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La Vara di Messina Miracoli
Dalla mia città si fugge, non si arriva.
Ma c’è un giorno in cui una fetta abbondante di popolazione scende in piazza e
si appropria di una festa tutta messinese: ferragosto.
Sul percorso della Vara, su chi tira e come tira, sulla storia della machina non dirò, perché si trova tutto on line. Vi dirò invece quel che accade ai bordi delle strade, mentre il fiume di braccia e di gambe corre sudato tirando la Vara, perché non viene raccontato. Vi dirò come nel giorno di Ferragosto accada un miracolo antropico straordinario e di come dai più umili vengano fuori dei gesti silenziosi di grande umanità, senza clamore. E la regola del “minni futto” per un giorno diventa altro. Ne ho tanti da raccontare di questi gesti che nel corso degli anni ho visto e sentito: extracomunitari che pregano e supplicano per poter porgere un mazzo di fiori alla Madonna ai quali si fa strada aprendo i varchi con un gesto di accoglienza straordinario, scambi di trecce biancoazzurre beneauguranti, acquisto di acqua e limoni che volano verso i tiratori per il loro rinfresco (quest’anno a dire il vero il lancio delle bottiglie è stato fatto dai tiratori verso il comandante dei Vigili Urbani, e non per rinfrescarlo, giusto per nota di cronaca), estranei che prendono in braccio i bambini per offrirgli una visuale migliore, donne che pregano e piangono, la toccata della corda benedetta concessa ai disabili e ai deboli, ragazzi che fanno fioretti veramente ben intenzionati, carrozzelle di invalidi spinte e sollevate a braccia per superare gli inevitabili ostacoli sulla strada e tanto altro ancora… Ma quest’anno ho assistito a un gesto di grande potenza emotiva. E lo racconto a riscatto della mediocrità dei messinesi descritta prima.
Poco prima della girata (per i non messinesi
è il punto di svolta da un lungo rettilineo per immettersi nella strada che
porta a Piazza Duomo, ed essendo la Vara “tirata”
e non trasportata a braccia o su ruote, per farla
“girare” è necessario che i tiratori facciano un gioco di corde a
intreccio geometricamente perfetto), poco prima della girata – dicevo – eravamo
fermi in attesa del movimento successivo. I tiratori di fronte a noi
tracannavano acqua, si sbracciavano a salutare parenti e amici, cercavano con
gli occhi fra la folla occhi conosciuti… insomma la tregua dopo il
Viva Maria! precedente. D’un tratto dalla fune si stacca uno dei tiratori e viene verso di noi. Si ferma di fronte alla mamma con il bambino e lega al braccino il foulard azzurro che i tiratori portano al collo: “Dovevo portarlo a mio figlio, ma lo do a lui”. E sparisce. La mamma che non ha proferito nemmeno una sillaba, nemmeno un “grazie”, nemmeno un “cosa fa?”, scoppia a piangere, lacrime, tante, in silenzio. Guarda il marito, guarda il bambino, cerca con gli occhi un conforto al suo magone. Poi il nostro sguardo cade sul bambino, sul suo braccino infiocchettato di azzurro, sul suo moncherino. La Vara era ripartita e io ho ringraziato il caldo che mi faceva asciugare lacrime e sudore con compostezza.
Maria Arruzza
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