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Presentazione della sequenza fotografica  "Da una lettera d'amore"  a
Fotografi per un'esposizione 2 - PN

Io, la fotografia e la Vara

A sei anni di età, emozionato e curioso affondai, per la prima volta e con tutte le mani, un cartoncino fotosensibile Gevaert in un bagno di sviluppo. Tenendolo da un angolo lo agitai sguazzando dentro la bacinella per più di tre minuti.
All'apparizione dell'immagine provai una soddisfazione incredibile, che veniva accentuata dal piacere del contatto fisico che realizzavo tramite i polpastrelli con l'emulsione fotografica annerita.  Restare ancorato a questo ricordo, oggi, ha una forte valenza nel mio gioco tra significato e significante  del linguaggio fotografico.
Quella stessa emozione la rivedo, oggi, nei miei allievi durante la realizzazione dei loro primi fotografismi e, spesso, mi capita di accomunarmi al loro entusiasmo.

Quando cominciai a interessarmi più seriamente alla fotografia, sviscerai subito la convinzione che le foto che avrei voluto fare le avevano già fatte Robert Capa o Mario De Biasi o Romano Cagnoni e vedendo le foto di Peter Magubane e, sopratutto, di Donald McCullin pensai che dovevo mettermi in doveroso rispetto e non provarci...
Ispirato dalla visione delle fotografie di Luigi Veronesi e Denis Brhihat, mi venne, più tardi, la voglia di sondare le capacità espressive delle attività di laboratorio.
Ma l'intensa frequenza, dal 1975 al 1982, di Enzo Navarra, artista d'avanguardia che ha operato a Pordenone e che adesso lavora a Trieste, mi portarono ad abbandonare questo tipo di attività per dedicarmi alla collaborazione nei suoi interventi sul territorio (Casa di riposo e Filanda di Cordenons, Fornaci di Cecchini e S.Andrea di Pasiano, ecc.) e di fotografare le esperienze e assemblarle con lui in funzione esplicativa.

L'aspetto documentaristico, che d'estate curavo di tanto in tanto in Sicilia, delle feste popolari e religiose, mi è servito solo a mantenere un cordone ombelicale con i miei luoghi d'origine, mentre le foto di Mario Giacomelli, Ferdinando Scianna o di Sellerio mi ammutolivano.
Insomma, persa l'amicizia con Navarra ed assodato che la fotografia documentaristica o narrativa mantiene la sua validità e che l'attività dei fotografi professionisti è un'altra cosa (magari con delle frange di connessione), mi restava  ben poco da fare a livello espressivo. Mi sentivo un po' come quei portieri che sanno tutto della tecnica calcistica, ma che al momento di parare i palloni si limitano a guardarli senza muoversi, tanto sanno come si fa..

Cominciai, quindi, ad elaborare negli anni '80 ciò che chiamo l'espressività delle fotografie immaginate.
Sfruttando le conoscenze di tecnica fotografica acquisite, mi era facile strutturare un dialogo con me stesso sulle funzioni comunicative o di analisi psicologica delle fotografie che potevo fare; ma che non ho fatto, in quanto l'unico fruitore mi pareva dovessi essere solo io.
Ma oltre i quarant'anni può capitare di sentire il bisogno di tirare fuori qualcosa dal proprio immaginario per rapportarsi, finalmente, con gli altri. Fosse solo perchè certe angosce diventano troppo pesanti da sopportare da soli.
Ricorrere, quindi, alla comunicazione fotografica concreta, nell'ambito di una appartenenza alle dinamiche insite nelle scienze della comunicazione ben più complessa, mi è sembrato la via più naturale.

La scelta delle modalità operative che ho effettuato, perchè imperiosamente costretto dalla mia indole, è stata quella di mettermi in forte e diretto contatto fisico con la materialità dell'immagine. Poter gestire direttamente la sua formazione, poter decidere dei suoi parametri esistenziali, fino al punto di distruggerla (nella ricerca dell'essenza degli altri compresa tra poli esclusivi del bianco e nero) o di rigenerarla ricca solo delle mie incertezze e paure, (nella definizione di una simbiosi spesso emozionale, filtrata dal raziocinio qualche volta), è la vera motivazione su cui ho esigenza di organizzare una comunicazione con gli altri.
Nel contempo, mi riapproprio di quel godimento intimo che il primo contatto con la fotografia mi ha dato 38 anni fa e torno a riaffondare le mani in coloratissime soluzioni chimiche, risguazzandoci dentro smodatamente.

Ma in questi giorni, mentre mi riaffiora la consapevolezza che il presente e il futuro dell'immagine è elettronico (sviluppa proprio queste possibilità manipolatorie e, soprattutto, mette il destinatario della comunicazione in condizioni interattive e pregne di orizzonti imprevedibili), ho sentito dire che in Giappone stanno progettando un macchina fotografica che, oltre ad autocaricarsi, autoriconoscere la sensibilità, autoregolare l'esposizione, autozoomare, "autofocussare", autocomporre con sensibilità artistica, autoflashare, autosviluppare ed autostampare, ahimè!, è capace anche di autoguardarsi le foto e autofarsi i complimenti.
Purtroppo, non è autodisposta ad autoacquistarsi.

Vuol dire che il prossimo anno, per purificarmi di questi miei peccati di venereo contatto con la "materia immagine", andrò a mescolarmi con altre centomila persone urlanti e a tirare la Vara di Messina.

Chissà se, finalmente, mi scapperà di gridare forsennato:
"V I V A   M A R I A !!".

Alberto Biondi
 

Pordenone, 14 settembre 1990
 

 

 

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Notte d'agosto - Musica di Gianni P. Felicini