In Sicilia i
defunti sono presenze benigne che portano dolci e regali
ai bambini, veri babbo Natale ante litteram.
Forse nel
mondo solo in Sicilia si festeggiano i morti. O,
quantomeno, solo qui, dove il 2 novembre è considerato
insieme alla Settimana Santa la festa principale
dell’anno, la ricorrenza assume toni addirittura
gioiosi.
La mattina del “giorno dei morti” comincia con
una specie di caccia al tesoro che vede i bambini
scatenarsi alla ricerca di dolci e giocattoli portati
nella notte precedente, ovviamente solo a quelli buoni,
dai parenti defunti che li hanno nascosti nei posti più
impensabili della casa.
Il mesto ricordo dei cari
scomparsi si mitiga, così, con le meravigliate risa dei
ragazzini che scovano sorprese attese per un anno
intero. Una festa delicata che nulla ha di macabro, ma
che, semmai, vivifica nei più piccoli il ricordo dei
cari defunti.
In una famiglia palermitana il 2
novembre, al risveglio, ai bambini buoni i “morti” -
così semplicemente vengono definiti senza perifrasi -
fanno trovare innanzitutto i “Pupa ri zuccaru” detti
“pupaccena”: zucchero scolpito e colorato a forma di
Paladini di Francia, ballerine e altri personaggi del
mondo infantile.
Poi, i coloratissimi “frutti di martorana”, che prendono il nome dall’omonimo convento
della “Martorana” fondato da Eloisa Martorana nel 1193,
dove le monache di clausura preparavano dolcetti
modellati di pasta di mandorle, la “pasta reale”, a
forma di frutta e poi dipinti, vere opere d'arte per la
straordinaria somiglianza a nespole, castagne, pesche,
fichidindia, arance e tanti altri.
C’è, poi, il “misto”,
“u ruci mmiscu”, il dolce fatto con rimasugli di
biscotti impastati una seconda volta, bianco per la
velatura di zucchero e marrone per la presenza di cacao.
Non mancano mai, tra il macabro e il divertente, i
biscotti detti “ossa ri muortu”, duri proprio come ossa
umane…
I dolci sono presentati in un autentico trionfo
dentro “u cannistru”, con alla base frutta secca, fichi
secchi e datteri, quindi la martorana e i biscotti del
misto e delle “ossa”, il tutto sormontato dai pupi di
zucchero.
Oltre ai dolci tradizionali, per i
maschietti pistole a tamburo o fucili da cow boy con il
tappo, oppure costumi da indiani con archi e frecce a
ventosa che si attaccano all’obiettivo solo dopo una
“liccata” della lingua.
Per le bimbe, bambole,
passeggini, assi da stiro, fornelli e pentolame. Ma
anche tricicli e biciclette fiammanti. A scanso di
equivoci, alla sera di Ognissanti, i bambini che hanno
qualche marachella da farsi perdonare prelevano dalle
stoviglie di casa, e la nascondono opportunamente, la
grattaformaggio perché sanno bene che i defunti, a chi
si è comportato male, la notte grattano i piedi.
Comunque, ogni bravo bambino siciliano non manca di
recitare l’antica preghiera: Animi santi, animi
santi, io sugnu unu e vuiautri síti tanti:
mentri sugnu ’ntra stu munnu di guai cosi di
morti mittitimìnni assai.
Le “cose dei morti”
desiderate dai bambini sono, ovviamente, i regali.
La
mattina del 2 novembre dopo il felice rinvenimento dei
doni, la colazione a base della consueta “muffulietta”,
un tipo particolare di pane (spugnoso e morbido) con
poca mollica che si “conza” (si prepara) con olio,
acciuga, origano, sale e pepe con la variante del
pomodoro fresco.
Quindi, la famiglia al completo va al
cimitero a portare fiori e ad accendere ceri e lumini
davanti ai tumuli in un'atmosfera che, più che mesta, si
può definire da gita e in cui rare sono le lacrime.
Anzi, tutti sono sereni e sorridenti nel giorno in cui
“i morti” sono tornati per rendere felici i bambini che,
incontrandosi, reciprocamente, si domandano “che ti lassaru i morti?” e rispondono immancabilmente “un pupu
cu l’anchi torti!”.
Babbo Natale e la Befana
nell’Isola sono sbarcati solo di recente con tante altre
consuetudini consumistiche, ma non sono riusciti a
espellere “i morti” dal cuore dei bambini siciliani. Al
massimo, San Nicola ha qualche ruolo nel portare doni,
risarcendo con una moneta o con dei dolci i bambini che
perdono i primi dentini.
In tantissime città
siciliane scuole chiuse per due giorni e, prima della
festa, la Fiera dei Morti. A Palermo presso il rione San
Pietro, alla Cala, in variopinte bancarelle, simili a
teatrini dell’Opera dei Pupi, sono esposti i pupi di
zucchero e gli altri dolci tradizionali necessari per
preparare “u cannistru”, ma anche giocattoli e vestiti.
Nelle altre città grandi luminarie, bancarelle ovunque
stracolme di giocattoli; una festa che può durare anche
una settimana e che, per il clima ancora mite, va
dall'alba a notte fonda. Questa ricorrenza, inoltre,
è la prima festa nel calendario agronomico e coincide
con la semina, rinnovando lo stretto legame che associa
i semi sparsi sulla terra con i defunti sottoterra,
quasi per farli rivivere rendendoli partecipi della vita
che continua con la germinazione.
Alla festa dei
morti è legata la leggenda di Colapesce, mezzo uomo e
mezzo pesce, che viveva in fondo al mare a Messina,
presso Capo Peloro, disincagliando reti di pescatori,
recuperando attrezzi vari e portando da una sponda
all'altra dello Stretto messaggi.
L'imperatore Federico II (ma forse suo nonno Ruggero II) in un viaggio a
Messina (primavera 1221) volle conoscerlo e,
promettendogli la mano della propria figlia, lo sfidò a
recuperare in mezzo allo Stretto, a profondità sempre
più impegnative, anelli gettati dalla principessa e una
tazza d’oro.
Ma Colapesce a un certo punto non riemerse
più. Si dice che sia vivo e impegnato a sorreggere una
colonna delle tre su cui poggia la Sicilia, erosa dal
fuoco dell’Etna, per impedire l’inabissamento di
Messina.
Alcune leggende raccontano che Colapesce abbia
sentito uscire dall’Etna voci e ululati dei demoni che
si lamentano che le anime dei defunti sono loro
strappate da preghiere ed elemosine. Pertanto Colapesce
mandò a dire all’imperatore da un pescespada di
passaggio, o forse da una sirena, o da un tonno, che lui
deve restare a sostenere la colonna pericolante e che
bisogna pregare per i morti al fine di strapparli ai
demoni.
Fu così che l’imperatore stabilì che, nei
monasteri siciliani, dopo la festa di Ognissanti si
celebrassero “i morti”, festa che più tardi fu assunta
da tutta la Chiesa.
Nunzio
Primavera
Campagna Amica - Novembre 2004 Non più sul web