva in mare e
scomparivano quando ne usciva. Un giorno Cola
disse:
”Vogghiu iri a vidiri u mari Oceano, picchi i me
amici pisci manu dittu ca iè chinu di tisori e
criaturi mistiriusi”.
Cosi
Cola parti e non fece ritorno per anni, tanto che
cominciò a girare la voce della sua morte e a
fiorire di leggende sul suo conto. Quando ormai
il ricordo di Cola Pesce era svanito dei pescatori
catturarono tra le reti un orrendo mostro in parte
uomo, con sembianze di pesce, ma quando lo issarono
sulla loro barca dalle reti usci la possente figura
di un giovane uomo.
” Iè
Cola Pisci”
disse
qualcuno dei marinai. Quando Cola Pesce
riacquistò la voce cominciò a raccontare ciò che
aveva visto.
“Amici aiu vistu cosi ca mancu si ponnu immaginari,
purpi e pisci cchiù ranni dei muntagni tisori ca
facissiru a filicità d’ogni Re e muntagni ca cumu
l’Etna jettanu sciumi di focu sutta a lu mari, aiu
vistu città abbannunate cche i palazzi chini d’ori e
argenti e unni speddi u mari nostru ci sonu i
giganti ca cci fanu a guardia”.
La storia del viaggio di Cola Pesce fece il giro
dell’isola e tutti non fecero altro che parlare
delle mirabolanti avventure dell’uomo pesce, la sua
fama crebbe a tal punto che superò i confini del
regno della Sicilia. Si parlava di lui in tutti i
paesi del mare nostro e anche il Re della Sicilia
volle organizzare un viaggio con tutta la sua corte
per conoscere questo uomo pesce divenuto cosi
famoso. Il Re arrivò con tutto il suo seguito e
sua figlia Costanza nel mare di Messina, giunto tra
Scilla e Cariddi fermò la sua nave, prese allora il
suo anello e lo scagliò in mezzo alle potenti onde e
rivolgendosi a Cola Pesce disse:
“Va
pigghialu Cola Pisci”
Cola,
non ci pensò un istante e si tuffò
tra le onde, iniziò a scendere nel profondo del mare
per svariate leghe, giunto in fondo vide l’anello
reale davanti la tana di una grande piovra, che né
usci non appena Cola fu pronto per riprendere
l’anello. Senza paura Cola si
buttò a capofitto contro il terribile mostro
e ne scoppiò una terribile lotta, il mare cominciò
ad agitarsi e a ribollire di schiuma. Poi ad un
tratto le acque si calmarono e tutti videro Cola
Pesce uscire dal mare ed arrampicarsi lungo il
fianco della nave con in mano, l’anello del Re, un
urlo di gioia si levo da tutti i messinesi che erano
giunti sul posto con le loro barche. Il Re fece i
suoi complimenti al giovane per la riuscita della
sua impresa. La principessa
Costanza rimase affascinata dallo sguardo del
giovane, dalla naturalezza e dai modi gentili del
giovane e non riusciva a staccargli gli splendidi
occhi azzurri di dosso. Il Re voltandosi verso
Cola gli disse:
”Cola
Pisci, chiddu ca ha fattu iè na cosa ranni ma no
tantu ppi chiddu ca iè a to fama, tu ha ffari u giru
di tutta a Sicilia ie hai a bbidiri cumu sonu li
funnamenta di lu me regnu”.
Tutti
annuivano alle parole del Re tranne Costanza,
visibilmente preoccupata per la pericolosità
dell’impresa e implorando il padre cominciò:
”Patri
chiddu ca stai dumannannu a Cola Pisci iè troppu
piriculusu nullu mannari picchi su ci duvissi
succediri corchi cosa nun mi lu putissi pirdunari
ppi tutta a vita."
E dicendo queste parole non riusciva a staccare lo
sguardo da Cola Pesce che ora gli appariva forte e
possente come Nettuno. Il Re capi, l’attrazione
che la figlia provava per il giovane e che nello
stesso modo era ricambiata da Cola e con voce calma
ma decisa disse:
“Cola Pisci a Trinacria avi bisugnu di tia va talia
comu sunu i culonni ca tinunu l’isula ie tutta a
populazioni ti sara divota ppi sempri ie iu ca sugnu
u Re ti fazzu principi di tuttu u mari di lo me
regnu”.
Il giovane, capito il profondo dolore che tormentava
Costanza, si rivolse al Re dicendogli:
“Maistà iu sugnu un poviru carusu ie haiu sempri
vissutu senza titulu ie senza dinari, non mi l’addumannati
di fare sta mprisa”.
Ma il
Re irato si rivolse a Cola e con tono di comando
disse:
“Allora tu ti rifiuti di fari chiddu ca t’addumanna
lu to Re?”
Capendo che un rifiuto sarebbe equivalso a una
condanna a morte Cola Pesce prese una canna e alcune
fave, e disse:
“Maistà suddu viditi veniri a galla sti favi ie stu
pezzu di canna allura iu sarò mortu”.
Cosi
Cola Pesce si spostò verso la principessa e la
baciò, tra lo stupore di tutti i presenti, dopo di
che si rituffò tra le onde. Costanza tormentata
dalla preoccupazione che le dava il pensiero di
tutti i pericoli che il suo amato avrebbe dovuto
affrontare non resistette più e in preda alla
disperazione si getò in mare.
Il vortice, generato da Scilla e da Cariddi,
inghiottì all’istante la
principessa che spari in un attimo. I migliori
pescatori si tuffarono nel tentativo di salvare la
giovane principessa ma dopo un intera giornata di
ricerche non si trovò nessuna traccia. Cola,
avvisato da un pesce spada si precipitò per salvare
l’amata Costanza e vide la sua principessa
imprigionata nel profondo vortice, sapendo di non
potere fare n tempo per trarla in salvo si ricordò
della terribile maledizione che gli aveva cambiato
la vita e con la voce rota dall’emozione disse:
“Addivinta pisci macari tu Costanza”.
Come
d’incanto la giovane subbì la stessa metamorfosi che
aveva subito Cola. Il giovane le si avvicinò la
baciò e insieme si inabissarono nelle acque loro
amiche. Il Re si convinse che i due giovani
fossero morti perché affiorarono la canna e le fave,
e interruppe le ricerche della figlia scomparsa.
Si
racconta, invece che i due amanti nuotando nel loro
mare trovarono una delle tre colonne in precarie
condizioni, e mossi dal grande amore per la Sicilia
ed il suo popolo si stabilirono sotto capo Peloro
per sorreggere l’isola, e così
quando essa trema, ciò accade perché Costanza e Cola
Pesce, stanchi per la loro fatica, si riposano
nuotando un po’, e alcuni pescatori di Messina
giurano di averli visti nelle loro sembianze di
pescispada nuotare insieme tra le onde dello
stretto.
Non
più in Terre siciliane
|