Colapisci    Colapisci: L'uomo che diventa pesce per necessità o per scelta   Le Feste di Cola


Il giorno di San Giovanni,
in riva al mare

Avvicinandosi ad Acitrezza il giorno della sua più importante festa annuale, in piena estate, si può incontrare lungo le strade, provenienti dall’interno, gruppi d’uomini e donne che dai paesi "contadini" sparsi alle pendici dell’Etna scendono verso la costa.
Agitano canne di giunco al ritmo dei canti e delle danze che accompagnano la marcia verso Acitrezza; quelle canne sono un gioioso simbolo terrestre per questo giorno d’allegria sul mare che evocano le acque che sgorgano nell’entroterra, e un tempo servivano a esprimere saluto.
Qui, oggi, é il saluto della gente che vive in terre rese fertili dal dono delle acque dolci alla gente che sfida quotidianamente le infeconde acque salse del mare. Insieme oggi assisteranno alla festa del "pesce a’ mare".

Nessuno ne conosce l’origine storica, ma la festa del "pesce a’ mare", con i suoi simboli intrecciati d’acque salse e d’acque dolci, si riferisce a memorie mitiche e antiche quanto la favola di Polifemo.
Questo corale incontro di genti di terra e genti di mare si riferisce a un passato nel quale affondano le radici del subconscio popolare, quel mondo emotivo che per vie diverse é diventato magia, credenza, e ha contribuito alla formazione d’una somma di miti, favole, consuetudini. 
Una cultura che quando si esprime coralmente – come oggi, qui – può diventare rappresentazione tragica, oppure gioco, festa o farsa; questo in apparenza é – appunto – la festa del "pesce a’ mare" di Acitrezza. Si incontrano e si confondono nell’allegria le genti delle acque dolci, i contadini, e quelle delle acque salse, i pescatori. 
Una unione che, durante tutta la festa, é ricordata dalle fronde verdi di canna di palude agitate festosamente sulle rive del porto, in vista del mare: l’insistente, festosa ostentazione del simbolo dell’acqua dolce per ricordarci che la saga del "pesce a’ mare" si celebra ad Acitrezza nel giorno di San Giovanni. Come avvento liturgico, la data ricorda le acque fertili per eccellenza, quelle del Giordano, ove San Giovanni, appunto, battezzava tra le canne ondeggianti, tutt’attorno a una purissima sorgente d’acqua dolce. 
Ma nel nostro calendario mediterraneo segna un punto di passaggio cruciale dell’annata agraria: a fine giugno la mietitura é compiuta, il frumento é nei granai. Il sole, nelle settimane che seguono, entra nella costellazione del Cane: e verranno – appunto – i mesi, i giorni della canicola.

Una vecchia Ieggenda mediterranea racconta che, allorché le cose del mondo non erano ancora poste nell’ordine immutabile del cosmo, il sole – durante la canicola – fu cosi violento che le acque di tutte le sorgenti della terra seccarono e tutte le creature viventi perirono bruciate; gli dei nell’alto dei cieli soffrirono come gli uomini e forse più; tanto che le gocce salate delle loro lacrime e del loro sudore formarono il primo mare.

Il mare e il mito di Acitrezza.
E la festa a metà giugno ricorda un rito remoto in cui gioiosamente si confondevano, in una unica allegria, comunità contadine (per le quali era essenziale che l’acqua dolce, sotto forma di pioggia, ritornasse a tempo debito) e comunità di pescatori (per le quali era essenziale sapere che, nelle acque salse affrontate tutti i giorni, avrebbero potuto pescare sempre nuove prede, senza scoraggiarsi, anche se talvolta esse sfuggivano). Un rito, insomma, di propiziazione comune.

Il mimo detto "pesce di scoglio"
e quello detto "pesce di fuori"

Nel giorno del "pesce a’ mare", un mimo detto "pesce di scoglio" – con gesti buffoneschi – assume il comando della festa, la trascina in riva al porto, e là – da un molo – dirige la caccia di un altro personaggio tipico della manifestazione, un marinaio che si tramanda un ruolo preciso, da padre in figlio: lo chiamano, qui, il "pesce di fuori", Il "pesce di fuori" rappresenta – come chiaramente dicono le parole – la preda d’alto mare; l’uomo che l’impersona nuota infatti al largo della gente, nel porto, e recita la sua parte guizzando sott’acqua, riemergendo e nascondendosi, inseguito da numerosi pescatori in barca, armati di fiocina: sono coloro che a loro volta recitano la parte che un antico copione ha previsto per loro, quella di inseguire – per catturarlo – il "pesce di fuori".
E’ una caccia movimentata che sembra concludersi quando il "pesce di fuori" viene catturato; lo si issa a bordo d’una delle barche e si cerca di farlo a pezzi con una mannaia di legno; scorre sangue finto, fatto di ocra rossa, sangue che vorrebbe significare, e evidente, la morte della preda; invece, questa riesce con un guizzo a fuggire, e la caccia riprende fra le risa e gli incitamenti della folla, che é sempre più numerosa col trascorrere delle ore del giorno e segue l’azione – ovviamente – per quel che appare, una farsa; e di conseguenza si diverte senza chiedersi qual é il senso della pantomima in cui il "pesce di fuori" é l’irresistibile protagonista.

 

Tratto da Enciclopedia del mare - Curcio editore
Vedi anche 'Upisci a mare

 

 

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