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La Vara di Max..

Oggi, Ieri, Domani… ma sempre la VARA!

Quel dì era un giorno importante per la storia della nostra magnifica città.
Una spia luminosa segnava in una macchina del tempo immaginaria, situata all’interno dei meandri particellari della mia mente: Anno di grazia 2001, giorno 15 agosto e sotto di essa, si leggeva una scritta che ricordava il decollo spazio-temporale.
In quel momento il fluire dell’attimo si fermò e tutto ruotava intorno a me alla velocità della luce, una folla di donne e di uomini vorticosamente spezzavano ogni mia rappresentazione finita del tempo e dello spazio. Quella metamorfosi stava prendendomi e pervadendomi.
Mi sentivo dentro un forte rito spirituale colmo di significati e riflettendo me stesso nello specchio delle vecchie novelle, vidi che sul mio corpo c’era magicamente lavorato con abili mani artigiane un antico vestito da tiratore realizzato con autentico baco da seta messinese. Varcai l’uscio di casa e mentre scendevo le scale, il cuore accelerò i suoi battiti, quasi fosse estraneo alla mia persona.

Quel giorno non sarei stato solo spettatore, ma parte integrante di quella rappresentazione mobile. Giunto in strada accadde nuovamente qualcosa di fantastico dentro il mio animo e fuori le mura del mio palazzo era un turbinare d’immagini, tutto rotolava come quando si sfogliano velocemente le pagine di un libro, quelle facciate sottili e vellutate, sbiadite ed ingiallite dal tempo iniziarono a battere, dentro un ritmo atemporale, una sopra l’altra e lo scenario mutò, all’improvviso la lancetta segnò: Anno di grazia 1536, giorno 15 agosto…atterraggio effettuato.
La mia figura fu sospinta da una mano invisibile e si bloccò in un'altra più simile a quella dei tiratori delle stampe seicentesche. Attorno a me il paesaggio era mutato: non c’erano più casa mia e gli altri palazzi, ma aperta e profumata campagna, alberi enormi, cespugli rigogliosi, rovi carichi di more ed in fondo brillava il mare pulito e cristallino del buon Colapesce.

Un miglio più avanti altri uomini vestiti come me, parlavano delle ultime novità del Palazzo Reale e dell’Imperatore Carlo V che aveva dato inizio alla costruzione della Vara, commissionata dal Senato messinese. L’imperatore infatti entrò vittorioso sui turchi sotto un arco trionfale rinominato dal popolo come: Porta Imperiale.
Il progetto, della "Machina"" mi raccontavano, mentre avanzavamo sotto le lunghe e trasudate corde, era stato affidato all’Architetto Radese e l’idea era di Francesco Maurolico insigne messinese, conoscitore delle scientiae e delle humanae litterae.
Arrivati alla passeggiata c’erano un gruppo di donne e uomini che ballavano la tarantella e intonavano canti melodici siciliani. Nell’aria si spandevano il profumo della salsedine misto al gelsomino, resi ancora più intensi dalla calura del sole agostano. Gli odori e le forme della città non erano diversi da quella di oggi, anzi la sua anima, il suo spirito vitale erano lì, presenti ed immutati in quel tempo che forse non esiste ma è solo finzione dell'uomo.
Un brivido mi fece accapponare la pelle, e vedevo in ognuno di quegli antichi messinesi semplici e primigeni, le sembianze e la reincarnazione di quelli attuali: uno addirittura sembrava assomigliare allo storico capovara Molonia.
Tutti i tiratori iniziarono a sistemarsi attorno alle corde ognuno al suo posto ed anch’io, carico come non mai, mi disposi a metà della fune, tra la "machina" e i capicorda. Attorno a me era il popolo messinese con i suoi voti, le sue aspettative, le sue speranze, la sua fede semplice e primordiale, il suo slancio di figli devoti di quella Vergine Maria, Madre e Dama Bianca che tante volte li aveva salvati dalla fame, dalle carestie e dagli oppressori non benevoli. Intanto le lunghe gomene cominciavano ad essere tirate da quella moltitudine, sollecitati dai capicorda, dai vogatori, dai timonieri, dai macchinisti e dal comandante e tutti insieme si fondevano in unico coro al grido di: "W Maria".

Non esistevo più io, non esisteva più il mio vicino di cordata, ma aleggiava un’unica sola e grande anima. La gente nelle strade al passaggio di quella "Machina" votiva liberava i propri sentimenti attraverso pianti di gioia e innalzava le proprie sofferenze fino all’alma Maria che benevola guardava misericordiosa e benedicente tutti dall’alto.

Io pensavo che tirare la "Vara" fosse meno faticoso, invece la sofferenza e la stanchezza riuscirono ben presto a mettere a dura prova i miei muscoli di ragazzo e quando credevo che le mie braccia da un momento all’altro stessero quasi per cedere, la Fede ridava nuova forza e vigore al corpo. Un ultimo sforzo, tutto stava per concludersi, eravamo vicini al Duomo, fu dato l’ultimo comando liberatorio e infine le corde furono stese a terra.

Quelle funi, intrise di sudore e sofferenza, furono tagliate in piccoli pezzi così che ognuno potesse portarne sempre con sé il ricordo di quell’immortale momento, scolpito nel cuore e scritto nel gran libro della storia cittadina, così che quella fantastica giornata di fine cinquecento restasse nel ricordo e percorresse i secoli per arrivare ai figli di quel XXI secolo in modo più fedele possibile.

Quegli stessi uomini distratti dall’egoismo e confusi dalla devastazione dello spirito, ma che ancora oggi conservano intatto nei cuori, forse in maniera incoerente ed incosciente, forse in maniera un po’ pagana, forse in modo irrazionale, l’amore per la Madre Celeste, continuando con fatica e devozione a far rivivere quel rito magico e antico al grido di "Viva Maria".

Massimo Mastronardo

 

 

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