Uno degli
spettacoli più belli delle Feste messinesi di Agosto era quello dalla
cosiddetta Galera; dico era
e non è, perché dal 1832 e forse da qualche anno prima codesto
spettacolo manca, e solo su proposta d'un valente cultore delle memorie
patrie si discusse se non fosse opportuno di ripristinarla come una delle
maggiori attrattive delle feste medesime. Se non che manca la grande fontana
della Piazza S. Giovanni, oggi divenuta pubblica villa, e forse non vale la
pena di ricostruirla in altro sito buttandovi chi sa quante dozzine di
migliaia di lire e portandovi un'acqua che i Vanni di domani farebbero
pagare non uno ma tutti e due gli occhi di ciascun messinese.
Ma in che consisteva la Galera?
Molti scrittori e quasi tutti i viaggiatori del secolo passato e dei primi
del corrente ce la descrivono minutamente.
Era questa immenso scafo di legno a forma di galera, con dorature,
bassorilievi, statue e bandiere sul quale sorgeano due o tre torri
altissime. I pennoni, il sartiame e le vele erano
adornati "da copiose lumiere accese, al numero di
oltre mille e trecento, e di fuori tutte ad una foggia incartonate con
nobile maestria e con vari e dipinti apparati trasparenti, che spargeano per
tutto un diluvio di luce, solo bastevole ad illuminare un'intera città.
Diffondea questa prodigiosa macchina tanto diletto agli occhi di tutto il
popolo, che facea dolcemente impazzire gl'affetti, entrando i cuori in
soavissime frenesie di giubilo, e s'haveriano ivi fermati con le pupille
immobili i passi, se non fossero stati richiamati da altre nuove curiosità".
Così un
erudito del seicento, il quale, tanto per non far disonore al suo secolo,
delizia con un diluvio di luce, che fa
dolcemente impazzire gl'affetti e andare
in soavissime frenesie di giubilo i visitatori
di Messina e Mezz'Agosto. Certo quest'erudito deve essere rimasto
commosso a quella novità, che pare appunto essere stata iniziata nello
scorcio del sec. XVII.
Più particolareggiata che altre descrizioni della Galera è questa che diede
G. Orlando nel 1728:
'Ella è lunga dalla sua poppa insino alla sua prora
o sperone, di palmi 240, alla quale lunghezza serve di anima tutta la
suddetta lunga uma di marino, che sta attaccata al fusto principale del
fonte. L'altezza della poppa era di palmi 40, da terra sino alla mergolata
del suo tendale. Circondava la sua carena un mare dipinto, per cui si
vedeano andare a galla e guazzare molta quantità di mostri marini e delfini,
i quali veniano cacciati da Tritoni, ed altre giure marittime con schidoni e
tridenti ed altri vari instrumenti di loro usanza. Il fusto della nave venia
recinto tutto di rilievi e pitture toccate d'oro nelle sue connessure in
campo rosso, con le sue fascette fatte d'argento di palmo in palmo; sopra
ognuna delle quali si alzava una banderuola. Le due corsee vemano a restare
alte da terra palmi 20, le quali nelle loro banchette mostravano allogate
molte figure e soldati, o ideati di pittura o espressi in rilievo e
fintamente manifestavano la guamigione di detta Galea. Su la prora, il suo
parapetto venia forata da quattro piccoli pezzi d'artiglieria, che
volgarmente chiamo pietrere, con i suoi mortaretti, che di quando in quando,
per tutti i tre giomi della festa, andavano facendo come un saluto di buon
arrivo e complimento al solito passeggio delle carrozze di Dame
e Cavalieri che ivi intorno per diletto spaziavano... Situati gli alberi e
le sue antenne, si ergevano poi le sue vele, tutte tessute di lumi pensili,
distribuiti dalle sue tramezzate cordine che li sostenevano; faceano un
lietissimo e dilettevole spettacolo al guardo, presentandoli due grandi
vele, gravide di foco e folgoreggianti da tutti i lati per il gran lume che
l'arricchiva... Tutti i fuochi insomma che la illuminavano, veniano a
formare il numero di 3000. Trattenevano continuamente il popolo e lo
ricreavano i vari concerti delle trombe e dei pifferi e dei corni di caccia
che su di essa si facevano sentire, i quali intercalando con i strepitosi ed
allegri suoni dei tamburi alternatamente ripigliavano e riproducevano una
meravigliosa armonia, che comunicava ai cori caldi ed interni affetti, che
partoriva un così lieto spettacolo.
Incisione
del '700
La galera
veniva costruita ogni anno o in quegli anni nei quali si potea raccoglier
tanto da costruirla. Rimpetto ad essa si bruciavano i fuochi artificiali. L'effetto di questi dovea essere veramente stupendo se l'abate
Sestini, naturalista di molta fama, venuto nel secolo passato per un viaggio
scientifico in Sicilia, e fermatosi parecchi anni a Catania, nel Giugno del
1776 volle assistere alle feste della Madonna della Lettera. Egli, in data
del 10, tra le altre cose scriveva ad un suo amico: "Quindi il Popolo si portò in gran folla sulla
solita piazza di S. Giovanni di Malta, ove era fabbricata la Galera, nella
quale per un'ora continua si viddero vari fuochi d'artifizio, e per la
vaghezza, e invenzione dei medesimi, viddi che in alcune città, che passano
per ingegnose e di buon gusto nelle arti, non si è ancora giunti in questa
sorta di spettacoli alla mediocrità". Qualche cosa a quanto pare, di simile alla macchina pirotecnica
delle Feste di S. Rosalia in Palermo. Sul valore ed
il significato di questa Galera se ne son dette molte e forse non sempre
esatte. A me pare non priva di fondamento l'osservazione dell'inglese
Irvine, che, cioè, la galera sia stata un ricordo di
quella che portò a Messina la lettera di Maria. Questa osservazione non è
originale; il medico e viaggiatore inglese deve averla sentita in Messina
quando egli vi si recò nel 1808.
Se però storicamente potesse accertarsi la non esistenza della Galera prima
dei 1571, allora la sua origine sarebbe presto trovata nel ricordo di quella
di D. Giovanni d'Austria dopo la Vittoria di Lepanto.
Giuseppe Pitré
Feste patronali nella Sicilia
orientale