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Il culto dei morti

Una annotazione particolare merita il culto dei morti celebrato nel primi giorni di novembre. E' facile cogliere in questa festa tradizionale il riferimento a cerimoniali d'età pre‑cristiana.
Nel Camposanto di Messina (tra i più monumentali e prestigiosi d'Italia), in occasione della festa dei defunti, si può ancor oggi assistere, nelle sezioni popolari, a veri banchetti consumati sulla lastra tombale. La pietanza prediletta è la , piatto forte della tradizione culinaria messinese. «ghiotta di pescestocco»
Curioso il monologo che si svolge tra i parenti e il defunto: egli viene informato, come se fosse ancora in vita, dello stato generale della famiglia.
In quei giorni nelle vetrine delle pasticcerie sono orgogliosamente esposti i «dolci dei morti» o «motticeddi»: si tratta di policromi frutti, in «pasta reale», e di particolari biscotti duri, in «pasta garofalo», realizzati con una serie di stampi che riproducono santi, tibie, teschi, fiori, frutta ecc.
Tra i dolci tradizionali, oggi per la verità in disuso, vanno ricordate la fave verdi, in pasta reale, la cui origine ed il cui collegamento con il rito dei defunti risale ad età preistorica.
Sino a qualche anno addietro si usavano, inoltre, dei dolci a forma di Rana. Questo animale, per l'apparente misteriosità di riproduzione, fu ritenuto una sorta di reincarnazione dei defunti.

Non era facile, infatti, spiegarsi la nascita da una pozza d'acqua, di quel girini che diventavano poi rane, senza aver notato alcuna coppia di genitori che avesse provveduto alla riproduzione.
Questa circostanza portava a pensare che si trattasse, per le rane, di una sorta di generazione spontanea. Anche qui la festa dei morti si accompagna ad una festa dei bambini che ricevono, in questa occasione, giocattoli in dono.

 

Adolfo Berdar e Franz Riccobono
Le Meraviglie dello Stretto di Messina
Edizioni Dr Antonino Sframeni
Messina 1986

 


La tovaglia

Le dicevano: - Bambina!
che tu non lasci mai stesa,
dalla sera alla mattina,
ma porta dove l'hai presa,
la tovaglia bianca, appena
ch'è terminata la cena!
Bada, che vengono i morti!
i tristi, i pallidi morti!
Entrano, ansimano muti.
Ognuno è tanto mai stanco!
E si fermano seduti
la notte intorno a quel bianco.
Stanno lì sino al domani,
col capo tra le due mani,
senza che nulla si senta,
sotto la lampada spenta. -
E` già grande la bambina:
la casa regge, e lavora:
fa il bucato e la cucina,
fa tutto al modo d'allora.
Pensa a tutto, ma non pensa
a sparecchiare la mensa.
Lascia che vengano i morti,
i buoni, i poveri morti.
Oh! la notte nera nera,
di vento, d'acqua, di neve,
lascia ch'entrino da sera,
col loro anelito lieve;
che alla mensa torno torno
riposino fino a giorno,
cercando fatti lontani
col capo tra le due mani.
Dalla sera alla mattina,
cercando cose lontane,
stanno fissi, a fronte china,
su qualche bricia di pane,
e volendo ricordare,
bevono lagrime amare.
Oh! non ricordano i morti,
i cari, i cari suoi morti!
- Pane, sì... pane si chiama,
che noi spezzammo concordi:
ricordate?... E` tela, a dama:
ce n'era tanta: ricordi?...
Queste?... Queste sono due,
come le vostre e le tue,
due nostre lagrime amare
cadute nel ricordare!

 

Giovanni Pascoli

 

 

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